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Esterno Notte 1×05/1×06 – La Recensione delle ultime due puntate

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulle ultime due puntate di Esterno Notte

Ci speri sempre. Chiudi gli occhi, ti perdi nell’ucronia di una realtà alternativa, la vivi intensamente, sorridi appena e tiri un piccolo sospiro di sollievo: la forza della speranza ha avuto la meglio sull’oscurità. Poi li riapri e la storia riprende il suo spazio vitale, invade il terreno del sogno e ci riporta sulla Terra: Aldo Moro è morto, ucciso dalle Brigate Rosse, il 9 maggio del 1978. Ci speri sempre, come sembra averci sperato fino alla fine il Francesco Cossiga di Esterno Notte. Uno dei protagonisti più intensi del capolavoro firmato da Marco Bellocchio, complice della sorprendente scena con cui si era aperto questo grande racconto: nei primi minuti del primo episodio, infatti, avevamo visto Moro in ospedale, vivo, sopravvissuto al sequestro dopo due terribili mesi trascorsi nella prigione di via Gradoli. La voce di un indimenticabile Fabrizio Gifuni aveva chiuso la vicenda: “Non mi resta che constatare la mia completa incompatibilità con il partito della Democrazia Cristiana”.

Gli occhi di Cossiga, Andreotti e Zaccagnini, interpretati in modo sublime da Fausto Russo Alesi, Fabrizio Contri e Gigio Alberti, accompagnavano il finale alternativo che purtroppo non avremo mai. No, anche se ci speriamo sempre. E continuiamo a farlo dopo 44 anni, come se fossero trascorse poche ore. Un battito di ciglia, una storia scivolata dalle nostre mani che ci ha plasmato, cambiato, reso del tutto diversi. Più tristi, confusi, frustrati. Arresi, all’idea che certe storie non abbiano la possibilità di concludersi con un lieto fine. Lo sa chiunque abbia vissuto quei giorni, in ogni modo possibile: le vittime, i carnefici, primattori e semplici comparse, ma anche chiunque li abbia vissuti attaccati alla tv o alla radio, costantemente, in attesa di una buona notizia. Un segnale, un barlume di luce al quale aggrapparsi per sperare che Aldo Moro sarebbe sopravvissuto alla brutalità di chiunque si sia macchiato le mani col suo sangue. E lo sa Marco Bellocchio, nel momento in cui ha scelto di chiudere la sua opera con un’opzione molto meno scontata di quanto si possa pensare: attraverso la storia, vera. Le immagini, reali. E una sequenza d’eventi che attraversa il tempo ed è tutto, meno che didascalica. Al contrario, ha un valore simbolico e concreto che si presta a interpretazioni a dir poco amare.

Esterno Notte

Così come aveva fatto nelle puntate precedenti (recensite nei giorni scorsi da Sara Crecco, le trovate qui), anche nelle ultime due, andate in onda su Raiuno nella prima serata del 17 novembre 2022, l’autore sceglie di raccogliere in un racconto organico la realtà e la finzione, il sogno e la cronaca. Senza cercare di offrire dei tratti documentaristici alla vicenda, in alcun modo: Esterno Notte possiede la forza espressiva di un capolavoro che restituisce rabbia, dolore, frustrazione e tutta la più profonda umanità di una tragedia storica immane. La ferita è ancora aperta e viene accarezzata dal calore dell’arte più vivida. Il racconto non è in alcun modo retorico e viene filtrato alla ricerca di un’emozione, più che della ricostruzione dei fatti. Giostra in perfetto equilibrio tra la forza monumentale dei tanti silenzi e lo shock generato da un racconto a tratti surreali e persino grottesco. Esterno Notte è un flusso di coscienza e di incoscienza, di sensi di colpa, rimorsi, rimpianti ed esistenze sospese tra la vita e la morte. Un vecchio sceneggiato intriso di illuminata contemporaneità seriale che si pone l’obiettivo di farci riflettere, farci delle domande, scavare dentro una storia dalle troppe ombre. È, prima di tutto, una storia di uomini. Ben al di là di della Storia, quella con la “s” maiuscola. Lucidi, mai davvero folli. Perfettamente consapevoli di quello che stavano facendo o non facendo. Messi di fronte a un bivio e a se stessi, con o senza la possibilità di compiere una scelta. Esterno Notte è anche la storia di Aldo Moro, ma è ancora di più la storia del suo riflesso, stagliatosi su tutti gli altri protagonisti della vicenda.

