È un episodio estremamente delicato quello di questa settimana. Grey’s Anatomy affronta da quindici anni temi importanti e attuali. Questa volta, più che mai, diventa estremamente reale e doloroso stare a guardare. Così doloroso che a volte mi sono ritrovata a chiudere gli occhi o spostare lo sguardo altrove.
La violenza, in tutte le sue forme, è un atto deplorevole. Se ne parla spesso, ovunque. Dalle serie tv ai film, nella letteratura e nella musica. Mia Martini, nel lontano 1989 pubblicava Donna, uno dei brani più forti e, a mio parere, intensi dedicati al tema. E, durante la visione di questo episodio, spesso ho sentito le parole di quella canzone risultare troppo vere, ancora troppo attuali. Non è cambiato molto in trent’anni.
L’avvertimento nel promo dello scorso episodio mi aveva fatto intuire quale fosse il tema, ma credevo avremmo visto un episodio in cui l’attenzione si focalizzava solo sulla storia di Jo e del suo abbandono. All’inizio, quando ho visto che contemporaneamente venivano raccontate tre diverse storie, accomunate tutte dallo stesso tema, ho storto un po’ il naso. Dopo il promo, mi aspettavo un episodio in stile The Place, film del 2017 di Paolo Genovese, adattamento cinematografico della serie The Booth ad the End, ideato da Christopher Kubasik.
Per farla breve, mi aspettavo che tutto l’episodio si svolgesse all’interno del Diner in cui vediamo Jo e sua madre. Nessun cambio di scenario. Quaranta minuti intensi in cui le due donne si sarebbero confrontate. Nessuna via di fuga. E nessun tipo di distrazione. Solo loro due che raccontano le loro verità a qualunque costo. Con i loro dubbi morali, con i loro difetti e rimpianti. Ma gli sceneggiatori di Grey’s Anatomy hanno fatto un lavoro assai migliore. Hanno gestito magistralmente tre diverse storyline che hanno un impatto diverso da quello che avrebbe potuto avere il mero racconto del passato di Jo e il confronto con sua madre.
In questo episodio di Grey’s Anatomy non ascoltiamo solo delle testimonianze. Non ascoltiamo la notizia sentendoci dispiaciute per la vittima. Questa volta la vediamo e la seguiamo. Jo è lo spettatore. Tiene la mano della vittima per tutto il tempo e non la lascia andare. Lo spettatore è Qadri che davanti ai lividi, alle ferite e alla paura non riesce a trattenere le lacrime.
Non penso di riuscire a spiegare a pieno quanto questo episodio di Grey’s Anatomy mi abbia toccato. È vero, è crudo, è reale. Non ci sono mezzi termini. Nessuno ti indora la pillola. La crudezza di quelle immagini, dei segni sulla vittima, delle lacrime della madre di Jo e della preoccupazione di Miranda Bailey ci prende a schiaffi in faccia con la violenza e l’urgenza di un verità che vuole essere ascoltata. E non solo sentita.
Ascoltiamo la storia del concepimento di Jo. Capiamo immediatamente che tra madre e figlia non ci sarà nessun ricongiungimento. Nessun pentimento da parte della donna che l’ha messa al mondo e che l’ha abbandonata. E come biasimarla! Jo è il risultato di uno stupro. Trovo coraggioso ciò che ha fatto. Ha portato a termine la gravidanza, nonostante la violenza subita. Il suo racconto è stato molto toccante. Ha raccontato ciò che segue lo stupro. Ci ha guidato nel processo che ha affrontato per smettere di sentirsi morta dentro.
All’improvviso quella vita idilliaca che sembrava avere a inizio episodio, ha cominciato a sembrare sempre meno perfetta. Potrà aver trovato un modo per smettere di sentirsi paralizzata, potrà aver trovato un uomo che la ama, due figli che le vogliono bene, ma il peso di quel trauma grava ancora sulla sua vita. Ce ne accorgiamo da come un gesto innocuo come lasciarsi toccare la mano da sua figlia, la porti a reagire sottraendola immediatamente.
Vediamo Jo incupirsi man mano sempre di più. La sentiamo raccontare del suo passato, delle violenze subite dall’ex marito e dell’aborto che ha dovuto fare per evitare al suo bambino le sofferenze che aveva subito per mano di quel mostro e un futuro fatto di violenze. È facile capire come mai stia evitando Alex. Non è ancora pronta a parlargli e a raccontargli tutto.
