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Ferry: La serie – Recensione della nuova serie su Netflix

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Ferry: La serie.

Era il maggio del 2019 quando venne rilasciata la prima stagione di stagione di Undercover, una produzione belga-olandese per Netflix, sottovalutatissima. Era il maggio del 2019 e il mondo fece la conoscenza di Ferry Bouman, che di diritto entrò nell’esclusivo club dei villain televisivi.
I dirigenti di Netflix intuirono subito il potenziale del personaggio interpretato da Frank Lammers, tanto che lo vollero anche nella seconda stagione, seppure con un ruolo marginale. E, di nuovo nella terza, questa volta come co-protagonista. Ma non solo. Su di lui, nel 2021 è uscito un film, Ferry. E quest’anno, lo scorso venerdì’, 3 novembre 2023, è stata rilasciata la prima stagione della serie a lui dedicata.
Così, a memoria, non ricordiamo tanto impegno da parte di un canale streaming nei confronti di un solo personaggio. E questo la dice lunga sull’impatto che questo mascalzone ha avuto sul pubblico televisivo di tutto il mondo. Ferry Bouman è diventato un marchio di fiducia. Anzi, un vero e proprio brand, quasi un universo alla stregua di quelli creati da Taylor Sheridan.
Paragone azzardato? Forse, ma soltanto perché in questo caso la produzione è, come già detto, belga-olandese e gode di quell’inesplicabile scetticismo che ammanta troppo spesso i prodotti europei, al di fuori di quelle francesi e inglesi le quali, comunque, per anni hanno faticato a superarlo. Perché se fosse stata una produzione americana saremmo qui a osannarla gridando, se non al capolavoro, almeno all’eccellenza.

La domanda che tutti i fan del personaggio si sono posti quando è stata annunciata l’uscita di Ferry: La serie era piuttosto scontata: sarà all’altezza oppure, come spesso accade, i dirigenti di Netflix hanno voluto esagerare? Perché il film, seppur interessante e piacevole da guardare, aveva mostrato alcune problematiche derivate principalmente dalla difficoltà di concentrare in poco tempo una storia bisognosa di uno sviluppo più ad ampio respiro.
Ebbene, dopo aver visto le otto puntate attualmente disponibili su Netflix possiamo dire con certezza che sì, Ferry: La serie, è all’altezza. Pur con qualche inconveniente qua e là, ma si sa che la perfezione non è di questo mondo, il prodotto offerto al pubblico è piacevole, interessante, persino divertente, capace di arricchire il personaggio principale e quelli che lo circondano, abbellendo una storia in grado di tenere lo spettatore incollato alla poltrona fino alla fine.

ferry
Frank Lammers, 640×360

Ferry: La serie si colloca temporalmente a metà strada tra il film e i fatti di Undercover, in quel momento della storia del suo protagonista nel quale non è ancora il boss della droga sintetica. Ferry Bouman è un piccolo, insignificante spacciatore di metanfetamina. A inizio serie lo troviamo costretto a vendere poche centinaia di pasticche per volta, scocciato e infelice. Il suo sogno è quello di fare il grande balzo in avanti e soddisfare l’ambizione che lo crogiola dentro. Perché Ferry non è un semplice delinquente. Semmai un imprenditore capace di comprendere il mercato della droga meglio di altri, più navigati di lui. Ma gli occorre l’occasione della vita che gli autori, ovviamente, gli danno.
Sul trono dello spaccio regna incontrastato Arie Tack, interpretato da Steef Cuijpers. Arie viene però arrestato grazie a una soffiata anonima, creando un buco nella catena di distribuzione. Ed è proprio in quel buco che Ferry decide di inserirsi. Si presenta agli acquirenti di Arie, un gruppo di motociclisti capeggiati da Mick (Dirk Roofthooft) e il suo braccio destro, Ricardo (Tygo Gernandt), proponendo loro una consegna da un milione di pasticche. I motociclisti, gente che non scherza, sono scettici, convinti che Ferry sia soltanto uno sbruffone. Lo mettono alla prova ma il protagonista è in grado di adempiere alla parola data e fornisce loro il primo di una lunga serie milioni di pastiglie.
Per poter continuare a soddisfare le copiose esigenze dei suoi compratori, però, Ferry ha bisogno di essere aiutato. Può già contare su Lars, interpretato da Yannick van de Velde, il quale ha il ruolo di cuoco. Ma ha bisogno che qualcuno gli guardi le spalle perché il mondo dello spaccio sa essere crudele e le alleanze cambiano molto in fretta. Così chiede a John, suo cognato, interpretato da Raymond Thiry, ancora incapace di superare il lutto per la perdita della moglie, di unirsi a lui. Inoltre, necessita della cooperazione di Marco, interpretato da Koen De Graeve, titolare di un salone di bellezza e per questo capace di fornire l’olio di sassofrasso, una delle materie principali per la produzione delle metanfetamine. Sarà proprio quest’olio l’origine di tutti i guai per Ferry. Guai che lo porteranno a raggiungere e superare limiti umani mettendo a rischio non soltanto la sua vita ma anche quella delle persone a lui più care.

