Esiste uno snodo fondamentale che ha cambiato per sempre le sorti dei personaggi di Gomorra e, in particolare, quella di Genny Savastano. Il suo viaggio in Honduras, durante la prima stagione, da cui è tornato completamente trasformato nel fisico, nella pettinatura (l’ormai iconica cresta) e nello sguardo: via l’aria da guagliunciello, che lascia spazio a una rabbia cieca e avvolgente.
E l’Honduras è rimasto dentro di lui. Non solo fisicamente, allorchè ha ancora quella pettinatura e quel corpo imponente, ingombrante; non soltanto perchè i narcos honduregni sono ancora i suoi principali soci in affari (e di questo parleremo a breve); soprattutto, gli è rimasto dentro nell’attitudine e nell’ambizione al comando, con quella furia iniziale che si è tramutata in un atteggiamento freddo e calcolatore. Ma non per questo meno inquietante.
Esempio emblematico di ciò è la macabra scena del supermercato, nel secondo episodio. Ovvero, l’ennesimo tentativo di sublimare il fattore scatenante della sua metamorfosi (l’americano tagliato a pezzi nel suo primo viaggio in Centro America) abbinato alla capacità di intervenire in maniera risolutiva per il proprio tornaconto e quello del socio ispanico, Joaquin.
Per capire chi sia, oggi, Genny Savastano bisogna ricordarsi com’era prima del Sudamerica. Quando cioè, goffo, incapace di prendere una decisione, più avvezzo alla bella vita, sempre in balia dei genitori o di Ciro, mostrava tutta la sua inadeguatezza al cospetto del sistema. Il cambiamento radicale che ne è derivato ha comportato la rinuncia a tutto ciò che costituiva un limite per la sua maturità.
Culminata con l’omicidio di Pietro Savastano, da lui stesso architettato.
La morte del padre è uno step fondamentale per la sua crescita e le sue ambizioni. Soltanto un evento di tale portata ha potuto spalancargli davvero le porte dei grandi, indurlo a sedersi al tavolo di discussione con le altre famiglie camorristiche. E tutto lascia pensare che neanche questo nuovo traguardo potrà arrestare la fame di Genny: non si tratta più, infatti, di riprendersi “tutte chell che è ‘o nuoste”, quanto di accentrare ogni cosa sotto il suo comando.
Resta, in questo modo, solamente una costante tra il Genny pre e post Honduras. Quella costante si chiama Ciro Di Marzio. La rinuncia a tutto non prevede una unione (di quello si tratta, più che di una vera e propria alleanza) che è stata troppo a lungo rimandata. Entrambi hanno provato a fare a meno l’uno dell’altro, ma è soltanto stando dalla stessa parte che riescono ad essere veramente forti.
Anche Genny lo sa, per quanto non riesca ad ammetterlo ad alta voce. Ma è in quel “Cirù…”, in quel non detto che egli esprime il bisogno di averlo al suo fianco. E l’altro, tacitamente, lo capisce, a testimonianza di un legame senza dubbio controverso, ma non per questo meno saldo o meno puro. È in quello sguardo, prima che Ciro si imbarchi in aereo, che si può riconoscere l’unico briciolo di umanità insita nei due protagonisti di Gomorra.
Per il resto, benchè l’intensità del primo episodio aumenti gradualmente, non raggiunge la frenesia della scorsa premiére. D’altra parte in quest’occasione non c’è un Ciro che si barcamena per creare qualcosa di illusorio. Nè esiste la Deborah di turno che si oppone al delirio di onnipotenza del marito, poichè Azzurra è perfettamente sulla stessa lunghezza d’onda di Genny. E poi quest’ultimo è un Savastano, sicchè il potere non ha bisogno di conquistarselo: è sempre stato suo.
In tal senso, poco importa quanto Malamore sia stato fedele a Pietro, quanto abbia contribuito al ritorno in auge di tutta la famiglia e il fatto che sia realmente il più affranto per la morte del boss. Egli rappresenta una variabile insignificante nell’ordine generale delle cose. Una pedina. E infatti viene eliminato senza che nessuno provi a spiegarsi le circostanze in cui sono morti lui e i suoi uomini.
Allo stesso tempo è una pedina e nient’altro Gegè, uno delle new entry, introdotto nel secondo episodio. È lo stesso compagno a rivelargli una ovvietà che lui non è capace di cogliere: quando entri nel sistema arrivi a sporcarti le mani per forza. E allora eccolo, il contabile, costretto a dover occultare una scena del crimine. Eccolo a dover tradire Gennaro per salvare la sua famiglia.
Perchè in fondo è sempre una questione di famiglia. Lo è per Gegè, lo è per Ciro che dovrà fare i conti con i suoi fantasmi (“a mia figlia l’aggia accise pure ie“), lo è anche per Patrizia, la quale non può più stare nel limbo e dovrà scegliere, una volta per tutte, quale bivio imboccare. E, naturalmente lo è anche per Genny: lui che ha conquistato il poter proprio liberandosi del fardello della famiglia e ora dovrà difenderlo, in un affascinante contrappasso, dal patriarca della sua nuova famiglia.