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Come un padre – La Recensione del docufilm su Carlo Mazzone

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‘Ndò sta il pallone? Così finisce – e così inizia – il viaggio di Alessio Di Cosimo dentro i fotogrammi della carriera di Carlo Mazzone, sor Magara, come lo chiamavano, l’allenatore che ha collezionato qualcosa come 792 panchine in Serie A, tutt’ora un record assoluto per la nostra massima categoria. Una vita legata al pallone, quella del Carletto di Trastevere che scappava dall’officina del padre per fare i primi passi sui campi da calcio. Un amore che lo ha accompagnato in ogni singolo istante della sua vita, secondo solo agli affetti più stretti: l’amata moglie, i figli, i nipoti, mamma Iole. Come un padre, il docufilm di Alessio Di Cosimo disponibile dal 2 novembre su Amazon Prime Video, è solo l’ultimo di una grande carrellata di documentari sul calcio. Ma qualcosa di speciale, questo qui, sembra averla. Non fosse altro perché racconta di una storia che sembra perdersi tra le pagine ingiallite di un calcio anacronistico e vecchie maniere. Un calcio che Carlo Mazzone sapeva leggere e incarnare, misurare e preservare. Un’icona vivente, ma già una leggenda. Un nome scritto in grassetto nella lista della Hall of Fame del calcio italiano. Un gigante, sia per stazza che per caratura morale. E professionale.

Come un padre (640x360)
Come un padre (640×360)

Il catenacciaro, lo chiamavano. Ma troppo spesso ne è stata sottovalutata l’intelligenza calcistica. Mazzone era un uragano. E pure un fine stratega del campo. Diretto, spontaneo, istintivo. Amava vincere, motivo per cui quando si perdeva tutti scappavano via, evitando di stargli attorno. Si è portato addosso l’etichetta di allenatore difensivo per gran parte della sua carriera, anche se lui era uno che attaccava quando doveva. E non solo sul campo. Aveva la capacità di fare un tutt’uno con l’ambiente circostante, non solo nello spogliatoio. Oggi lo avrebbero definito un grande comunicatore. Un allenatore in grado di calamitare l’attenzione mediatica nella direzione da lui scelta. Un po’ come un Mourinho dell’epoca pre-social, quella in cui il calcio si giocava principalmente la domenica e si ascoltava ancora per radio. Come un padre traccia il ritratto del Mazzone professionista e del Mazzone umano, quello che sapeva dosare bastone e carota e conquistarsi per sempre un posto nel cuore dei suoi ragazzi.

Ci sono degli allenatori per i quali i giocatori si getterebbero nel fuoco. Carlo Mazzone era uno di quelli.

A testimoniarlo sono gli stessi ragazzi che lui spediva in campo: da Francesco Totti a Giuseppe Giannini, da Pep Guardiola a Marco Materazzi, passando per Gigi Di Biagio, Beppe Signori, Roberto Baggio, i fratelli Filippini. Ciascuno di loro è una miniera di aneddoti, ricordi che affiorano poco alla volta, quasi sempre accompagnati da un grosso sorriso sulle labbra. A testimonianza di come il lato più umano di mister Magara si sia impresso negli anni nel cuore dei professionisti che lo hanno conosciuto. I fatti curiosi si inseguono e si accavallano. In Come un padre c’è poca retorica, non serve. Anche perché Carlo Mazzone era l’antiretorica per eccellenza. Vulcanico sì, populista persino. Ma sempre schietto, essenziale, autentico. Il film ripercorre brevemente la sua carriera calcistica: le riserve di un padre che cercava di non infiammarne le illusioni – salvo poi conservare tutti i ritagli di giornale che raccontavano delle sue imprese – e l’esordio in Serie A con la maglia della sua amata Roma. Poi il trasferimento ad Ascoli e l’infortunio. Come un padre alterna immagini d’archivio, vecchi spezzoni di partite, fotografie e testimonianze dirette. Ma il fulcro del film – come pure della vita di Mazzone – sono i suoi anni da allenatore. Sono nato allenatore e morirò allenatore. Cresciuto in un’officina, il Carletto bambino ha imparato dal padre come riparare le automobili. La posizione esatta in cui infilare i pistoni, i filtri da ripulire, le ammaccature da correggere. La predisposizione a rimettere in moto qualcosa di danneggiato, Carlo Mazzone l’ha conservata per tutta la vita. Grande scopritore di talenti – Francesco Totti gli sarà riconoscente per tutta la vita -, mister Mazzone ebbe anche il merito di aver riportato in campo giocatori alla fine della propria carriera. Aggiungeva l’olio dove necessario, faceva rombare il motore quando c’era da buttarsi in strada.

