E’ finita. Dopo sei episodi (qui la recensione del penultimo) e una storia tutta da riscrivere, Expats è giunta al termine chiarendo la sua natura. Non era un thriller, non lo è mai stato. Nonostante il dramma, al centro della narrazione non c’è mai stata la ricerca di Gus. Seppur voluta e sperata (come abbiamo visto nel terzo episodio qui recensito), questa non si è mai davvero concretizzata, né si concretizzerà mai. Perché Expats non tornerà con una seconda stagione.
Pensata come una miniserie, la recente produzione Amazon Prime Video (potrete recuperarla qui) ha detto tutto quello che doveva dire, e quanto dolore. Il finale, come avevamo immaginato, arriva da noi lasciandoci con tante domande e poche risposte. Non sappiamo che cosa accadrà alle tre protagoniste, sappiamo solo che per noi il loro futuro rimarrà un mistero. Mercy andrà a New York? Margaret tornerà negli Stati Uniti quando si sarà arresa o quando vedrà la luce? Hilary farà pace con i suoi demoni?
Attraverso una lunga sequenza di domande senza alcuna risposta, Expats si avvia verso i titoli di coda chiudendo la serie con tre confronti diversi. All’interno di un ristorante, Margaret avrà un confronto con Hilary e poi con Mercy. Quest’ultima lo avrà con la prima e con la seconda, e lo stesso accadrà per Hilary. Stringendo la camera sui volti delle protagoniste, Expats chiude la sua narrazione raggiungendo una sorta di pace interiore. Nonostante tutto, le tre protagoniste hanno potuto confrontarsi ammettendo il dolore, la perdita e i rimorsi della loro vita a Hong Kong.
Expats è giunta al termine rimanendo fedele alla sua natura, senza sforzarsi di essere ciò che non è mai stata
Sarebbe stato più semplice giocare sull’elemento thriller di Expats (preannunciato nei primi episodi qui recensiti). Utilizzando colpi di scena e risposte, la miniserie Amazon Prime Video avrebbe potuto inventarsi qualsiasi cosa ispirandosi solo liberamente all’opera madre. Ma questo non è ciò che è successo, e per una ragione ben chiara: Expats è una Serie Tv coraggiosa. Pur di rimanere fedele a se stessa non cede ai tranelli dell’intrattenimento e del mistero. Quel che le importa davvero è raccontare il dolore delle conseguenze, quel che accade dopo i titoli di coda di un thriller dal finale aperto. Cosa succede a quella madre che non ritrova il figlio? Come manda avanti la sua vita?
Attraverso questi interrogativi, Expats ci restituisce una storia in cui tutti fanno la propria parte ma senza mai esagerare. Il dolore, in questa miniserie (qui troverete la recensione di uno dei suoi episodi pià difficili), non ha mai avuto bisogno di urlare. Tutto viene percepito attraverso l’uso della mimica facciale, dal vuoto degli occhi svuotati di Margaret. Senza mai ricadere nella teatralizzazione del dolore, Expats restituisce a tutti i personaggi una profonda dignità , una forza che appare inafferrabile e che invece riesce a palesarsi nei momenti più impensabili.
In modo sorprendente, questa miniserie cerca di parlare di un dolore reale portando rispetto a qualsiasi protagonista. Non si prende gioco di lui, non lo mette alle strette. Al contrario, lo accoglie e lo aiuta concedendogli la possibilità di poter scrivere la propria storia. Questo finale, in un certo senso, serve anche a questo. Lasciando una finestra aperta, Expats concede a tutti, nessuno escluso, la possibilità di poter pensare di ritrovare un figlio, riaggiustare la propria vita, ricominciare da capo.
Attraverso questo espediente narrativo, nessun personaggio viene rinchiuso in una gabbia con un finale già scritto. Sono tutti liberi e, nella nostra immaginazione, tutti ancora al punto di partenza.
In conclusione, Expats si è dimostrata all’altezza delle sue premesse e del suo intento narrativo. Pur non scombinando i piani dalla sua prima alla sua sesta puntata, questa miniserie raggiunge il suo obiettivo restituendoci una storia non basata sui colpi di scena, ma sulla vita vera. I personaggi non crescono e non evolvono. Sono gli stessi che incontriamo nella prima puntata. Concedendosi momenti di debolezza e di maggiore forza, vivono le loro vite ritraendo un profondo spaccato di verità che ci dimostra la profonda umanità di questa storia.
Non è ancora chiaro il destino di Expats. Non sappiamo se questi sei episodi riusciranno a vivere nei ricordi della cultura seriale, ma poco importa. Chi l’ha compresa porterà dentro di sé uno spaccato di realtà , il lento racconto di un dolore insopportabile. Perché pur non urlando, è questo ciò che è stata Expats: il rumore estenuante della sofferenza, l’assolo di una chitarra che ha perso una corda e, con fatica, cerca di proseguire il brano. Anche se non suona più come un tempo.