ATTENZIONE! La recensione contiene SPOILERS della miniserie Il Gattopardo.
“Io sono irrimediabilmente un siciliano”.
Sullo sfondo di una Sicilia bruciata dal sole, si consuma un silenzioso e inevitabile passaggio di testimone. Il vecchio mondo, quello ottocentesco della nobiltà, dell’onore e della monarchia, deve arrendersi al nuovo che inesorabilmente avanza. A rappresentare queste due diverse visioni sono i membri della famiglia Corbera, privilegiati e bellissimi. Chi tra loro, come il Principe di Salina è convinto di poter resistere al cambiamento, di poterne uscire sempre saldo e stoico e chi invece, come Tancredi, si lascia lusingare dalle promesse del domani. In mezzo si staglia Concetta, prima ragazza poi donna, che con la sua innocente e spontanea sensibilità incarna il domani più puro, quello per cui vale la pena combattere.
Il Gattopardo, disponibile sul catalogo Netflix, è una miniserie monumentale. Come monumentale è la materia che tratta. Quando Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrisse Il Gattopardo, probabilmente non immaginava che il suo romanzo sarebbe diventato una delle opere più importanti della letteratura italiana. Pubblicato postumo nel 1958, dopo essere stato rifiutato da diverse case editrici, il libro divenne rapidamente un classico, celebrato per la sua prosa elegante, il suo spessore storico e la sua analisi lucida e disincantata della società siciliana alla vigilia dell’Unità d’Italia (un po’ prima è ambientata invece I Leoni di Sicilia).
Attraverso gli occhi del principe Fabrizio Corbera, che appartiene come lui stesso precisa a quella “generazione disgraziata”, assistiamo al declino della nobiltà e alla nascita della Repubblica.
Ma la storia che Il Gattopardo racconta è molto più universale. Uomo colto, astronomo dilettante e fine osservatore della realtà, il Principe assiste con distacco e rassegnazione ai mutamenti in atto. L’arrivo di Garibaldi e l’unificazione d’Italia rappresentano per lui non tanto un cambiamento rivoluzionario, quanto una trasformazione di facciata, in cui il potere passa dalle mani dei leoni e dei gattopardi a quelle degli sciacalli.
Progresso, famiglia, amore, guerra. Sono i grandi temi affrontati all’interno della storia che, seppur si tratti di un libro pubblicato nel 1958, si inserisce pienamente tra le fila del grande romanzo ottocentesco. L’idealismo romantico è ormai messo da parte. La borghesia diventa protagonista assoluta e la letteratura ha il compito di analizzarla attraverso figure sempre più complesse e sfaccettate e un approccio realista alle vicende narrate. Così Il Gattopardo si colloca temporalmente negli anni dell’unificazione italiana, per raccontare l’incombente Novecento dal punto di vista di un uomo dell’Ottocento.

Il Principe di Salina: il passato
Fabrizio Corbera è un gigante. Fisicamente e simbolicamente parlando. Un uomo alto, bello e distinto. Un uomo che ama la sua famiglia, rispetta le figlie e la moglie. Non ha un vizio, se non il piacere del sigaro, è oculato, saldo e sicuro. La sua ricchezza e i suoi titoli gli sono stati assegnati dal re “e dunque da Dio”, conferendogli uno status di autorità che nessuno dovrebbe o potrebbe mettere in discussione. Il Principe di Salina è avvolto da un aura sacrale che non incute timore, bensì rispetto. La sua parole è legge, ma non è la decisione arbitraria di un tiranno che vuole avere la meglio e spadroneggiare sui suoi domini.
Quella che il Principe incarna è la voce del passato, la stessa dei valori e della discrezione. Fabrizio ha ovviamente un’amante, ma la tiene accuratamente separata da tutto il resto. Per lui diventa imperdonabile scoprire che le sue due vite si siano sfiorate, persino conosciute. Non certo per un senso del pudore, quanto piuttosto di un non detto d’altri tempi che ha tutto a che fare con la decenza famigliare.
Egli incarna la fine di un mondo, quello della nobiltà siciliana, destinato a essere superato dall’avanzata della borghesia. È un uomo malinconico, consapevole dell’inevitabilità del declino della propria classe, eppure restio a opporvisi attivamente. La sua passione per l’astronomia è una metafora della sua visione distaccata della vita. Anche quando Garibaldi giunge a Palermo, il Principe non è preoccupato, rimane semplicemente a guardare. Per lui il futuro non ha significato, sa, forse inconsciamente, che non ne farà parte.
Il Gattopardo non è un eroe nel senso classico del termine, né un rivoluzionario.
