Il disastro di Rigopiano è una ferita ancora aperta nella memoria collettiva italiana. La valanga che il 18 gennaio 2017 travolse l’hotel Rigopiano, in Abruzzo, provocando la morte di 29 persone, ha lasciato dietro di sé domande, dolore e polemiche mai del tutto risolte. Sky, ispirandosi al podcast di Pablo Trincia, ha tradotto questa tragica storia in una docuserie, dando un volto ai protagonisti della storia narrata nel podcast. E poi il silenzio offre uno sguardo intimo e dettagliato sugli eventi di quei giorni, intrecciando testimonianze inedite, ricostruzioni e documenti esclusivi. Più di una semplice cronaca, la serie si propone di scavare nella complessità umana e istituzionale del disastro, ponendo interrogativi sulla gestione dell’emergenza e sulle responsabilità. Una narrazione intensa e dolorosa che invita a non dimenticare e a riflettere sul valore della memoria e della giustizia.
E poi il silenzio. Il contesto di una tragedia più che prevedibile
Per comprendere al meglio questa storia, bisogna contestualizzare partendo da quella che, lo stesso Pablo Trincia, definisce la trentesima vittima del disastro: L’hotel Rigopiano. L’albergo era un lussuoso resort situato a Farindola, ai piedi del Gran Sasso, e venne concepito come una destinazione di lusso per chi cercava tranquillità in mezzo alla natura. Tuttavia, la sua posizione lo rendeva altamente vulnerabile in caso di eventi meteorologici estremi. Nei giorni precedenti al 18 gennaio, in cui si verificò la tragedia, l’Abruzzo era stato colpito da abbondanti nevicate. Molte località si trovavano già isolate, e una serie di scosse sismiche aveva aggravato ulteriromente la situazione. Dunque, la valanga che travolse l’hotel Rigopiano si è formata a causa di un insieme di fattori naturali, tra cui il peso della neve accumulata e il terremoto. E poi il silenzio sottolinea anche come la tragedia non sia stata esclusivamente il risultato di circostanze naturali.
Al centro delle indagini e del racconto figura l’incapacità delle autorità locali (e nazionali) di affrontare efficacemente una situazione così complessa. La docuserie di Sky si focalizza sulle cause e sui problemi gestionali, gettando luce su una serie di errori e ritardi che hanno contribuito a peggiorare le conseguenze del disastro. E poi il silenzio si divide in cinque episodi, contro gli otto complessivi del podcast originale. L’approccio utilizzato nella docuserie è multidimensionale: si alternano testimonianze dirette e inedite, analisi tecniche e ricostruzioni visive. Inoltre, Pablo Trincia e il suo team sono andati a scavare nel passato dell’hotel, facendo emergere l’anima di quello che per molte persone era più di un punto di riferimento. In ogni episodio si approfondisce un aspetto specifico del disastro, dalla cronaca degli eventi al contesto istituzionale, passando per le storie personali delle vittime e dei loro familiari.
La docuserie amplia dunque la narrazione grazie alle immagini, e lo fa in modo non banale
Il cuore della narrazione di E poi il silenzio sono proprio le testimonianze dei sopravvissuti e dei soccorritori. Questi sono testimoni non solo dell’impatto fisico e psicologico della tragedia, ma soprattutto del dolore vissuto in prima persona, sia durante l’operazione di salvataggio che durante il processo. Come al solito, Pablo Trincia conduce le intervista con estrema sensibilità, riuscendo a ritagliare uno spazio sicuro per chi racconta. La forza della docuserie sta nella capacità di bilanciare il coinvolgimento emotivo con un’indagine giornalistica approfondita. Uno degli aspetti più toccanti e profondi di E poi il silenzio è il modo in cui si dà voce alle vittime e ai loro familiari. Le loro storie emergono come un mosaico di vite interrotte, tra i ricordi dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime. Attraverso i ricordi e le parole dei sopravvissuti, lo spettatore si ritrova all’interno dell’hotel, vivendo con loro l’angoscia dell’attesa sotto le macerie.
Dal punto di vista visivo, la serie riesce a conferire a questo racconto una dimensione emotiva straordinaria, nonostante la narrazione sia stata tagliata rispetto al podcast. La regia di Paolo Negro si avvale di ricostruzioni generate dall’IA per rappresentare la dinamica della valanga. Queste tecniche giornalistiche offrono al pubblico una visione chiara di come il disastro si sia sviluppato. Ma una delle scelte più suggestive in assoluto è l’uso dei filmati girati dagli ospiti dell’hotel poco prima del disastro. I video sono stati proiettati sulle rovine dell’hotel: questa scelta stilistica è volta a creare un impattante contrasto tra la serenità di quei momenti e la devastazione successiva. Tale espediente visivo non solo rafforza l’impatto emotivo della narrazione, ma sottolinea anche l’assurdità di una tragedia che avrebbe potuto essere evitata.
E poi il silenzio nasce dal podcast omonimo di Pablo Trincia, trasposizione che si era già verificata in passato
Non è la prima volta che il team di Pablo Trincia e Sky lavorano insieme alla trasposizione audiovisiva di un podcast. Era già successo, infatti, con Dove nessuno guarda, opera in cui il giornalista ricostruì minuziosamente la vicenda di Elisa Claps. Uno dei principali dubbi riguardo questa scelta potrebbe sorgere dagli inevitabili tagli da attuare per la trasposizione. In effetti la narrazione è più scarna, ma il peso delle immagini restituisce al racconto un valore emotivo inestimabile. La docuserie sfrutta video e immagini per amplificare l’impatto emotivo e rendere la narrazione più immediata. La verità è che i due formati si completano a vicenda, dando al pubblico l’opportunità di scegliere il livello di approfondimento che preferisce. Il podcast si rivolge a chi desidera una comprensione più dettagliata e analitica dei fatti. La docuserie è invece ideale per chi vuole immergersi nella storia attraverso un’esperienza visiva intensa e coinvolgente.
E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano è una docuserie che va ben oltre il semplice racconto di una tragedia. L’opera di Pablo Trincia invita innanzitutto alla riflessione e mette in discussione il rapporto tra uomo e natura. Ma la cosa più importante è il modo in cui sottolinea l’importanza della responsabilità collettiva nella gestione delle emergenze. Pablo Trincia ha dimostrato ancora una volta la sua innata capacità di affrontare certe tematiche con sensibilità e rigore. Il risultato è un’opera che non si limita a informare e documentare, ma che commuove e riflette sul senso di speranza. La serie è un tributo alle vittime e ai loro familiari, nonché un monito affinché tragedie simili non si ripetano.