Se amate il cinema, ci sono dei giorni che aspettate un po’ come i bambini aspettano il Natale. Uno di questi è appena arrivato: quello dell’annuncio delle nomination ai Premi Oscar 2025. Dopo una serie di ritardi dovuti agli incendi che non smettono di divampare a Los Angeles, le cinquine – o decine, come nel caso del Miglior Film – di film che competono nelle diverse categorie sono state rese pubbliche. A dirla tutta, cosa che nel mio caso ha reso questa giornata un po’ meno emozionante, sono state tante le conferme e poche le sorprese: la maggior parte delle pellicole selezionate sono proprio quelle delle quali più si era parlato come di papabili candidati nelle diverse categorie. E tra queste conferme, portandosi già a casa il ruolo di film che ha ottenuto più candidature, c’è anche Emilia Pérez.
Nell’ultimo anno di Emilia Pérez si è parlato parecchio. Dopo la presentazione in anteprima al Festival di Cannes del 2024 e l’ovazione di 9 minuti che ne è seguita, di questo musical drammatico si è detto tanto, tantissimo. Forse anche troppo. È stato definito il musical contemporaneo, un film capace di cambiare prospettiva a chi lo guarda, quello di cui non sapevamo di avere bisogno. Con il passare dei mesi sono cominciati ad arrivare anche giudizi meno favorevoli, ma in linea generale si è detto tanto e si è detto bene. Le candidature come Miglior Film, Miglior Film Straniero e Miglior Regia (tra le altre) lo confermano, così come lo confermano i Golden Globes da poco ritirati. Ma c’è un “ma”. Perché Emilia Pérez, nella sua complessità e sicuramente anche necessità, non sempre convince.
Emilia Pérez: la trama
Siamo a Città del Messico. Juan Del Monte, meglio conosciuto come Manitas, è il boss di un cartello messicano. Rita Mora Castro è una praticante in uno studio legale nel quale le danno poca considerazione e pochi soldi, uno studio che si occupa più di farla passare liscia ai ricchi che a far valere le parti di chi ha effettivamente ragione. Dopo la vittoria di un caso importante e complesso, Manitas chiama Rita con una richiesta d’aiuto ancora misteriosa, che potrà ascoltare solo dopo averla già accettata. Rita è titubante, ma accetta con la consapevolezza di quanto sia difficile per lei uscire dall’alienazione in cui si trova. La richiesta è effettivamente unica nel suo genere: Manitas, in quanto donna transgender (interpretata da Karla Sofía Gascón, prima donna transgender nominata come attrice protagonista agli Oscar), vuole un aiuto per sottoporsi alla chirurgia di riassegnazione del genere.
Detto fatto. Con l’aiuto di Rita, Manitas si finge morto per essere finalmente la persona che ha sempre voluto essere: Emilia Pérez. Gli anni passano, Emilia continua la sua vita non proprio nella pura legalità, mentre Rita è diventata un’avvocata di successo. Ma il legame tra le due è solo al principio. Emilia torna infatti da Rita con una nuova richiesta: aiutarla a portare di nuovo in Messico sua moglie (presunta vedova) e i suoi figli, mandati in Svizzera per protezione poco prima della sua presunta morte. Una scelta, questa, che non può non avere pesanti conseguenze e che darà inizio a un sodalizio tra due donne che nel film rappresentano molto più che “solo” se stesse.
Emilia Pérez è certamente una storia di identità da cercare e riaffermare
È la storia di una donna che si è sempre sentita tale ma che così non è mai stata percepita. Stando così le cose, si è ritrovata a dover essere il più cattivo tra i cattivi, il più forte, il più violento. Per provare a essere se stessa, Emilia è letteralmente costretta a uccidere Manitas, a cancellarlo per prendersi lo spazio che merita. Il suo spazio. Ma anche così, con il corpo e il nome di Emilia Pérez, la vita non è necessariamente più semplice. Deve ridefinire il suo ruolo nel mondo e nella sua famiglia, passando da padre a zia. Un ruolo, questo, che non sempre le sta bene. Ma la questione è più ampia di così, perché qui si tratta anche del suo ruolo nella società: boss della malavita prima, donna che combatte per i diritti dei desaparecidos e delle loro famiglie poi.
È così che la storia identitaria di Emilia si connette a quella più ampia di un popolo e di un Paese, il Messico, che come la protagonista del film vive una perenne contraddizione. Sono in contraddizione le donne che dopo anni cercano ancora i loro figli ormai morti con un sistema criminale che ne disperde i corpi per assicurare se stesso. Sono in contraddizione il sistema della giustizia e gli avvocati che costantemente premiano chi ha i soldi a discapito di chi ha ragione. Ancora, sono in contraddizione i criminali con se stessi, assassini da un lato e finanziatori di enti benefici dall’altro. Ed Emilia con tutti i suoi ruoli, essendo una e tante, di tutte queste contraddizioni è l’emblema più grande.
Ma c’è un “ma”: in nessuna scena del film ci si sente, forse, davvero vicini a lei.
Mi sono approcciata al film con la curiosità di chi ne conosce i temi ma non la trama. Ne avevo già letto, ne avevo ovviamente già sentito parlare, e forse proprio questo sentirne parlare così tanto mi ha portata a pensare che mi sarebbe dovuto piacere per forza. Mi aspettavo che fosse anche il mio film, il mio musical. In realtà così non è stato, o per lo meno non completamente. Il punto è che per quanto io comprenda e apprezzi ciò che Emilia Pérez, in quanto film e in quanto donna, vuole rappresentare, non sono mai riuscita a entrare in empatia con lei. Non mi ha parlato dritto al cuore. Forse semplicemente non sono riuscita a capirla davvero.
La rappresentazione che di lei si fa nelle prime scene in cui finalmente possiamo vedere la vera Emilia mi è sembrata a tratti un po’ forzata. La donna che vediamo da un certo punto in poi (no spoiler) sembra invece essere un’altra, talmente tanto da farmi pensare che Manitas non sia poi così lontano. Ma la cosa peggiore è che un po’ me l’aspettavo: sapevo che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Un qualcosa che avrebbe rivoluzionato, di nuovo, il modo in cui Emilia viene vista dagli altri personaggi e da noi.
Emilia Pérez non mi ha sorpreso e non mi ha emozionato come credevo
Ma comunque stiano le cose, e quale che sia il mio giudizio a riguardo, resta il fatto che è uno di quei film che, da una parte o dall’altra, spostano il pubblico. C’è chi lo ha amato per il suo modo di trasporre il musical in un dramma poliziesco a tratti thriller (se siete amanti dei musical, ecco 7 prodotti che dovreste assolutamente vedere). C’è chi lo ha criticato per la rappresentazione delle donne transgender, una tematica della quale il film vuole invece farsi deciso portatore. Non ha lasciato quasi nessuno a bocca chiusa, in un modo o nell’altro. E forse proprio questo sovraffollamento di informazioni, opinioni e recensioni rende a chi lo guarda ora il lavoro un po’ più complesso.
Ma va anche detto che, se ne pensi bene o se ne pensi male, questo film è in grado di stimolare riflessioni. Riflessioni su noi stessi e sul nostro ruolo, su chi siamo, chi vorremmo essere e come vorremmo essere visti e percepiti dal prossimo. Questo glielo riconosco, e non è affatto poco.