ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su Furies.
Marzo inizia alla grande per Netflix. Il colosso dello streaming ha rilasciato il primo marzo le otto puntate di una nuova serie che sicuramente farà parlare di sé. Nel bene e nel male.
Furies lo potete leggere all’inglese o alla francese. Suona diverso ma ha lo stesso significato: furie. È una creazione made in France, e assolve molto bene la sua funzione di intrattenimento senza per forza regalare qualcosa di nuovo.
La serie è creata da Jean-Yves Arnaud e Yoann Legave i quali avevano già lavorato insieme in Kepler. Le otto puntate hanno visto dietro la machina da prese alternarsi Samuel Bodin, Laura Weaver e Cedric Nicolas-Troyan. Quest’ultimo ha diretto Il cacciatore e la regina di ghiaccio ma soprattutto ha ricevuto una nomination agli Oscar per gli effetti visivi di Biancaneve e il cacciatore.
Niente di nuovo all’ombra della Tour Eiffel
Il fatto che Furies non presenti particolari novità dal punto di vista creativo non è necessariamente un handicap. Come già detto è uno di quegli show onesti che offrono allo spettatore l’occasione di starsene seduti sul divano dimenticandosi dei problemi quotidiani. Tra una sparatoria e una scazzottata, con un ritmo serratissimo, le sequenze si susseguono quasi alla velocità della luce. In certi momenti forse persino troppo in fretta tanto da lasciare a chi guarda l’impressione di aver perso dei pezzi per strada. Impressione di poca importanza, in realtà. Poiché queste otto puntate della durata di circa quarantacinque minuti l’una (che per altro passano alla velocità della luce) non hanno la pretesa di essere un capolavoro.
Sostanzialmente il problema è che la storia viaggia in maniera poco fluente. Spesso, infatti, viene interrotta da colpi di scena necessari per il genere che però la rendono un po’ confusa. O flashback che dovrebbero dare profondità ai personaggi ma che, invece, risultano nebulosi e infilati un po’ a casaccio.
La trama di Furies
Le premesse sono interessanti. Parigi è governata da sei famiglie mafiose che, insieme riunite, si definiscono l’Olimpo. Esse si spartiscono ogni traffico illecito e vanno d’amore e d’accordo, si fa per dire, semplicemente per questioni d’interessi. A parte c’è la Furia. interpretata da Marina Fois, colei che permette che questo equilibrio regga. Lo fa dispensando la sua saggezza attraverso violenza, distruzione e morte. Tutti le portano rispetto e la temono. Nessuno è sopra di lei. E lei, apparentemente, non sembra approfittare di questo ruolo così importante ed esclusivo, che la vede dentro e, al tempo stesso, fuori dai giochi.
Lyna, interpretata da Lina El Arabi (Altro che caffè e Kaboul Kitchen), è una studentessa felicemente innamorata di Elie (Jeremy Nadeau), poliziotto. I due stanno insieme da tre anni ma Lyna ha qualche problema a presentare il suo ragazzo ai genitori. Perché il padre è il contabile dell’Olimpo. Nel giorno del suo compleanno Lyna va a trovare i suoi genitori per festeggiare. Durante il taglio della torta, però, suo padre viene ucciso. Da questo momento per Lyna diventa imperativo scoprire chi ha assassinato il genitore per vendicarlo. Comincia così un percorso che la ragazza è costretta a compiere anche se non avrebbe voluto. Un percorso che la porterà a scoprire importanti informazioni sul suo passato che impatteranno, volenti o nolenti, tragicamente sul suo futuro.
Una serie al femminile
Protagoniste indiscusse di Furies sono loro: Lyna e la Furia. Tra le due c’è un legame profondo, parentale, che le unisce. Inizialmente Lyna è convinta che la Furia abbia ucciso suo padre. Ma nel corso della storia scoprirà ben altre faccende. Il loro sodalizio, però, è portato a scricchiolare a causa di Driss, interpretato da Mathieu Kassovitz, che della Furia è il fratello.
