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Dune – la Recensione del sensazionale universo riadattato da Denis Villeneuve

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La lunga ed estenuante attesa è finalmente finita: il nuovo kolossal di fantascienza Dune ha catalizzato l’attenzione del pubblico della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia ed è ora finalmente nelle nostre sale cinematografiche, pronto a rapire anche noi nei suoi paesaggi desertici, lontani dalla nostra realtà. Le elogiate doti registiche di Denis Villeneuve, noto già per i suoi precedenti lavori Blade Runner 2049 e Arrival, e l’intensa campagna promozionale a sostegno del suo nuovo progetto, hanno alimentato curiosità e alzato le aspettative, sicuramente degli amanti del genere ma anche di chi attendeva di potersi godere un mastodontico capolavoro dopo non aver varcato le soglie di un cinema da diversi mesi.

Realizzare Dune, inoltre, non è stata considerata un’impresa facile da compiere degnamente e a confermarlo è il fatto che questa storia porta sulle sue spalle il fardello di alcune trasposizioni filmiche naufragate nel fallimento. La più nota è attribuita al visionario regista David Lynch, il quale nel 1984 diede forma a un film “frettoloso” e, soprattutto, poco attento alla corposità del romanzo da cui la storia è tratta. Questa volta, i presupposti erano certamente ben diversi, ma il rischio era alto e il fallimento si sarebbe consumato sotto gli occhi dei molti spettatori pronti a puntare il dito contro la difficoltà di questa “missione suicida”. Dune nasce da un romanzo del 1965, ideato e scritto da Frank Herbert, autore passato alla storia del genere grazie a questa sua appassionante saga. Nonostante l’accoglienza fu piuttosto tiepida, lo scrittore credette nella sua creatura e decise di scriverne sei tomi, creando un intero universo narrativo innovativo, capace di fondere ambientazioni esotiche e riflessioni politico-filosofiche, toccando vette di complessità ancora sconosciute per i suoi contemporanei.

Quello che traspare in questo film di Denis Villeneuve è l’atteggiamento ossequioso assunto nei confronti del romanzo. Mentre uno dei difetti della pellicola di Lynch era stato quello di velocizzare gli eventi e banalizzare la mole imponente della narrazione, Villeneuve sembra prendersela comoda. Non ha fretta e questo ci arriva forte e chiaro. La narrazione, in alcuni punti particolarmente lenta e in pochissimi altri flemmatica, vuole proprio scongiurare un effetto di accelerazione immotivata. In certi momenti, sentiamo il minutaggio che scorre sotto i nostri occhi senza che le sequenze siano sostenute da altrettanta sceneggiatura. I dialoghi sono ridotti all’essenziale e, senza ombra di dubbio, il punto forte della visione è l’esperienza sensoriale totalizzante che ogni comparto produttivo, al meglio dei suoi sforzi, è riuscito ad ottenere. Il regista ha dichiarato di aver letto il romanzo a soli 12 anni e di aver maturato il desiderio di potersi dedicare a questo progetto, trasformando anche i suoi precedenti lavori di genere fantascientifico in una palestra che gli consentisse di giungere preparato a questo momento della sua carriera.

Scrivere di Dune non è facile, proprio perché i punti di vista sotto cui osservare questo progetto cinematografico sono molteplici e tutti, in eguale misura, hanno contribuito allo straordinario risultato finale. Siamo in un lontano futuro e la specie umana vive in condizioni tecnologicamente avanzate che permettono di viaggiare tra mondi e galassie diverse. I giochi di potere tra i differenti popoli si esplicano in un sanguinario conflitto al fine di assicurarsi il controllo esclusivo dei traffici della Spezia, la più preziosa risorsa esistente, una materia prima capace di sbloccare il più grande potenziale dell’umanità. Lo sperduto pianeta desertico Arrakis, conosciuto anche come Dune per via della sua conformazione prevalentemente desertica, è campo di spietate battaglie in quanto principale produttore dell’inestimabile sostanza.

Intanto Paul Atreides (Timothée Chalamet), l’erede reale della nobile Casa Atreides, è costantemente perseguitato nei suoi sogni dalle visioni di una misteriosa ragazza e di un fatale futuro che sembra inevitabile. Il viaggio verso la strada del suo misterioso destino ha inizio quando è chiamato a lasciare il luogo sicuro in cui è cresciuto per sbarcare su Arrakis, terra di insidie e pericoli. I loro nemici giurati, gli Harkonnen, ormai da anni hanno posto le fondamenta per un glorioso impero di sottomissione della popolazione autoctona, i Fremen, dominatori del deserto che vengono brutalmente assassinati, i quali vivono nell’attesa dell’arrivo del Messia che cambierà le sorti della storia dell’intera umanità. Come anticipato, Dune non è solo un racconto spettacolare di pura fantascienza ma riesce a trattare tematiche complesse e controverse tra cui i giochi di potere e dominio a scapito dei più deboli, il rapporto tra l’ecosistema naturale e la mano distruttrice dell’uomo e la paura che attanaglia coloro che si sentono investiti di una responsabilità più grande di se stessi.

