Quando venne chiesto a David Tennant un parere su Wild Blue Yonder, il secondo speciale per il sessantesimo di Doctor Who (in streaming su Disney+), l’attore rispose che è una puntata:
“Scioccante… diverso da qualsiasi altro episodio”.
E non possiamo dagli torto. Già, perché inizialmente il geniale Russell T. Davies ci aveva ingannato, presentandoci un intro dove Donna e Fourteen incontrano l’unico personaggio storico in grado di comprendere la “gravità” della situazione, ovvero Isaac Newton, e c’è questa riscrittura della storia che, magari, può farsi sentire nel terzo speciale. Ma non in questo. Lungi dall’essere il classico episodio storico-didascalico che abbiamo visto innumerevoli volte in Doctor Who, Wild Blue Yonder si trasforma in tutt’altro. Ribaltando il concetto della puntata Doctor-lite, ovvero dove il Dottore non è presente o lo è in scala ridotta, e di episodio bottiglia e filler (cioè riempitivo e a budget ridotto) perché lo sembra ma non è né uno né l’altro, Davies costruisce uno speciale “genuinamente strano” e che vira sulla fantascienza horror, pur bilanciando alla grande dramma e commedia. Allontanandosi dalla frenesia di The Star Beast, ci troviamo davanti a una narrazione più cupa, più attenta ai concetti dello spazio e del tempo, più adulta e decisamente più introspettiva.
Del resto, quello che sta facendo Davies con gli speciali di Doctor Who è analizzare tutte le diverse anime di uno show in grado di divertire, spaventare, far riflettere e prendersi il suo tempo per scavare nell’anima del Dottore. E ci è riuscito brillantemente.
Fourteen e Donna si trovano così ai confini dell’universo, su una misteriosa astronave apparentemente vuota ma in cui il TARDIS ha percepito una minaccia così grande da darsela a gambe. Soli, in un luogo ostile, enorme ma paradossalmente claustrofobico, in cui non esistono stelle o pianeti, si troveranno faccia a faccia con dei doppelganger che possono assumere qualsiasi forma vogliano. Oltre a ricordare l’episodio Midnight, è evidente la grande conoscenza cinematografica di Davies che attinge dall’immaginario orrifico e asfissiante de La cosa di John Carpenter, di Alien di Ridley Scott, di Noi di Jordan Peele e del gusto del body horror di David Cronenberg (seppur smorzato e fatto a misura di famiglie). Questi alieni mutaforma sono villain spaventosi, all’apparenza buoni ma che poi si trasformano in mostri con denti vampireschi e corrono inquietantemente come dei licantropi, ingannevoli e complessi da fronteggiare soprattutto in questa astronave gigantesca che cambia continuamente (come le stanze di The Cube se ci pensiamo) e in cui, a ogni angolo, potrebbe spuntare fuori un alieno o un mutaforma diverso. Senza preavviso alcuno. Ed ecco perché i classici jump scare sono perfetti in un racconto basato sulla pura paura dell’alieno; una cosa bizzarra in Doctor Who, ma che qui ha perfettamente senso.
Davies riprende anche i temi dei citati film del filone fanta-horror, come la solitudine, il dubbio, l’impotenza, la paura dell’altro e di sé stessi, le false identità e il confronto con l’alterità. In particolare, a essere centrale è il rapporto tra Donna e il Dottore.
Gli alieni, infatti, potendo assumere le loro forme, mettono alla prova la loro amicizia perché, per quanto siano chiaramente due anime gemelle anche se non nel senso amoroso, non si vedevano da ben quindici anni. La scena in cui Fourteen calma una Donna nel panico con un bacio sulla mano, per poi posizionarla sul suo cuore, è segno del loro legame, di quella fiducia incontrastata nell’altro e una delle più belle che si siano mai viste in Doctor Who. Durante quei dialoghi appassionanti e che sono talmente ben fatti che il tempo vola, al punto che sembra di aver visto una puntata da 20 minuti e non una da quasi un’ora, vengono svelati alcuni ricordi di Donna Noble, con quei bizzarri racconti ricchi della tipica ironia di Davies e pieni di comicità. E, attraverso il tema del doppio e di quella dicotomia che percorre l’intero speciale di Doctor Who, viene celebrata l’umanità di una donna che crede di essere intelligente e stupida allo stesso tempo, senza metterla semplicemente in contrasto con l’ambientazione aliena.
