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Conversazioni con un killer: Il caso Gacy – La Recensione: quasi come se non fosse un documentario

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Sentir parlare un assassino degli omicidi che ha commesso non è una cosa che si fa a cuor leggero. Possono essere passati anni, anche decenni, ma ascoltare le confessioni – o le smentite – di chi nella vita ha ucciso delle persone non è un’impresa semplice, perché il tempo potrà anche annebbiare il ricordo delle brutalità commesse, ma non le cancella. È però proprio questo ciò che ci mette davanti Joe Berlinger nella sua ultima docuserie, Conversazioni con un killer: Il caso Gacy. Un prodotto che è un racconto a più voci, fra le quali spunta anche quella del protagonista, il serial killer John Wayne Gacy. A due anni dalla serie Conversazioni con un killer: Il caso Bundy entriamo nuovamente nella testa di un assassino, forse non per capirne i meccanismi ma di sicuro per fare luce su delle vicende che meritano di essere ricordate.

Il racconto di Conversazioni con un killer: Il caso Gacy è un viaggio fra passato e presente.

Conversazioni con un killer: Il caso Gacy è una miniserie documentario in tre puntate disponibile su Netflix a partire da mercoledì 20 aprile. Al centro delle tre ore di narrazione ci sono gli efferati delitti compiuti da John Gacy negli anni Settanta. Filmati d’archivio, foto di repertorio, immagini e video originali della polizia si alternano alle interviste effettuate per l’occasione ai poliziotti che si occuparono del caso, ai procuratori, all’avvocato difensore di Gacy, a parenti e amici di alcune vittime e persino a un uomo che da ragazzo era finito nelle sue grinfie. Il tutto alternato alle registrazioni di alcune fra le più di sessanta ore di conversazioni di interrogatorio che John Gacy fece con un membro del suo team di difesa legale. Sentiamo la sua voce mentre racconta alcune delle cose che ha fatto, mentre si giustifica, mentre spiega quella che per lui è la differenza fra eterosessualità, omosessualità e bisessualità. Racconta come lui stesso si definisca bisessuale perché – secondo la sua concezione – i bisessuali fanno sesso con chiunque, anche con persone dello stesso sesso, ma lo fanno senza amore. Lo sentiamo definirsi una vittima delle sue stesse azioni. Il fatto di non essere soltanto a conoscenza del suo punto di vista, ma di sentirlo ripetere direttamente da lui, ci fa entrare prepotentemente nella storia, quasi come se non fosse il documentario a raccontarcela, ma fosse lo stesso John Gacy a parlarne direttamente a noi.

Conversazioni con un killer: Il caso Gacy

La struttura narrativa di Conversazioni con un killer: Il caso Gacy è diversa rispetto a quella di buona parte dei prodotti che raccontano le storie vere di serial killer. Il racconto ha inizio con la lettura di una pagina di diario risalente al 12 dicembre del 1978, il giorno dopo la scomparsa del quindicenne Robert Piest a Chicago. A leggerla è un’amica di Rob, una donna le cui azioni casuali furono cruciali per inchiodare Gacy. Robert Piest fu solo l’ultimo dei trentatré ragazzi -adolescenti e giovanissimi – che furono sodomizzati, torturati e uccisi da John Gacy. A partire da questo momento il percorso procede con salti temporali che ci permettono di comprendere diverse fasi della vita di Gacy e diversi omicidi da lui compiuti. I balzi temporali scorrono come un vero e proprio nastro e sono un espediente narrativo interessante. La difficoltà di seguire gli spostamenti nel tempo sono infatti minime, e conferiscono alla narrazione quel dinamismo di cui c’è davvero bisogno quando si racconta una storia non proprio delle più leggere con episodi che durano comunque circa un’ora ognuno.

Il filo narrativo principale resta però quello legato alla scomparsa di Robert Piest e alle indagini che la polizia di Des Plaines svolse per ritrovarlo. Sono i poliziotti stessi a raccontare le varie fasi della ricerca, i giorni durante i quali seguirono John Gacy ovunque e lui con la sua aria spavalda pensava comunque di farla franca. Sono loro a raccontare anche di quando riuscirono a ottenere un secondo mandato per entrare in casa sua ritrovando ventinove corpi ben seppelliti solo nell’area sottostante la sua proprietà. Fra questi però non c’era quello di Piest, che fu ritrovato diversi mesi dopo in un fiume.