A scrivere questa prima stagione troviamo Nico Moolenaar e Piet Matthys, già creatori di Undercover, i quali sono affiancati da Bart Uytdenhouwen (Undercover e Ferry, il film) e Tibbe van Hoof (Undercover). La presenza di questo quartetto di sceneggiatori è certamente una garanzia per il buon funzionamento della serie. E per esser certi di una conferma visiva oltre che scritta la produzione ha confermato alla regia Eshref Reybrouck e Joël Vanhoebrouck entrambi già dietro la macchina da presa in Undercover.
Sono invece cambiati il direttore della fotografia e l’autore della colonna sonora, rispettivamente Frederic Van Zandycke e Bjorn Eriksson, entrambi capaci di dare alla prima stagione quel giusto tocco che la differenziasse da quanto già conosciuto dagli spettatori. In particolare la musica è capace di sottolineare i momenti salienti senza mai essere esageratamente drammatica mentre la fotografia, con sfumature di ocra, dà un colore riscaldante e nostalgico, quasi.

In Ferry: La serie a farla da padrone è naturalmente la prova attoriale di Frank Lammers il quale, nonostante un certo appesantimento fisico dovuto al fisiologico passare del tempo, riesce a dare al suo personaggio ancora qualcosa di nuovo. Se nel film l’impressione avuta era di una certa esagerazione, come se il personaggio fosse già tutto scritto e definito, in questa stagione iniziale Frank Lammers ci porta, sorprendentemente e senza mai strafare, lungo tutto il percorso di crescita del suo Ferry. Perché questo personaggio ormai è suo, su questo non c’è dubbio.
Dicevamo dell’appesantimento non certo come critica. Semmai perché da Undercover a oggi Ferry ha perso parte di quella maniera di porsi un po’ ciondolante e dinoccolata che dava al personaggio un’aria da simpatico cialtrone. Lo si nota in certi movimenti, in certe situazioni. C’è una mancanza di freschezza e di leggerezza che precedentemente permetteva di superare quei cliché tipici dei cattivi, già visti e rivisti in giro. Così Frank Lammers si è reinventato puntando di più sul lato emotivo mettendo il suo protagonista sotto una luce nuova, valorizzandolo. Perché Ferry è diverso da tutti quei villain che abbiamo già conosciuto. Con quelle sue camicie sgargianti, quel taglio di capelli improbabile, quell’aria da sopravvissuto degli anni Novanta, non si sa come. Ferry, che non tradisce mai gli amici e nemmeno i nemici. Che deve combattere contro l’incapacità altrui di comprenderlo e lasciargli campo libero.

Ferry
Ferry: La serie, 640×360

Accanto a Ferry non poteva mancare Danielle, la sua anima gemella, sempre interpretata da una stupenda Elise Schaap. All’attrice tocca il compito di fornire alla storia la parte più drammatica. Danielle è la Bonnie di Ferry. Compiacente, a conoscenza dei traffici del suo Clyde, Danielle non vive di luce riflessa ma aggiunge a questa prima stagione una parte di intensità crescente che sfocia nel duro confronto con l’amica del cuore Sabi, compagna di Marco. Raggiunta consapevolezza (forse un po’ eccessiva in considerazione di quanto visto in Undercover, ma ci sta) fisica e mentale Danielle decide di condividere la sua vita con Ferry, giurandogli amore eterno poiché l’unico capace di comprenderla appieno.
Del resto entrambi provengono da famiglie disastrate e traumatizzanti e soltanto insieme, pur nel loro traballante equilibrio, sono in grado di poter sopravvivere.

Ferry: La serie va ben oltre il coté crime. Ed è forse questo il suo pregio più grande. Si prende il tempo per raccontarci i personaggi presenti in scena permettendo allo spettatore un importante transfert. Non c’è immedesimazione, come accade in certe altre serie, ma piuttosto forte empatia. Ferry, pur essendo un gangster di levatura assoluta (tanto che il personaggio a cui è ispirato, nel consegnarsi alla polizia si è presentato come Ferry Bouman), ha dei principi solidi, validi, assoluti nei quali lo spettatore comune si riconosce senza provarne un certo disagio. E così, nei momenti più intensi di questa prima stagione, chi guarda è partecipe della sua situazione interiore senza però perdere la propria bussola morale: è un delinquente, sia chiaro.
La sceneggiatura affronta temi importanti quali l’amicizia, l’amore, il tradimento e il lutto evitando sbrodolature. Pur con forza e vigore c’è una pulizia attenta delle emozioni capace di evitare fraintendimenti e miscugli e allo stesso tempo non tagliando i personaggi con l’accetta. Per questa prima stagione è stato fatto davvero un bel lavoro e le otto puntate scorrono via che è un piacere. Perché gli autori non si sono limitati a fare il compitino ma ci hanno davvero messo dentro l’anima creando e non semplicemente rimescolando le stesse carte distribuite in precedenza.
Certo, dicevamo all’inizio, ogni tanto capita qualche contrattempo ma la storia è solida, valida e non dà mai l’impressione di rischiare di accartocciarsi su se stessa. In più ci regala un approfondimento sulla vita di John, il cognato di Ferry, che ci lascia l’acquolina in bocca (perché uno spin off su questo personaggio non sarebbe per niente male!).

Insomma, Ferry: La serie non soltanto conferma quanto già visto (che di questi tempi sarebbe già grasso che cola) ma in più concede nuovi spunti, soddisfacendo tutti: sia chi si affaccia per la prima volta nell’universo ferryano sia chi è ormai un veterano. E quando tutti sono appagati vuol dire che si è fatto davvero un gran bel lavoro!