Mentre tutto attorno a lui cambia, rimane stoico nelle sue posizioni. La morale di Fabrizio è ferrea, le sue intenzioni più nebulose. Prova un affetto smisurato per il nipote Tancredi, tanto da concedergli in moglie la sensuale Angelica e spezzare così il cuore della figlia. Nei confronti della stessa Concetta alterna momenti di profondo affetto e distacco, dimostrando solo nel finale l’ammirazione che nutre per lei. Alla figlia maggiore lascia di fatto ogni cosa. Se Francesco, il figlio maschio, deve necessariamente rappresentare la “facciata” della famiglia, è tuttavia a Concetta che il Principe conferisce il titolo e il potere. Un gesto d’amore purissimo, ma anche il segno distintivo di un uomo che non si proiettava nel futuro eppure, in qualche modo, ci vedeva lungo.
Tancredi, Angelica e Concetta: il futuro
A questo gigante statuario si affianca la gioventù dinamica rappresentata da Tancredi, Concetta e Angelica. Se il Principe agisce da Zeus immortale, dominatore incontrastato del suo personale Olimpo, di certo possiamo trovare una similarità anche tra gli altri personaggi e altrettanti membri del pantheon greco.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”
A cominciare da Tancredi Falconeri, giovane Apollo sempre sbilanciato tra ragione e sentimento, tra orgoglio e arrivismo, tra convenienza e morale. Lo incontriamo la prima volta come un giovane rivoluzionario, devoto alla causa di Garibaldi e pronto a lasciare un segno nella storia. Lo salutiamo ormai schiavo delle dinamiche borghesi, che si gira dall’altra parte di fronte ai tradimenti della moglie. Incapace di avere la stessa saldezza di intenti dello zione, Tancredi guarda al Principe con un misto di invidia e stima. Tenta a suo modo di eguagliarlo, anche se sa bene di non poterci riuscire. Per questo sposta le attenzioni da Concetta ad Angelica, l’unica cosa che non sia appartenuta prima alla zio.
Proprio Angelica incarna la femme fatale per eccellenza. Venere della campagna, che si fa strada con la sua bellezza sensuale e, infine, conquista il suo posto tra gli sciacalli. Non ha più bisogno di un titolo nobiliare per imporsi nella società. Perché Il Gattopardo è anche la storia di un triangolo amoroso di cui non esiste risoluzione.

Speculare troviamo Concetta (Benedetta Porcaroli), figlia maggiore del principe Fabrizio che nella miniserie ottiene la rivalsa mai concessa nel romanzo e nel film. Nell’opera originale, Concetta è destinata a un’esistenza di rimpianti e solitudine, ma nella miniserie traccia il suo cammino con la benedizione del padre. Come Atena, la fanciulla rimane vergine, capace tuttavia di sentire il mondo con assoluta chiarezza e sensibilità. Tenta disperatamente di fuggire, di essere libera dall’ombra paterna, arrivando perfino a ucciderlo metaforicamente.
Solo alla reale dipartita del genitore si rende conto che la vera libertà sta nel riscrivere le regole del vecchio mondo. Restando a casa, prendendo in mano le redini del regno, Concetta è più che una principessa. Non c’è un uomo che le dica cosa fare, nessuno con cui dividere il trono, a parte il dolce fratello Francesco.
Il tramonto di un epoca
Quando il Principe Fabrizio danza con Angelica nel grande salone del palazzo Ponteleone, qualcosa si rompe per sempre. Il ballo diventa il simbolo del tramonto di un’epoca. Quella di un anziano aristocratico, ormai in fin di vita e consapevole del declino della propria classe, che accompagna la nuova generazione verso il futuro. Per un breve momento, il Principe si lascia trasportare dall’illusione della giovinezza, ma l’incanto scompare subito riportandolo alla realtà. Il mondo che conosceva sta ormai scomparendo e non c’è nulla che possa fermare questo processo. La danza tra i due è elegante, quasi teatrale, ma segna una distanza incolmabile tra il passato e il futuro.
Angelica ringrazia il Principe per il ballo che le ha concesso, come se con quel semplice gesto un’intera generazione avesse dato il suo benestare alla prossima lasciandole il posto. Per il Gattopardo si tratta dell’ultimo ballo. Ritornato a casa con Concetta, crolla morente nel bel giardino della villa. Spirerà poco dopo circondato dalla famiglia, dagli amici e dai nemici, venuti a banchettare sulle sue spoglie.
Come la Sicilia che rimane immobile nonostante le diverse dominazioni, incapace di cambiare veramente, il Gattopardo insegna che anche la storia sembra destinata a ripetersi. Ma è proprio qui che la miniserie si discosta maggiormente dal romanzo, optando per un finale meno malinconico e rassegnato. Concetta, accettando il ruolo di guida della famiglia, simboleggia qui l’equilibrio tra vecchio e nuovo, il punto di congiunzione tra i valori del passato e l’innovazione del futuro.