Il semplice duo, così, si trasforma in un trio con Lyna trascinata e costretta, suo malgrado, a parteggiare prima per una e poi per l’altro, rischiando di non capirci più niente.
La ragazza, finalmente, riuscirà a prendere una decisione su quale strada seguire divenendo finalmente autonoma e indipendente. Il che la porterà anche a chiudere dolorosamente la sua storia d’amore per tenere al sicuro la vita di Elie, che non può certamente stare con un’assassina.
Lina El Arabi e Marina Fois in Furies sono indubbiamente bravissime e perfette nei rispettivi ruoli. Le scene d’azione in cui sono coinvolte sono molto ben coreografate e hanno una ricchezza d’ambientazione degna di una super produzione. La prima mette in campo una fisicità davvero esplosiva. In alcune scene picchia e incassa colpi alla grande aiutata da una regia cinematografia che ricorda molto John Wick (e certe scene dell’Olimpo richiamano The Continental). La seconda non è certamente da meno. I suoi combattimenti, però, sono agli antipodi. Sono più precisi, calibrati, meno appariscenti e più efficaci. Dando così l’impressione di un’allieva e una maestra.
Mathieu Kassovitz è il cattivo. Panni che gli calzano abbastanza bene anche se la sua interpretazione sembra lontana da quelle de Le Bureau. Completano il cast una serie di personaggi minori che giocano molto la carta della linea comica per alleggerire i toni. A volte in maniera eccessiva rischiando di smorzare in maniera eccedente la tensione.
Continui colpi di scena nascondono qualcosa?
Furies è eccessivamente ricca di colpi di scena, alcuni dei quali telefonatissimi (ma non importa). E conta molto sulla sospensione dell’incredulità degli spettatori. La serie francese su Netflix si guarda bene dal prendere in giro chi è seduto in poltrona e paga l’abbonamento ma in certi momenti è davvero esagerata. L’impressione che si ha proseguendo la visione è che gli autori abbiano voluto strafare per distrarre da alcune inspiegabili situazioni nelle quali si trovano le protagoniste. Niente di che, sia chiaro. Piccolezze che vengono dimenticate anche in fretta. Che però, sommandosi tra loro, rasentano una visibilità sovrabbondante. E così, una action series con un alto potenziale rischia di diventare una commediola banale mischiando due generi che possono benissimo convivere insieme. Bisogna, però, saperlo fare.
Non bastano, infatti, le citazioni per renderla un prodotto pop esente da critiche. Furies è associabile alla Nikita di Luc Besson (autore dell’indimenticabile Leon con Natalie Portman e Jean Reno) e, oltre al già citato John Wick, c’è anche tanta Atomic Blonde di David Leitch. Ma è ben lontana da entrambi i film.
Conoscendo in maniera più approfondita la cinematografia francese, poi, c’è di che divertirsi a scovare i rimandi, alcuni dei quali davvero spassosi. Anche se questo continuo citare Questo continuo citare alla lunga diventa quasi stucchevole.
Un po’ meno ma un po’ meglio
Furies insiste nel voler costruire qualcosa di troppo grande e lasciarlo ricadere sopra le esili spalle di Lina El Arabi. La serie Netflix sembra quasi aver paura delle cose semplici preferendo complicarsi la vita da sola. Aggiungendo e rimescolando non fa altro che creare un gran disordine che distrae l’attenzione dello spettatore dal duo protagonista.
Probabilmente se gli autori avessero sfrondato un po’ gli eccessi, magari ampliando alcuni davvero geniali (come la scena all’interno dello sciccoso postribolo) ed eliminandone altri (tutta la parte della poliziotta non serve proprio a niente), avremmo avuto un prodotto sofisticato e davvero superlativo.
Invece resta il rimpianto di qualcosa che avrebbe potuto essere e non lo è stato. Soprattutto, l’impressione che il personaggio di Lyna avrebbe meritato di meglio. E che Furies difficilmente entrerà tra le dieci serie più viste da Hall of Series – Comunità di Recupero.