Con The Vanquishers si è conclusa la saga del Flusso di Doctor Who e la sensazione è un qualcosa di già visto. La nostra mente torna subito a Journey’s End della quarta stagione. Molti sono i momenti in comune, due su tutti: troviamo tre Dottori anche se la loro presenza si è originata in maniera differente nei due episodi, Ten e Thirteen si vedono presagire la loro fine. Ma, mentre Journey’s End è stato criticato da alcuni per aver rappresentato tutto in modo troppo ordinato (con Ten che trainava la Terra attraverso il vortice temporale), il problema con The Vanquishers è quanto è stato lasciato senza spiegazione, un filo logico o ignorato.
Innanzitutto tornano i Sontaran in Doctor Who, con un piano bellico concettualmente brillante. Mostra la follia militare “tutto o niente” che rende i Sontaran così temibili ma che raramente siamo riusciti a vedere. Infatti, non solo requisiscono la flotta dei Lupari per sopravvivere al Flusso, ma tradiscono Dalek e Cyberman all’ultimo minuto in modo da diventare la razza dominatrice dell’universo e da avere abbastanza materia prima per annullare il Flusso. I problemi sono due. Non c’è quell’equilibrio tra comicità e minaccia sanguinaria di War of the Sontaran: infatti qui sembrano dei cattivi più scherzosi che pericolosi, come dimostra la loro dipendenza dal cioccolato.
L’altro problema, più grave, riguarda la risposta del Dottore al loro piano.
Una volta resosi conto della situazione, Thirteen commette genocidio tre volte, non avvertendo i Dalek e i Cybermen e gettando i Sontaran nel Flusso. E mentre anche i Dottori precedenti hanno compiuto atrocità simili, quei gesti sono stati descritti come l’aver dovuto attraversare una linea, un attimo di arroganza redarguito da uno dei companion, oppure uno di quei calcoli freddi che avrebbe fatto cacciare chiunque dal TARDIS. Tuttavia, Thirteen spazza via i suoi nemici con gioia, mentre i compagni non fanno commenti sull’ambiguità morale delle sue azioni. Difficilmente questo Dottore sembra la stessa persona di Nine pieno di sensi di colpa o di Twelve fermamente contrario alla guerra.
Quando il Piano A non riesce, il B viene elaborato non dal genio del Dottore ma da Diane, il cui tempo intrappolata in un Passeggero le ha dato una conoscenza profonda del loro funzionamento, tanto da impressionare un Vinder addestrato a combatterli. Un po’ sconcertante vedere Diane così ben informata quando non abbiamo passato del tempo a guardarla capire queste cose, anche se l’uso di un Passeggero è un artifizio di trama intelligente finché accettiamo che sia simile al TARDIS.
Però, spezzando una lancia a favore di Thirteen, la parte migliore di questo episodio di Doctor Who è l’interpretazione di Whittaker.
Mentre lotta sotto il peso della sceneggiatura di Chibnall, è determinata a portare quanta più vitalità e arguzia possibile a Thirteen. In effetti, ci sono molti momenti divertenti in cui si sente simile a un Dottore più che mai, dall’incontrare una nuova figura storica al flirtare spudoratamente con sé stessa. Brilla nelle scene con il Grand Serpent, è adorabile in quelle finale con Yaz, con quella singola dolce lacrima che scende sul suo viso. Certo, in quell’istante tutti stavamo aspettando qualcosa di più, ma ormai abbiamo imparato che in Doctor Who l’amore tra il Signore del Tempo e la companion deve rimanere inespresso.
È vero poi che tutti hanno un momento per emergere in Doctor Who, che si tratti di Yaz che frigge alcuni Sontaran, della vendetta di Karvanista sul comandante Stenck o di Bel che si fa strada in un’astronave con una barra di metallo. Ma ancora una volta gli eroi rimangono inconsistenti. Dan, al centro dei primi due episodi, è qui ridotto a un personaggio di sottofondo. Mandip Gill è (nuovamente) sprecata come Yaz. Kate Stewart non ha alcuna influenza sulla trama, la UNIT non prende parte alla battaglia e tutto quello che il suo leader fa è stare a guardare. Vinder e Bel, nonostante le interpretazioni dei loro attori, avrebbero potuto essere rimossi dalla storia e niente sarebbe cambiato. Lo stesso vale per il Gran Serpent, scaricato su una roccia spaziale così presto dopo la tanto attesa reunion con Vinder e Kate, che non abbiamo capito a che è servito passare così tanto tempo sulla Terra per infiltrarsi nella UNIT. Forse, come Tim Shaw, viene salvato per un futuro ritorno? Il vero vincitore è il professor Jericho, uno splendido personaggio che purtroppo, anche se la sua morte dipende più dalla sfortuna che da un sacrificio, è sempre stato destinato a essere l’unico eroe a non farcela.