Soprattutto, a essere messo a nudo è il Dottore. Nel dialogo con la doppelganger di Donna, viene messo in luce quanto sia stato traumatico il conoscere che lui è il Bambino senza tempo che ha vissuto innumerevoli vite prima di First – e non un Signore del Tempo come aveva sempre creduto – e che è il responsabile della distruzione di mezzo universo in Flux. In questo modo Davies mette a tacere i rumor sulla possibile cancellazione di questi due eventi, che invece vengono resi canonici nella saga, riabilitando così il lavoro fatto da Chibnall. Del resto, forse c’erano decisamente più rischi a cancellarli che a confermarli e Davies ne era ben consapevole.
Ecco perché questo episodio è fondamentale: ci permette di comprendere come si senta il Dottore dopo i fatti avvenuti in Flux. Cosa che avvalora la nostra idea della rigenerazione in qualcosa che conosce.
E forse anche di comprenderne i reali effetti. È strano che Fourteen non si sia reso conto consciamente del cambiamento già citato della parola gravità con mavità (perché in un certo momento la pronuncia, correggendosi poi). Insomma, quando Rory Williams venne cancellato dal tempo, lui ne ricordava chiaramente l’esistenza. E poi Doctor Who non ha mai giocato così col tempo, data anche la presenza di punti fissi che assicurano che il Dottore non alteri troppo drasticamente la storia umana. È uno scherzo ricorrente nella puntata oppure è la causa della fine del mondo vista alla fine dello speciale? Oppure Davies sta creando una trama orizzontale in cui il Dottore è costretto a fare i conti con il Flusso Temporale in cui vive e le sue conseguenze pericolose? O è l’effetto di una delle sue recenti scoperte su sé stresso? Probabilmente il terzo speciale (anch’esso in streaming su Disney+) risponderà alle nostra domande. O almeno speriamo.
In ogni caso, dobbiamo fare una altra volta il plauso ai due interpreti di Fourteen e Donna. L’ambientazione quasi teatrale e il fatto di dover interpretare due personaggi ciascuno permette loro di prendere magnificamente il centro della scena e di elevare una recitazione già sopraffina a livelli stellari. E i due sono abilissimi nel portare avanti una puntata da un’ora sulle loro spalle, lasciandoci completamente a bocca aperta. Se di Tennant già sapevamo l’ampissima gamma recitativa, sorprende l’intensità drammatica di Tate, dato che l’attrice ha ricoperto ruoli prettamente comici. A loro, poi, si unisce quel Bernard Cribbins, alias Wilf, che ci ha fatto scendere più di una lacrima dalla commozione. Anche perché l’attore è morto proprio dopo aver girato questo cameo, all’età di 93 anni; per questo l’episodio è dedicato a lui (e sarebbe dovuto apparire anche nel successivo speciale, ma la sua salute non glielo permise). Con lui, presenza costante di Doctor Who, è come si chiudesse un’era e si festeggiasse al meglio i sessant’anni di una pietra miliare della TV.
Allora, Wild Blue Yonder può essere considerato quasi il ponte tra l’ormai vecchio revival di Doctor Who e l’arrivo del Doctor Who: Modern, ormai imminente. Attraverso una narrativa diversa e intrigante, una sceneggiatura appassionata e performance incredibili, ci viene regalata un’ora di poeticissima e profonda televisione, in cui ci viene ricordato ancora una volta perché amiamo Donna e il Dottore, Catherine Tate e David Tennant. E sarà dolorosissimo doverli salutare tra pochi giorni; dunque, non resta che goderci la loro ultima corsa insieme, nel terzo speciale in streaming su Disney+.