Il film distribuito da Amazon Prime Video racconta anche i retroscena che solo i diretti protagonisti degli eventi potevano conoscere.

Gli anni ad Ascoli, la panchina della Roma e quel consiglio che diede una volta a Claudio Ranieri: Clà, hai allenato il Chelsea, hai allenato il Valencia, l’Atletico Madrid, ma se non sali quei gradini dell’Olimpico, non hai allenato niente. La Roma era la sua squadra. Un amore che gli riempiva la bocca al solo pronunciarlo. Del suo romanismo non ha mai fatto mistero. Il rapporto con Giannini, l’esordio di Totti, la vittoria 3-0 nel derby con la Lazio. Non ‘amo vinto niente, ma ammazza che risate che se semo fatti. La Roma era la Roma, si capisce per come lo dico. Eppure quando si è trattato di battere la Juventus nel 2000 col Perugia e consegnare lo scudetto alla Lazio, Mazzone non si è fatto pregare. Era innanzitutto un grande professionista, con un’etica del lavoro che tutti gli riconoscono. Poi c’è stato quell’anno al Cagliari per provare il tutto per tutto per la salvezza. Dopo un campionato di rincorsa, i sardi affrontavano il Piacenza al San Paolo di Napoli nello spareggio per evitare la retrocessione. La squadra diede tutto, ma quel tutto non fu abbastanza. Le lacrime di Carlo Mazzone ci parlano dunque anche di un uomo che ha perso, ha fallito, è retrocesso, ha deluso le aspettative. Ma era impossibile non volergli bene. Poi ci sono stati il Bologna, il Perugia, il Livorno, ma è al Brescia che il nome di Mazzone è legato. Non solo perché quell’anno lui e Roberto Baggio si tolsero parecchie soddisfazioni. Ma anche perché, se c’è un’immagine che meglio di tutte racconta il personaggio Carlo Mazzone, quella è la corsa sotto il settore dell’Atalanta.

Come un padre (640x360)
Come un padre (640×360)

In Come un padre l’episodio viene raccontato anche da un Pep Guardiola allibito, alla sua prima volta a Brescia: ma qui è sempre così?

Se famo il 3-3 vengo sotto ‘a curva. Detto fatto. In quella corsa c’è tutto: l’istinto, la passione, l’impeto, l’esaltazione. Immagini su cui potrebbero scriverci un intero trattato sull’amore e sul legame sanguigno che lega certi uomini al calcio e il calcio a certi uomini. Sor Magara era questo e tanto altro. E Come un padre ce ne dà giusto un assaggio. Il profilo di Carlo Mazzone viene tratteggiato in meno di ottanta minuti di film. Il prodotto di Amazon Prime Video lascia allo spettatore il compito di approfondire e di rimestare i ricordi alla ricerca di indizi e conferme. Ad aiutarci a cogliere qualcosa in più di Carlo Mazzone – uomo e padre dei suoi undici ragazzi in campo – ci sono le testimonianze del figlio Massimo e della nipote Iole. Ma la sua era – ed è tuttora – una famiglia molto più larga. È nato il 19 marzo, alla festa del papà, ricorda Francesco Totti. Era davvero come un padre per tutti.

Maledetto tempo, come mi è venuto in mente di crescere.

Così canta la canzone finale, che però vuole spingere a sorridere in faccia alla malinconia. Come un padre non vuole essere solo l’occasione per ricordarsi – e ricordarci – quanto siano stati belli gli anni in cui il calcio aveva la faccia di Mazzone che corre sotto la curva bergamasca. Questo docufilm – che da mercoledì 2 novembre trovate su Amazon Prime Video – è anche l’omaggio a un allenatore che non viene ricordato per ciò che ha vinto, ma per quello che ha lasciato dietro di sé. Non è l’elogio di un vincente, ma il plauso alla dolcezza dell’irruenza. Quella che Carletto Mazzone ha sempre indossato come il suo vestito migliore.