Quando ti siedi sulla poltrona del cinema non sai cosa vedrai, è tutto ancora da scrivere. Il modo in cui poggi il sedere su quella sedia prima di vedere un film non è lo stesso con cui, poi, lo rialzi per andare via. Tra il momento dell’inizio e quello della fine succedono una marea di cose, e succedono tutte mentre tu sei – semplicemente – seduto su una poltrona. Senza neanche saperlo, le immagini che scorrono di fronte al tuo viso ti hanno permesso di fare un viaggio infinito verso destinazioni che non sapevi neanche di voler raggiungere, e verso altre in cui non pensavi neanche di riuscire ad arrivare. Questa probabilmente è la miglior cosa che possa capitarti nella sala di un cinema, anche nella più squallida: riuscire ad andare oltre comprendendo che, anche tutto quello che sembra lontano, a volte è così vicino da far paura. Comprendere la profondità delle tue ferite, e scoprire che non sei solo. Che qualcuno, nascosto dietro alla sceneggiatura di una pellicola cinematografica, è riuscito a comprenderti. Questo è ciò che succede di fronte ai grandi film, e questo è ciò che è successo di fronte a C’mon C’mon di Mike Mills.
Quel che contraddistingue in modo particolare il nuovo film con il premio oscar Phoenix è la sua esigente necessità di essere reale, ma al tempo stesso delicato. Si sa: le due cose, spesso, non riescono a incontrarsi perché è come se una cosa escludesse l’altra, ma questo è un pericolo che C’mon C’mon oltrepassa fin dal primo istante. Veniamo trasportati all’interno di questa realtà grazie a due paia di occhi che in comune non hanno nulla all’apparenza: quelli di un uomo disilluso, e quelli di un bambino che dovrebbe credere che il meglio possa ancora arrivare. Entrambi, però, sanno che per vedere arrivare questo fantomatico meglio bisognerà attendere molto, senza mai avere – effettivamente – la certezza assoluta che questo si palesi. Potremmo aspettare invano, potrebbe non arrivare niente. Ma è proprio questo il punto su cui si poggia il film: non è necessario che arrivi, ciò che è necessario è aspettarlo. Attendere che qualcosa di bello ti capiti, e sperare che succeda, significa già qualcosa, significa avere fiducia nel futuro, un aspetto che in C’mon C’mon svolge un ruolo determinante.
Questo tema, infatti, arriva a espandersi decidendo di non soffermarsi solo sul futuro del singolo individuo, ma di arrivare a parlare di un futuro collettivo, un futuro che riguarda l’America, ma anche tutto il pianeta. Le interviste proposte all’interno di C’mon C’mon sono, infatti, reali e dunque prive di qualsiasi forma di recitazione o interpretazione. Ogni parola pronunciata da quei ragazzi era basata su delle esperienze realmente vissute, su delle speranze realmente sentite. Man mano che vanno avanti susseguendosi, noi procediamo il nostro viaggio all’interno del rapporto tra uno zio disilluso e un nipote che attende il meglio, cosciente – forse – che per vederlo arrivare dovrà aspettare un numero indefinito di giorni. Perché nonostante sia solo un bambino, e nonostante tutti facciano degli sforzi per non fargli sentire il peso ingombrante di una vita complicata, Jesse ha un’intelligenza emotiva fuori dall’ordinario, e per questo motivo comprende tutto. Capisce i problemi vissuti dai più grandi, e capisce che un giorno toccherà a lui viverli in prima persona. Sa che tutto quello che succede si ripercuoterà su di lui, e sa che non è detto che la vittoria sarà dalla sua parte. Jesse sa che potrà fallire, ma sa anche che non dimenticherà mai quello che sta vivendo, perché saranno proprio loro – i ricordi – a salvarlo almeno un po’, a ricordargli – un giorno – che anche se le cose si sono messe male, qualcosa di bello può succedere perché, di base, effettivamente gli è successa. Forse è questa la definizione della memoria: ricordare qualcosa, e sperare che riaccada. Ricordare il bene, e ricordarti che esiste anche lui. Ricordare il male, e ricordarti che puoi anche sopravvivergli.
Per questo motivo sì, sicuramente C’mon C’mon è un film su futuro, ma è anche un film sulla memoria. Scena dopo scena, infatti, ti ricorda di di non dimenticare niente delle cose che fai, ma di preservarle dentro di te. Non importa se dovrai ricordare rimpianti o rimorsi, o se i tuoi ricordi non saranno belli, tu non dovrai mai dimenticare. E se pensi di non riuscirci, spiega il film, trova qualcuno che sappia farlo, e che ti aiuti in questo. I ricordi sono fondamentali, tanto quanto lo sono le speranze, anche se a volte le trattiamo male come se fossero dei fantasmi di cui mettiamo in dubbio l’esistenza. C’mon C’mon è, per questo, un film necessario, uno di quelli che ti cura le ferite e non te le fa bruciare nel frattempo. E’ delicato, ma non così tanto delicato da raccontarti un’altra realtà, perché ha bisogno di sincerità. E’ un film che pretende l’onestà da se stesso, ma anche da chi lo guarda. Per questo motivo, almeno durante quei 110 minuti, siate onesti con voi stessi, e non nascondetevi le ferite.
E anche se faranno troppo male camminate, camminate, camminate, camminate e… bla bla bla.