È stato così nel corso di tutta la serie e non poteva essere altrettanto nelle ultime due puntate. Lo schema è lo stesso proposto in precedenza: il racconto segue un ordine cronologico inserito in chiari nuclei tematici con protagonisti chiari. Nella quinta, il focus si sposta su Eleonora Moro, moglie di Aldo. L’interpretazione di Margherita Buy è perfetta, asciutta, essenziale. Impregnata della dignità di una donna investita all’improvviso dal greve peso della Storia. Nella sua figura si concentra l’essenza di una donna alla quale viene chiesto fin da subito di non agire, attendere, sperare. Le si chiede un atto di fede che si converte in un atto di dolore interminabile in cui ogni istante sembra durare una vita intera. Il legame che la univa all’amato marito viene messo in scena con audacia, senza risultare mai in alcun modo irrispettoso o impertinente. Ma il racconto di quei giorni, attraverso la sua prospettiva, si dipana in due momenti chiave, perché a un certo punto qualcosa cambia. La fiducia nei confronti di quelle che sembravano essere delle figure amiche viene meno, all’inazione si sostituisce la scelta di intervenire, fare qualcosa. Inseguire le infinite vie della labirintica Roma per ritrovare l’uomo che tanto amava. Provarle tutte, davvero tutte. Per trovarsi, ogni volta, in un vicolo cieco. Vittima di un equivoco, e di una tragedia ineluttabile.

Esterno Notte

Nella sesta e ultima puntata di Esterno Notte, invece, rivediamo Aldo Moro. Non più traslato attraverso i tratti dello spettro angelico che ha accompagnato le vicende dei protagonisti, ma lui. In persona. Carico di un’umanità mai vista in precedenza con tanta forza, nelle numerose versioni seriali e cinematografiche offerte negli ultimi quarant’anni. Il secondo Moro di Bellocchio, al quale Fabrizio Gifuni restituisce la sua anima più vivida e intima, il suo corpo, le sue paure e la sua fragilità, è, nella sua complessità, un uomo che si sente semplicemente abbandonato. Solo, tradito. L’uomo politico che aveva imparato a conoscere anche chi è nato dopo la sua dipartita, viene messo da parte per un attimo e lascia spazio alla rabbia e alla frustrazione di un martire che non ha mai scelto di essere tale. Consapevole di esser stato sacrificato dalla Storia per assolvere chiunque altro dai propri peccati.

“Sembra che siano tutti d’accordo a condannarmi a morte in un Paese che non riconosce la pena di morte”.

Sente sulla sua pelle l’incombenza di una morte necessaria, in qualche modo attesa da troppe persone. Per certi versi non voluta dai più, eppure inevitabile. Moro emerge nel commovente dialogo col sacerdote che lo incontra nella sua cella. È stanco e affaticato, ma non domo. Sa, ma forse preferirebbe non sapere. È un gigante che si spoglia di ogni tratto mistico e riveste quelli di un uomo che affronta il suo calvario ed è costretto a confrontarsi con sentimenti mai provati in precedenza.

“Che cosa c’è di folle nel non voler morire? Non voglio morire, sì. Loro mi considerano pazzo, ma io sarei pazzo se non volessi vivere”.

Moro vive la sua tragedia fino in fondo, cerca un miracolo che sa non arriverà. La forza devastante delle sue parole mettono in scena una personale Via Crucis, la metafora che ha attraversato l’intero racconto di Esterno Notte, ambientato per un terribile gioco del destino nel periodo pasquale, e che si sublima nell’ultimo episodio. Alla carica simbolica dell’iconica scena in cui porta la croce, si sostituiscono sguardi pregni d’umanità e imponente fisicità, numeri ricorrenti (i 33 anni del suo matrimonio con Eleonora e del legame con la Democrazia Cristiana) e il fantasma di chissà quanti Ponzio Pilato. Nell’Ultima Stazione affrontata da Moro è difficile trattenere le lacrime e non vivere con intensità ognuna delle sensazioni che si prova a immaginare possa aver affrontato. La barriera della Storia viene abbattuta dal legame empatico che si innesca con lui, lo sentiamo vicino. Lo sentiamo vivo, fino alla fine. E sorridiamo, nel momento in cui la vicenda sembra aver preso la direzione auspicata. Nell’istante in cui lo sentiamo respirare all’interno di quella maledetta R4, il suo patibolo. Ma no, è solo un’illusione. È solo Francesco Cossiga, liberatosi per un attimo all’interno di un’ucronia. Perché no, Moro non è più vivo. Moro è morto quel giorno, il 9 maggio del 1978. E morirà ancora, negli anni successivi. Eppure non smetteremo mai di sperare. Sognare un’altra storia, a occhi aperti. E riviverla, imboccando una via alternativa. Attraverso una suggestione. E un capolavoro, come Esterno Notte. Capace di fare quello che sanno fare solo le grandi opere: non concludersi mai dopo i titoli di coda.

Antonio Casu