C’era un tempo in cui I Beatles cantavano “Looking through a Glass Onion”, quasi a voler confondere i fan e coloro che cercavano nei loro testi chissà quale significato nascosto. È la stessa filosofia che Rian Johnson applica in Glass Onion – Knives Out, disorientandoci ogni volta che pensiamo di aver trovato la soluzione di questo giallo su Netflix. Per il regista non era facile replicare il successo del primo capitolo. Lì, infatti, aveva realizzato qualcosa di meraviglioso grazie a una sceneggiatura cinica, furba e un perfetto equilibrio di risate e mistero. Anche nel sequel fa quello che gli riesce meglio, ovvero sterzare all’improvviso verso mete inaspettate, rinnovando ogni volta la tensione attraverso i vari gradi con cui si svolge la trama, i ricchi colpi di scena e soprattutto il fornirci le giuste informazioni sui personaggi nel momento più opportuno.
A cominciare dal carismatico Benoit Blanc, protagonista di Glass Onion – Knives Out e filo conduttore di una saga che si appresta a diventare come quella di Poirot di Agatha Christie.
Se in Cena con delitto era più in ombra, attendendo il momento giusto per entrare in scena e risolvere il caso, in Glass Onion – Knives Out è più protagonista, sebbene riesca a mettersi da parte se serve, fungendo da narratore nel sottolineare le lacune morali degli altri personaggi o da razionalizzatore degli eventi, dandogli un senso. Del resto, Benoit Blanc è un ruolo dalle enormi potenzialità e qui, oltre a scoprire che vive con Hugh Grant, lo troviamo in piena pandemia, terribilmente annoiato perché non ha nessun caso che stimoli il suo intelletto. È evidente quanto Johnson si diverta nel caratterizzare il detective, aiutato da un impeccabile Daniel Craig: svestiti i panni dell’agente 007, si rilassa in questa nuova veste comica che gli si addice particolarmente.
Blanc mantiene l’acume e l’eleganza di Cena con delitto, risultando però più esuberante e, allo stesso tempo, capiamo ancor meglio come funzioni una mente che respinge le sfide troppo semplici, perché per niente stimolanti. Uomo giusto nel posto sbagliato, Johnson lo sta perfezionando mettendolo in situazioni curiose, emblematiche e con personaggi mai banali.
Se l’aristocrazia letteraria del primo capitolo era molto più in linea con il suo stile, si stranisce di fronte alle personalità dei ricchi del sequel su Netflix.
Diversamente dal primo film, Johnson delinea degli esseri umani meno british e ancor più ipocriti e pacchiani. Sembrano condividere un’amicizia autentica, ma il regista utilizza l’escamotage dell’omicidio per esaminarli da vicino, rivelando come essi rappresentino lati diversi dei concetti di avidità e potere e che il loro legame è dato più dal non perdere i favori del Miles di Edward Norton, piuttosto che da un sentimento sincero. Il loro assoggettamento svela un sistema che garantisce velocemente dei privilegi in cambio di assoluta lealtà, impersonato da questo multimiliardario simbolo anche del capitalismo più sfrenato. Attraverso la destrutturazione della compagnia d’amici, sbucciati come delle cipolle, si vede che, al centro, i loro caratteri sono più simili di quanto non apparivano all’inizio: infatti, sono tutti pronti a tradire pur di rimanere nelle grazie di Miles.
È la critica satireggiante che Johnson aveva già inserito in Cena con delitto. Se in questo caso prendeva una piega politica puntando il dito contro il razzismo, in Glass Onion – Knives Out passa a quella sociale. Il Miles di Edward Norton e i suoi amici incarnano gli aspetti più negativi del neoliberismo, abituati a manipolare gli altri per i propri scopi. il regista riflette, alla maniera di Parasite, Triangle of Sadness e The Menu, sui privilegi e la meschinità dei ricchi, sull’assenza di valori e sulle ipocrisie che entrano in ballo quando di mezzo ci sono soldi e successo.
Il tutto è reso anche grazie a un cast d’eccezione (e deliziosi camei come quello dell’indimenticabile Angela Lansbury), sebbene non tutti i personaggi siano correttamente approfonditi, in cui spiccano la disinibita Kate Hudson, la bravissima Janelle Monae in un doppio ruolo che viene svelato in un secondo momento e, soprattutto, un istrionico Edward Norton. Johnson lo dipinge esattamente come Hollywood lo vede, ovvero antipatico e presuntuoso, e l’attore ci regala, in questo film su Netflix che rappresenta una delle pochissime comedy a cui ha partecipato, un villain moderno terrificante non perché sia potente, ma per la stupidità con il quale regge sulle spalle quel gruppo di disadattati.
I fatti si svolgono nella soleggiata isola privata del personaggio di Edward Norton: un cambio d’ambientazione che rende Glass Onion – Knives Out sia coerente che antitetico a Cena con delitto.
Quel luogo si muove in direzione opposta all’umidità del New England e alla villa di Harlan Thrombey, poiché quest’ultima era come se fosse una scatola segreta che doveva mantenere i segreti del proprietario. Il Glass Onion, invece, dato che è fatto di vetro, non cela niente, né ha intenzione di farlo. Una dimensione spaziale che, poi, condiziona la narrazione e la struttura del film su Netflix. Infatti, sembra che l’andamento dell’opera ricalchi quello di una canzone: parte in maniera lineare finché non si spezza, girandosi su sé stessa solo per ricomporsi nel finale; lì dove ritroviamo il meccanismo dell’indagine a due di Cena con delitto, con Monae al posto di Ana de Armas di Blonde.
Ne deriva una detective story che, attraverso riferimenti a opera passate del genere, ragiona sui suoi stessi meccanismi, sull’atto dell’investigazione e del ragionamento. E lo fa attraverso le parole di Blanc. D’altronde, mettere in scena uno show allo scopo di svelarne i trucchi è l’essenza più pura della post-modernità.
Dunque, quello che ci troviamo di fronte è un film su Netflix che vuole essere diverso e ci prova con tutte le forze a esserlo. Pur mantenendo la struttura base di Cena con delitto, Glass Onion – Knives Out risulta essere un po’ meno elegante, raffinato e misterioso del suo predecessore, con una componente crime meno sviluppata che diventa l’esempio più calzante dell’idea della cipolla alla base dell’opera: le sottotrame disperdono la nostra attenzione da quella centrale, la cui risoluzione è decisamente prevedibile. Eppure, sono cose su cui possiamo sorvolare grazie alla meravigliosa messa in scena, all’ambizione di un progetto atto a giocare con un genere svelandone i meccanismi e a criticare le ipocrisie della società contemporanea, all’ironia tagliente e travolgente che ci trasporta a un soddisfacente finale. E lo fa rinnovando un genere, consegnandoci un’esperienza nuova e familiare allo stesso tempo e togliendo strati su strati per svelarne il trucco. Esattamente come con una cipolla.