Tornando a parlare di villain, il maggiore problema di Flux sono i suoi principali antagonisti.
Per cinque puntate i loro motivi e la loro storia sono stati avvolti da un completo mistero, una decisione che ha creato più confusione che curiosità. Le cose non migliorano nel finale. I Ravengers affermano di voler distruggere l’universo perché odiano la vita stessa e hanno un rancore passato verso il Dottore, ma non ci viene detto il perché di tutto questo. Le loro affermazioni criptiche cadono nel vuoto, rendendoli non solo unidimensionali, ma meri espedienti di trama piuttosto che personaggi reali. Non aiuta poi che abbiano dovuto condividere i riflettori con altri cattivi più popolari. Inoltre lo scontro tra i mostri classici di Doctor Who è abbastanza avvincente per portare avanti una stagione da solo, quindi è frustrante vedere così tanto tempo sprecato con i Ravagers che sono molto meno interessanti. Senza contare che Swarm e Azure vengono uccisi senza tante cerimonie dall’incarnazione del Tempo stesso. Il fatto che sia un essere vivente e apparentemente malevolo è una bomba per Chibnall che cade così casualmente, ma non sarebbe la prima volta che si imbatte in una rivelazione così grande.
Alla fine, l’unica azione degna di nota dei Ravengers è uccidere Tecteun, la mente dietro il Flusso.
Parlando di questo, la prima metà della trama ha fatto di tutto per sottolineare la distruzione che il Flusso ha portato, con intere civiltà sfollate e la guerra interstellare scoppiata, anomalie temporali e altri orrori cosmici. Alcuni hanno pensato che il Dottore avrebbe corretto gli effetti del Flusso, altri che le ricadute sarebbero persistite nell’ultimo anno di Whittaker. Invece il tutto è stato nascosto sotto il tappeto ora che la storia è finita. Nessuno sta piangendo la perdita di trilioni di vite, né Thirteen sembra che stia cercando di riparare al danno data l’allegra affermazione di Yaz che “non hanno idea” di dove stanno andando. È esasperante pensare che Chibnall non abbia intenzione di affrontare le conseguenze della sua stessa creazione, o che abbia intenzione di farlo ma ci abbia erroneamente dato l’impressione che non dovremmo continuare a preoccuparcene.
Senza dubbio questa è la stagione più forte di Chibnall, con alcuni dei suoi episodi migliori come Village of the Angels. Eppure sembra andare costantemente sulle montagne russe: dovremmo goderci il viaggio ma, una volta finito, non siamo destinati a rimuginarci sopra, passando subito alla giostra successiva. Il ritmo è stato così estenuante che avevamo bisogno di una fine. Ma non di questa. Troppe cose sono state inserite e altrettante ne sono successe negli ultimi sei episodi di Doctor Who, ma niente di tutto ciò è servito a rispondere soddisfacentemente alle nostre domande. The Timeless Children potrebbe essere stato un disastro, ma almeno ha avuto delle conseguenze. Nonostante tutto il clamore, nessuno degli eventi in Flux sembra aver significato qualcosa o avuto degli effetti duraturi.
Parte della mitologia di Flux rimane ignota, come lo stesso Time o i ricordi di Thirteen gettati nelle profondità del TARDIS. È difficile biasimarlo: come potrebbe il Dottore essere sommerso dai ricordi di dozzine di incarnazioni forse meno nobili? Ma sappiamo bene che il suo mandato terminerà quando aprirà quell’orologio, in quei tre speciali in cui è già stato annunciato il ritorno del Maestro (aumentando così l’hype, il che non è sempre una cosa positiva come abbiamo visto in Flux) e dove speriamo di avere più calma, più risposte, meno frenesia e insoddisfazione. Perché, a quanto pare, il finale di Thirteen deve ancora essere scritto.