Dopo il processo John Wayne Gacy fu condannato a morte. La strada dell’infermità mentale intrapresa dai suoi avvocati, consapevoli che sarebbe stato quasi impossibile evitare la condanna, non portò dove sperato. Così come a nulla servirono i diversi tentativi di appello alla sentenza che Gacy mise in atto fino al 1994, l’anno della sua esecuzione. Ma è indicativo come Conversazioni con un killer: Il caso Gacy non si concluda con la morte del serial killer ma con i volti dei ragazzi da lui uccisi, o almeno di quelli che fino ad oggi sono stati identificati. Cinque nomi mancano ancora all’appello.

La serie ci permette di conoscere il protagonista senza mai dimenticare ciò che è stato capace di fare.

Gacy era un uomo ben visto, proprietario di un’impresa edile ed esponente del Partito Democratico, conosciuto per essere uno di quei politici locali che si prodigano per fare del bene per la collettività. Organizzava feste alle quali invitava personalità di spicco, si travestiva da clown per intrattenere i bambini, ci sono foto di lui con politici di livello federale e addirittura con la first lady Rosalynn Carter. Eppure dietro la sua facciata apparentemente impeccabile – complice anche il fatto che all’epoca la comunicazione fra i corpi di polizia dei diversi Stati USA fosse minima se non inesistente – si nascondeva un efferato serial killer.

Era un uomo pieno di sé, un amante del potere – che a suo modo riuscì a esercitare anche durante il suo periodo di detenzione nell’Iowa. In quello Stato si era trasferito con la prima moglie e i due figli, sembrava il capofamiglia di un nucleo normalissimo, eppure nel 1968 fu arrestato per sodomia nei confronti di un adolescente. La moglie lo lasciò e lui scontò circa diciotto mesi di detenzione, per poi tornare a Chicago dove nessuno aveva idea delle vicende che macchiavano il suo passato. Come detto, l’arretratezza della polizia dell’epoca fu per lui un braccio destro di non poco conto. A Chicago si rifece una vita, si risposò (matrimonio che non durò poi così a lungo), ma a partire dal 1972 diede anche inizio alla scia di delitti che si porterà dietro fino al 1978. Fino, appunto, all’omicidio di Robert Piest.

Fino all’ultimo momento prima dell’esecuzione John Gacy era convinto di farla franca, era sicuro del fatto che sarebbe riuscito a rigirare la situazione a suo favore. Nel corso degli anni ha confessato, ritrattato, si è giustificato, ha negato il suo coinvolgimento nell’omicidio di quei ragazzi che erano seppelliti proprio sotto le fondamenta di casa sua. La sua sete di potere, la sua voglia di sentirsi all’altezza, avevano una derivazione antica, affondando le radici in quel rapporto con il padre che non era mai andato bene. Nei suoi confronti John Gacy non si era mai sentito abbastanza, e cercava di rimediare sentendo il potere nei confronti del resto del mondo, e soprattutto delle sue vittime. Fu lui stesso ad ammettere di proiettare sé e il padre sulle sue vittime, delle quali nei momenti di confessione raccontava le morti con una naturalezza disarmante.

Ma non è solo John Gacy il protagonista della serie.

Oltre alla storia di un serial killer, ciò che racconta è anche la società americana degli anni Sessanta e Settanta con tutte le sue problematiche e le sue arretratezze. Prima fra tutte, il modo in cui era concepita l’omosessualità. Essere omosessuale significava per molti giovani dell’epoca essere segregati negli angoli più bui della società, non essere ritenuti all’altezza, non essere accettati dalla famiglia e dagli amici. Essere omosessuali significava addirittura non essere presi in considerazione dalla polizia: fra un politico di tutto rispetto e un giovane omosessuale, chi mai avrebbe potuto credere a quest’ultimo? John Gacy aveva dalla sua non soltanto la sua spavalderia e le sue conoscenze, ma anche un sistema nel quale la parola di un giovane poteva non essere creduta nel momento in cui i suoi racconti facessero riferimento a rapporti sessuali con un altro uomo.

Conversazioni con un killer: Il caso Gacy è una serie intensa, non una di quelle che si possono vedere come passatempo. Bisogna viverla davvero, entrarci dentro e farsi trasportare dalle emozioni che ci dà. Passare in rassegna i volti di Rob Piest e degli altri ragazzi che hanno visto la loro vita spezzarsi a causa del solo fatto di aver incontrato John Gacy sul proprio cammino dà una sensazione particolare, un misto fra la rabbia per ciò che è successo, la tristezza per le giovani vite finite troppo presto e la risolutezza di chi non vuole che si dimentichi. Ed è la degna conclusione di un prodotto che ha tanto da raccontare, per fare in modo che quei volti e quei nomi non vengano mai dimenticati.

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