ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla serie tv di Apple TV+ Città in fiamme
In fiamme, in questo caso, è andato più che altro il potenziale della serie. City on Fire è una produzione Apple TV+ che adatta, molto liberamente, l’omonimo romanzo di Garth Risk Halberg, operando però un profondo e decisivo cambio di ambientazione storica, visto che la storia, che nel romanzo si colloca nel 1977, nella serie è invece datata 2003, ovvero a poco meno di due anni di distanza dalle Torri Gemelle.
L’ancora storica, per così dire, non è più il grande blackout nel 1977, ma quello del 2003 e questo cambiamento di scenario serve a introdurre il tema dell’11 settembre, che come vedremo è parte costituiva della serie. La storia fonde insieme, a partire dall’aggressione a una giovane ragazza, le vicende che uniscono una band disastrata, una ricca famiglia e un giovane con un passato traumatico, mentre sullo sfondo divampa una serie di misteriosi incendi. Nonostante delle premesse interessanti, più di qualcosa non è andato nel verso giusto e Città in fiamme si è rivelata, per molti aspetti, una serie decisamente deludente.
Città in fiamme patisce troppa confusione narrativa e lascia i suoi personaggi abbandonati a loro stessi
Nell’analisi di City on Fire partiamo proprio dalle questioni più tecniche, quali l’intreccio e la costruzione dei personaggi. La serie promette molto, ma restituisce decisamente meno e le problematiche maggiori si evidenziano proprio nello sviluppo narrativo, che pare sin da subito debole e confuso. Come detto, la trama si basa sulla convergenza di diverse storie, che puntano tutte sull’aggressione a Sam e su una serie di misteriosi incendi che stanno affliggendo New York. Già dal primo episodio di Città in fiamme, però, l’intreccio comincia ad aggrovigliarsi, si confonde e perde la giusta tensione narrativa, facendo risultato l’intera costruzione della trama tremendamente inefficace.
Solo verso la conclusione il racconto recupera un po’ di verve, non tanto per le rivelazioni finali, in realtà abbastanza telefonate, ma quanto per il compimento dei destini dei personaggi. La sensazione è che City on Fire non sia riuscita a reggere le diverse trame allestite, creando solo confusione nei punti di convergenza e finendo per rendere troppo farraginoso l’intreccio, che ha smorzato la tensione narrativa fino all’epilogo finale.
Un po’ meglio la costruzione dei personaggi, tutti misteriosi e tormentati, anche se non dotati di un adeguato calco psicologico. Tuttavia, si riesce a entrare in contatto con alcuni di loro, specialmente con William, che a conti fatti risultati il personaggio più riuscito di Città in fiamme. Anche se non muniti di troppo spessore, i vari protagonisti della serie hanno una loro portata, ma anch’essi vengono risucchiati in una trama estremamente fallace e alla fine il risultato complessivo è alquanto dimenticabile.
Il trauma dell’11 settembre
La più grande novità presentata dall’adattamento seriale di Città in fiamme rispetto alla controparte cartacea sta nel cambio di ambientazione temporale, che ha potuto tirare in ballo il più grande trauma della storia americana: l’11 settembre. Il tema viene introdotto con Charlie, che ha perso il padre nell’attentato alle Torri Gemelle, e continua ad aleggiare sullo sfondo per tutta la narrazione, dando una connaturazione al trauma che contraddistingue l’intero racconto.
Non c’è un focus diretto sull’11 settembre, ma questo è ben presente nell’indirizzare la trama, perché questo evento traumatico, come molti altri della vita, non viene, il più delle volte, affrontato direttamente, ma piuttosto esorcizzato tramite rifiuto, reazioni esagerate e così via. Tutto il malessere sociale che si respira in City on Fire sembra poter essere ricondotto a questo grande trauma, che trova spazio mediante richiami, ricordi, accenni al terrorismo e testimonianze. Le Torri Gemelle sono il grande spettro che incombe su Città in fiamme, e, più in generale, sono il fantasma destinato a tormentare per sempre la vita nei newyorkesi e la serie di Apple TV+ genera, proprio a partire da questa ferita, il grande trauma che pervade ogni istante della narrazione.
