Un po’ come noi adesso, Nicole Kidman è venuta a conoscenza di questa storia per caso. Un libro in prestito dalla sorella, una manciata di pagine, e poi l’innamoramento. Una volta finita l’esperienza l’attrice – che da un po’ di tempo a questa parte è una figura sempre più ricorrente e presente nel mondo delle serie tv – ha avuto l’illuminazione: quella storia non poteva rimanere solo tra le parole e l’immaginazione di chi aveva creato nella propria mente un volto per ogni protagonista. No. Quella storia meritava un volto, una luce, un effetto, un dialogo, un urlo disperato che riuscisse a tirar fuori il dolore di una madre che vede compiersi dal nulla il suo più grande incubo: non vedere tornare il proprio figlio da lei. Riadattando l’opera letteraria in chiave seriale, Nicole Kidman decide di acquistare i diritti della storia tramite la sua casa produttrice. Diretta da Lulu Wang, Expats è una Serie Tv fortemente voluta da Nicole Kidman, una storia straziante e quasi insopportabile, non adatta a chiunque non si senta pronto ad affrontare un viaggio che, già dalle prime due puntate, promette sofferenza e dolore, e nessuna carezza.
Arrivata su Amazon Prime Video con le sue prime due puntate, Expats promette già bene. Anche se con una grande mancanza (almeno per il momento)
Le prime due puntate di Expats cominciano la propria narrazione partendo da due linee temporali: dopo la tragedia e prima della tragedia. La nuova Serie Tv Amazon Prime Video infatti inizia il proprio percorso a cose già fatte. In un primo momento non ci viene rivelato che cosa sia successo esattamente, ma solo che è stato qualcosa di drammatico. Senza nomi o punti di riferimento, possiamo solo immaginare fino a quando non intuiamo che il dolore della protagonista abbia a che fare con la perdita di un figlio. Inizialmente pensiamo che quest’ultimo abbia perso la vita, ma la seconda puntata ci rivela la verità facendoci entrare nel vivo della narrazione. Margaret, insieme a suo marito e ai suoi tre figli, vive a Hong Kong per motivi di lavoro di Clarke. Sentendosi a volte da sola, la donna cerca di trovare qualcosa di positivo in questa nuova esperienza. Il dramma, però, è dietro l’angolo e vede protagonista Mercy, una ragazza asiatica che ha vissuto in America e che adesso è tornata tra le proprie origini cercando fortuna. Proprio lei, durante una passeggiata insieme alla famiglia, perde tra la folla il figlio più piccolo di Margaret, un bambino di soli pochi anni. Da quel momento, di lui, non c’è stata più alcuna notizia, solo il vuoto.
Per scoprire gli avvenimenti legati a quel periodo dovremo attendere le prossime puntate. I primi episodi vengono infatti utilizzati dalla Wang come biglietto da visita, una piantina attraverso la quale capire in che direzione andrà la narrazione. Da questo primo sguardo, che comunque non si risparmia quanto a intensità, riusciamo dunque a conoscere le prime mosse delle tre donne protagoniste: Margaret, Mercy e Hilary, la vicina e migliore amica della protagonista che sta per affrontare una forte crisi matrimoniale legata all’alcolismo del marito e il turbamento per una possibile gravidanza. Accomunate da una disgrazia, le tre donne vivono un dolore che le cambierà per sempre.
Invase da una sofferenza pronta a plasmarle per sempre, le tre protagoniste si fanno strada in una Hong Kong di cui si apprezza la fotografia, ma meno l’anima. Il contesto in cui infatti viene ambientata la serie dovrebbe, almeno sulla carta, avere un ruolo importante che però, almeno in questi due episodi non ha avuto. Il condominio di Margaret e Hilary, così moderno e borghese, sembra una qualsiasi casa americana. Nulla, almeno fino ad adesso, ha dato alla città protagonista il potere di poter interferire nella storia. Silente e messa lì quasi per caso, Hong Kong rimane immobile limitandosi a guardare un dolore che si espande e che sembra pronta ad avvolgerla. In questo senso anche le relazioni delle tre protagoniste ci fanno interrogare. Le interazioni con le persone originarie della città sono infatti praticamente assenti, e nello stesso modo il condominio in cui Hilary e Margaret hanno scelto di abitare è composto – citando Mercy – da soli bianchi. Oltre a escludere la città, Expats esclude anche le sue persone, e questo è un gran problema quando si cerca di dare voce e tono al contesto di ambientazione.
Avendo a disposizione solo le prime due puntate non possiamo sapere se questo aspetto riuscirà a migliorare, ma possiamo garantire che – almeno per adesso – questa è l’unica nota dolente di Expats, una Serie Tv che sembra pronta a raccontare il dolore nel suo modo più vero e insopportabile.
Una famiglia ricca, un condominio patinato, governanti e contratti a 3 cifre: tutto sembra perfetto ma, se c’è una cosa le Serie Tv in questi anni hanno sempre saputo spiegarci è che anche i ricchi piangono e che il dolore, chiunque tu sia, non fa sconti a nessuno. Come una sanguisuga, che si attacca a te anche se cerchi di respingerla. Non puoi far nulla per allontanarla, è la sua natura, sta facendo solo quello per cui è venuta al mondo. Nello stesso modo, la sofferenza fa quello per cui è rinomata: ti toglie tutto, e in questo caso anche un figlio. Non sappiamo che strada prenderà la trama, se in qualche modo sapremo di più della scomparsa del figlio di Margaret. Al momento, la direzione narrativa della serie sembra aver la volontà di concentrarsi sul dolore delle tre protagoniste che, rispettivamente, dovranno fare i conti con i sensi di colpa, la perdita di un figlio e la paura dell’abbandono. Seppur diversi, questi tre dolori pulsano allo stesso modo mettendo al centro della narrazione la solitudine e la disperazione che le avvolge.
La curiosità per questa nuova Serie Tv Amazon Prime Video è tanta e le premesse non scarseggiano. Speriamo che con le prossime puntate le cose possano mantenere le nostre aspettative e, contemporaneamente, migliorare lo sviluppo narrativo di Hong Kong. Gli ingredienti per farlo e per farci ricredere anche su questo aspetto ci sono.