Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 7×05 di Game of Thrones
Nessuno sceglie il proprio padre, ma siamo liberi di non seguirne le orme. Nonostante ciò, c’è sempre un prezzo da pagare o un credito da riscuotere. Un giro sulla giostra del destino da affrontare con coraggio, consci del fatto che una ruota, prima o poi, possa esser fermata. E una storia, già scritta, si riscriva in forme armoniche col riciclo del tempo, senza mai dimenticare il punto d’origine, la condanna non definitiva o la benedizione effimera. Eastwatch, quinto episodio della settima stagione di Game of Thrones, lascia in dote questa lezione di vita, tramandata attraverso le esperienze di buona parte dei personaggi coinvolti, mai come ora così uniti in uno sguardo rivolto al passato che si proietta nel futuro.
La storia, tuttavia, si scrive e muta indelebilmente attraverso le grandi azioni, astute o violente che siano. Lo dimostrano gli ultimi rantoli di un Gioco dei Troni ormai ridotto a una scaramuccia tra “bambini” (ne abbiamo parlato a più riprese nella recensione della 7×04, la trovate qui), e lo confermano gli eroi finalmente focalizzati sulla battaglia contro la Lunga Notte, i cui echi non risuonano ancora con la forza necessaria per mettere in allarme un intero mondo, quello di Westeros, sempre a metà strada tra una leggenda rassicurante e una realtà inaccettabile.
In un quadro del genere, caoticamente omogeneo a prescindere dai singoli intenti, Jon Snow è l’elemento che più di ogni altro ricollega ogni tassello del terzultimo atto stagionale di Game of Thrones. Lui, tenuto all’oscuro di tutto da un destino maestoso, ha trovato ai nostri occhi una nuova essenza, l’ennesima in un percorso dalle mille vite. La scoperta di Gilly che riguarda l’annullamento del matrimonio di Rhaegar Targaryen (suo padre) con Elia Martell, unita alle conseguenti nuove nozze del primo con Lyanna Stark (sua madre), ne fa il primo erede legittimo del Trono di Spade (ancor più di Daenerys, sorella di Rhaegar). Inutile dire che la rivelazione abbia tutte le carte in regola per sconvolgere ancor più il futuro prossimo di Game of Thrones e il rapporto con una zia meno titolata del previsto, ma l’anomalo Jon, lontano dalle dinamiche di potere che lo vedrebbero protagonista centrale, ha due padri nel destino e uno solo nel percorso di crescita. Jon, lo Stark, sarà sempre il figlio bastardo di Ned, e questo lo porterà a guidare eroicamente l’ultima grande guerra. Per Jon, il Targaryen, potrebbe esserci spazio solo in futuro, forse a seguito della perdita più dolorosa della sua vita.
Il pensiero corre ancora alla leggenda già menzionata una settimana fa a proposito dell’impresa di Daenerys: “Azor Ahai doveva forgiare una spada dai poteri straordinari per sconfiggere le creature della Notte. Nel primo tentativo tentò di temprare l’acciaio in acqua, ma questo si ruppe. Nel secondo, provò a temprare la lama trafiggendo il cuore di un leone ma, ancora, l’acciaio si spezzò. Nel terzo e ultimo tentativo, trafisse con la spada il cuore della moglie e riuscì a creare la mitica lama nota col nome di Portatrice di Luce”. Come avevamo sottolineato, ogni teoria, o quasi, è fatta per essere smentita ed entrare in un vortice contraddittorio di indizi contrastanti. Quel che innalzerebbe la Madre dei Draghi potrebbe allo stesso tempo ucciderla e farne una moglie decisiva, sacrificio estremo del guerriero salvifico. Daenerys, associabile a Jon per tanti, troppi motivi, è la donna che ha fatto di un destino già scritto l’unica ragione di vita. I sogni stimolanti, però, sanno trasformarsi con grande semplicità in ossessioni pericolose, e l’esempio del padre, in eterno accerchiato dai fantasmi della propria mente, sembra a tratti non abbastanza illuminante, associando l’eredità ad uno spauracchio paventato fin troppo spesso da amici e nemici. Un cognome pesante porta con sé onori e oneri, ma sopravvive solo chi trova un bilanciamento complesso.
Lo sa bene Cersei Lannister, la Mad Queen che sembra aver abdicato in favore della degna erede di Tywin. Scegliere la violenza come troppo spesso ha fatto è un’arma a doppio taglio, e la gestione della crisi provocata dall’ultima disfatta è il manifesto (forse illusorio) di un cambio di rotta che sfida le profezie. Quelle che non lasciavano speranze per l’arrivo di un quarto figlio e la davano finita per mano di una regina più giovane e un fratello minore stremato. Niente, o quasi, è definito: tutto, o quasi, è in discussione. In assenza di conferme e smentite, l’astuzia è l’ultima carta da giocare, potenzialmente capace di avvelenare una tregua avventata (seppure indispensabile) e l’unione dei due valonquar, ancora insieme per volere di un disegno più grande di ogni uomo.
Due fratelli, l’astuzia di un esemplare da Gioco dei Troni in via d’estinzione e il veleno del caos che suggerisce senza riferire: Approdo del Re sembra quasi Grande Inverno, l’ultimo palcoscenico del Maestro degli Intrighi. Ditocorto rischia di mettere in scacco l’ingenua Arya, la cui forza non servirà per emergere dal caos. Lord Baelish, tuttavia, è da sempre uno scommettitore vincente che stavolta ha azzardato senza garanzie: l’onniscienza di Bran, unità alla lucidità di Sansa (figlia degli suoi stessi insegnamenti), lo condurranno dritto verso una morte ampiamente giustificata dal karma martiniano. La sua storia, originata da un’eredità indegna del nome che Ditocorto ha saputo farsi negli anni, si concluderà senza lasciar testimonianza ai posteri. Un corso senza ricorsi, un figlio senza un padre all’altezza e dei discendenti che non ne avrebbero fatto il fautore di un gioco fine a sé.
Quel che invece è fondamentale è l’argine da porre nei confronti della minaccia più importante. Il tramonto dell’era del Gioco dei Troni porta con sé l’alba delle alleanze impossibili solo in condizioni normali. I figli, uniti contro i morti viventi grazie ad una scelta consapevole, parlano una sola lingua e vivono un unico destino che fa del passato, il presente e il futuro una leggenda romanzata che sussurra la parola fine. Solo così il ghiaccio si è fuso col fuoco, e le storie personali degli interpreti hanno ceduto il passo all’unione d’intenti di chi ricorderà di vivere solo dopo esser sopravvissuto. Un prezzo da pagare, un credito da riscuotere. Come un Targaryen che non sa d’esser tale. Oppure un Baratheon, forgiato dal quadro d’insieme di un visionario che cerca un’alternativa alle due regine. Quasi fosse l’unica espressione possibile di una Compagnia senza Vessilli ad interim che antepone il noi all’io. Per una Notte, alla ricerca disperata di un domani.
Antonio Casu
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