Lotta sociale e sfruttamento di classe
Se il tema dell’11 settembre resta maggiormente indefinito e presente più che altro come cornice traumatica, quello della lotta sociale viene posto al centro della narrazione, ma ha un’efficacia molto minore. Il divario di classe è il grande tema di Città in fiamme, è lo spunto che crea l’intreccio, senza cui non ci sarebbe stato alcun racconto, visto che tutto nasce dagli intrighi di Amory insieme alla band. La convergenza delle diverse linee narrative esalta proprio questa stratificazione di classe, condensata in toto dalla figura di William, unico punto di unione tra gli estremi della società, tra la sua ricchissima famiglia e i suoi ex compagni di band. Tuttavia, questa distanza viene sì evidenziata, ma poi risulta abbandonata a sé stessa.
Se la delineazione della lontananza di classe funziona, il tema della lotta sociale fa acqua da tutte le parti, perché semplicemente non sussiste, né in accezione positiva né negativa. Le ragioni di Nicky e del resto del suo gruppo risultano confuse, ma più che un provocatorio attacco alla mancanza di coerenza negli ideali della band, che sarebbe stato interessante, sembra che manchi proprio un’analisi approfondita e coerente del loro comportamento. La lotta sociale è assente, perché Nicky e gli altri non perseguono alcun ideale. C’è, semplicemente, sfruttamento di classe, visto che Amory paga i ragazzi per appiccare gli incendi. Quando il loro rapporto si spezza, però, potrebbe emergere il tema della lotta sociale, anche solo come vendetta personale, ma la realtà è che il comportamento di Nicky e gli altri sembra semplicemente non avere senso e nella loro parabola non si legge né un supporto alla lotta sociale né alla critica a un’aspirazione a essa.
Lo sviluppo della trama poteva offrire, in tal senso, spazio di riflessioni sull’incoerenza di determinati ideali, sugli effetti dello sfruttamento di classe e sulle difficoltà della lotta sociale. Quello che rimane da Città in fiamme è però solo una vaga condanna della gentrificazione e le azioni di un gruppo di esaltati, che, al di là del denaro, non sembrano perseguire alcun ideale e infatti, prontamente, si sfaldano davanti alle difficoltà.
Città in fiamme non brucia a sufficienza o brucia troppo, dipende dai punti di vista
Un titolo come Città in fiamme permette moltissimi giochi di parole su cui possiamo crogiolarci e allora, sfruttando le grandi potenzialità della semantica, possiamo dire che City on Fire da una parte non brucia affatto, ma restituisce solo un senso di freddezza, mentre dall’altra invece ha mandato in fiamme tutte le potenzialità che aveva. La serie di Apple TV+ risulta zoppicante, nella trama, nello sviluppo dei personaggio e nei temi. La parte centrale, in modo particolare, è davvero ostica da affrontare, perché non ha tensione narrativa e non offre spunti di riflessioni: si regge solo su alcuni personaggi, che però non possono tenere in piedi l’intera baracca.
La sensazione finale che lascia Città in fiamme è quella di incompiutezza, come un incendio che non ha bruciato abbastanza, e di spreco, come un incendio che invece ha distrutto tutto, per continuare a sfruttare la semantica del titolo. Il finale di City on Fire lascia spazio a eventuali sviluppi narrativi, visto che non conosciamo il destino di Amory, come si riprenderà Sam o se Regan deciderà di contattare Charlie. Ci sarebbero spunti per portare avanti la narrazione e quindi possibilità per riscattare il potenziale sprecato dalla prima stagione, ma sarebbe come provare a costruire senza solide fondamenta.
Tirando le somme, Città in fiamme è una serie nel suo complesso deludente, che promette più di quanto dà e che lascia pochissimo agli spettatori. Qualche spunto qua e là c’è, ma sembra davvero troppo poco per sorvolare, invece, sulle gravi problematiche della serie di Apple TV+.