Paul Atreides ha il volto del talentuoso Timothée Chalamet, attore del momento perfettamente capace di incarnare la giovane età di un uomo che è sul punto di intraprendere un cammino di formazione alla scoperta di oscuri misteri e del destino che lo attende. La corporatura esile del suo interprete, inoltre, ribadisce la sua forza mentale e d’animo ben più potente di quella fisica, nonostante le sue doti da lottatore, per cui si è da sempre allenato. Abbiamo avuto poche occasioni di vedere il personaggio di Chani, se non nelle fasi finali del film, ma Zendaya ha dato prova di essere a suo agio nel ruolo di una Fremen dai tratti orientali, e siamo certi che darà prova delle sue doti recitative nel proseguo del racconto. Il cast da l’impressione di essere stato oggetto di un accurata scelta che potesse compendiare qualità e perfetto allineamento col ruolo interpretato, come vediamo nel caso del benevolo e deciso Duca Leto, padre di Paul, interpretato da Oscar Isaac, e della sua impenetrabile madre, Lady Jessica, è interpretata da Rebecca Ferguson. Altre piacevoli presenze sono quelle di Josh Brolin (mentore Gurney Hallec), Jason Momoa (Maestro d’armi Duncan Idaho), Javier Bardem (capo tribù Stilgar) e l’oscura Reverenda Madre Mohiam dell’enigmatica sorellanza Bene Gesserit, interpretata da Charlotte Rampling.

Denis Villeneuve punta alla perfezione in ogni aspetto. La fotografia di Greig Fraser è capace di veicolare magnificamente i colori dominanti delle diverse ambientazioni della storia, dal grigio plumbeo della Casa degli Atreides ai gialli dorati e accecanti del pianeta di Dune, dove l’abbagliante luce, a tratti, impedisce anche a noi spettatori di distinguere i volti e contribuisce a farci perdere l’orientamento in quanto neofiti di questo ambiente, proprio come Paul. La ricostruzione dei mezzi di trasporto e dell’equipaggio costruiti per sopravvivere al caldo torrido del pianeta di sabbia è curata in ogni dettaglio e l’elevatissima qualità del comparto grafico è indiscussa. Tuttavia, è bene riconoscere che senza il genio musicale di Hans Zimmer, il film non avrebbe avuto un tale grado di coinvolgimento. La colonna sonora realizzata dal noto compositore tedesco colora le atmosfere della narrazione e contribuisce a catturarci, sin dal primo minuto, in un’esperienza sensazionale fuori dai nostri confini quotidiani. I viaggi nello spazio, inoltre, spesso riecheggiano l’Odissea kubrickiana con la scelta di zone di buio profondo che fanno da contrasto a spazi di luce posti ai margini dell’intero del campo visivo dello spettatore.

La scelta di connotare il popolo dei Fremen con tratti tipicamente medio-orientali può essere considerata una mossa estremamente intelligente e architettata, poiché permette di empatizzare più profondamente con uomini e donne di questa etnia, i quali vivono una violenta e brutale sottomissione. Ci ricordano alcune circostanze della realtà storico-sociale contemporanea, come il radicato pregiudizio nei confronti della presunta cattiveria e aggressività di coloro che abitano Medio-Oriente, e riflettono le difficoltà di un incontro diffidente che richiede la capacità di andare oltre, di scoprire ciò che si nasconde dietro alle apparenze o alle opinioni comuni.

L’attività di world building, dunque, è l’essenza di questo film che punta, oltre che su alcune tematiche che richiedono una riflessione a posteriori più profonda, alla costruzione di un’estetica grandiosa, fatta anche di richiami storico-artistici importanti, come le ziqqurat della Mesopotamia e i bassorilievi babilonesi. Le riprese enfatizzano l’operazione mastodontica messa in piedi dalla ricostruzione grafica delle ambientazioni ma, ai campi lunghi e lunghissimi, si alternano primi piani molto stretti che privilegiano volti e sguardi, carichi di tensione ed espressività. Per questo, Dune è una sinergia di forze che funzionano bene proprio in virtù della perfetta concertazione di Villeneuve.

Nonostante l’esperienza immersiva di Dune sia riuscita a pieno e sotto ogni punto di vista, è evidente che la scelta di non spingere sull’acceleratore ma di enfatizzare la sospensione spazio-temporale dell’intero racconto, possa non essere stata compresa e, addirittura, abbia dato l’impressione di una ridondanza eccessiva.

La solennità di alcune sequenze avrebbe richiesto qualche battuta in più per stamparsi nella mente dello spettatore non solo con la potenza visiva ma anche con il carico emotivo che i dialoghi sono in grado di portare con se. La prolissità potrebbe essere giustificata dal fatto che si tratti di una prima parte introduttiva che più che volerci immettere in uno scenario carico di azione, ha preferito preparare il terreno. Ci ha introdotti in un quadro variegato, in cui i presupposti per stupirci ci sono tutti ma non sono stati ancora chiamati in causa. Fermarsi qui significherebbe aver creato un progetto monco, destinato ad essere dimenticato nel giro di pochi anni. Dune ha bisogno di continuare a raccontare dal momento che, fisiologicamente, questo primo film è stato soltanto una parte introduttiva che ci ha fornito le coordinate per prepararci a un viaggio stupefacente, oltre ogni nostra immaginazione. Attendiamo trepidanti che l’Epica possa prendere il sopravvento e le gesta eroiche e leggendarie dei suoi protagonisti ci catturino in vortice fatto di sensazionali sorprese, dove il vento sabbioso soffia impetuoso.

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