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Disincanto 1×01 – Il pilot essenziale e dissacrante

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Dopo un’attesa durata oltre un mese è finalmente sbarcata su Netflix la nuova serie animata firmata Matt Groening: Disincanto. Per chi non lo sapesse – accenderò un cero per voi miscredenti – Groening è il creatore dei Simpson e di Futurama, pietre miliari del piccolo schermo animato.

Ovviamente anche con la sua nuova uscita non ha tardato a soddisfare le aspettative. Ma andiamo con ordine.

Partiamo dal fatto che Disincanto ha pochissimo in comune con i suoi fratelli maggiori. Infatti sembra essere stata partorita da un Matt più riflessivo, sempre dissacrante ma più ricercato. La cura per i dettagli – che si nota soprattutto nelle rappresentazioni delle ambientazioni – è straordinaria, niente è lasciato al caso.

Disincanto

Si può dire che Disincanto sia il suo figlio prediletto, quello a cui fai il bagnetto nell’acqua Evian e che cospargi di attenzioni dalla mattina alla sera.

Quello che si nota sin da subito è sicuramente un lavoro completamente diverso: dalla produzione alla distribuzione. Giungiamo all’apice del percorso evolutivo del disegnatore, che segna una maturità diversa nell’analizzare con il suo occhio satirico il mondo. Questa volta però si tratta di un mondo dai tratti fantastici e collocabile cronologicamente nel Medioevo.

Ammetto (con un po’ di vergogna) che l’attendere l’uscita di Disincanto è stato per me un calvario emozionale. Le aspettative erano tante ma il pilota non ha deluso.

È un buon modo per iniziare una serie: informativo quanto basta e con il classico cliffhanger finale. Ci vengono infatti presentati i tre protagonisti – la principessa Bean, Elfo e il demone Luci – insieme ad altri personaggi secondari e ricorrenti. Quello che però salta subito all’occhio è che Matt Groening con Disincanto sta cercando di andare oltre la semplice ironia da intrattenimento. Non sono più chiacchiere da bar: i protagonisti hanno uno scopo, un messaggio da comunicare e un obiettivo da raggiungere.

Disincanto

Disincanto si presenta sin da subito come un viaggio alla scoperta di sé, diventando artefici del proprio destino (per citare Bean) così da liberarsi degli stigmi che la società impone. Chi ha detto che una principessa deve sposarsi solo per stipulare alleanza? Chi ha detto che debba per forza avere buone maniere e un carattere docile? E chi ha detto che un elfo deve vivere sempre felice?

Ecco, questa serie nasce per distruggere tutti gli stereotipi, fantastici o meno che siano.

Non aspettatevi le classiche battute un po’ idiote alla Homer Simpson e non aspettatevi le caz**te di Fry: Disincanto è tutt’altra pasta. È una comicità più matura, più riflessiva, ma nonostante tutto non perde le sue capacità di intrattenimento. È un inno al femminismo, all’autodeterminazione e alla ribellione contro gli standard sociali. Soprattutto, non si vergogna di esserlo anzi lo mostra apertamente sin dall’inizio.

Disincanto

La principessa Bean potrebbe benissimo essere leader di qualche movimento per la parità dei sessi e per la lotta al patriarcato. Il suo personaggio è perfettamente strutturato sin dall’inizio senza essere né comicamente clichettaro, né demenziale. È una meravigliosa presa in giro alla classica principessina che canta con gli animali di matrice disneiana, con l’aggiunta di quel pizzico di serietà in più che la rende un personaggio a tutto tondo e non una semplice caricatura.

Bean diventa portavoce di un messaggio, che poi non è altro che il messaggio stesso della serie: non rinunciare mai a essere se stessi, solo per rispecchiare degli stigmi sociali.

In un periodo storico più intollerante che mai, Matt Groening sembra aver centrato il nocciolo della questione toccando tutto con la più assurda e sottile satira mai esistita. Disincanto è un meraviglioso gioiellino di critica sociale (fatta con un tatto straordinario) da godere tutto d’un fiato, un prodotto che promette bene sin dai primi dieci minuti. Grazie della ventata d’aria fresca Matt, ne avevamo proprio bisogno.

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