C’è, in particolare, una battuta che dice la madre biologica di Jo che mi ha fatto venire la pelle d’oca. Ed è questa qui:
Ho dovuto lavorare per chiamarlo “stupro”. Perché effettivamente avevo detto di sì a quell’appuntamento e avevo detto di sì a salire sulla sua macchina. Ma qualcuno in qualche modo, lungo la strada, probabilmente un uomo, ha deciso di voler quantificare questa parola, “stupro”. Stupro durante un appuntamento, stupro da parte di una persona conosciuta.
In qualche modo, non è così reale a meno che non succeda a una donna che sta correndo nel parco di notte o camminando in un vicolo oscuro. Siccome lo conoscevo, in qualche modo, quello che ha preso da me non importava. Ma importava. E ho trovato un modo per riuscire a sentirlo. Ho trovato il modo di crederci. E ho trovato il modo di andare avanti.
Penso che nessun’altra serie mi abbia fatto provare così tanta tristezza quanto questo episodio di Grey’s Anatomy. L’indignazione e la sofferenza, la solidarietà e l’impegno che tutto il team della serie ha mostrato nei confronti di un tema delicatissimo come la violenza sulle donne, sono stati esemplari e significativi.
La seconda storyline, quella che vede protagoniste Abby e di nuovo Jo, mi ha trasmesso dal primo istante una sensazione di angoscia. È bastato guardare gli occhi della vittima per capire che le era capitato qualcosa di orribile. Questo segmento è girato con l’intenzione di far sentire lo spettatore in una bolla di confusione, proprio come si sente Abby. Alle volte è quasi impossibile cercare di distinguere le voci dei personaggi perché sembrano tutte un ammasso di suoni. È proprio questo particolare espediente a conferire ulteriore spessore all’intera storia. Il caos.
La confusione, il terrore, il dolore di Abby ci arrivano diretti, senza filtri di alcun genere. Il momento in cui ho sentito le mie budella attorcigliarsi e lo stomaco chiudersi in una morsa è stato quando le hanno scoperto l’addome per rivelare l’enorme ematoma, risultato del pestaggio subito durante una violenza sessuale. Inoltre c’è una battuta, che dice mentre Jo e Teddy le propongono di fare il kit dello stupro, che mi è rimasta impressa.
Sappiamo tutte che se faccio quel kit finirà nel retro di qualche stazione di polizia, ignorato per anni. Mentre io me ne sto seduta a chiedermi quando la bomba esploderà. Aspettando di sapere se qualche giuria di miei pari crederà a una donna che ha indossato una gonna corta di qualche centimetro di troppo, che ha bevuto qualche drink di troppo al bar ieri sera dopo aver avuto una lite col marito riguardo il bucato.
E sapete che la tequila che ho bevuto farà sembrare mia la colpa. Mentre, per chiunque mi abbia fatto questo, quel drink di troppo sarà la sua scusa! Il vostro kit li convincerà che non stavo flirtando al bar? Se gli do la mia versione dei fatti e la mia biancheria intima, proverà sia a loro che a mio marito che non l’ho tradito e poi inventato una scusa solo per salvarmi il culo? Questo, il vostro kit, può farlo?
Quando Abby decide di fare il kit, c’è una sequenza che mi ha disturbato e indignato, infastidito e mi ha scosso particolarmente per quanto è cruda. In quella sequenza vediamo ogni sua ferita. Vediamo il calvario a cui una donna deve sottoporsi per essere creduta. Tra tutti i lividi e le ferite, ce n’è una che mi è rimasta particolarmente impressa. Un’immagine che proprio non riesco a togliermi dalla mente. Ed è quella del segno del morso che Abby ha sulla spalla. Al solo pensiero di quell’immagine mi vengono i brividi.
Mi è piaciuta moltissimo l’idea di Jo di far schierare tutte le donne dell’ospedale, quasi come una muraglia a protezione della paziente che in tutti gli uomini vedeva la faccia del mostro che l’ha violentata. Una catena umana che era lì a supportarla, era lì a darle conforto, era lì a darle forza. Tutte in piedi, tutte lì per lei. Un messaggio di solidarietà verso il tema della violenza sulle donne che, già nella scorsa stagione, avevano mandato.
L’episodio di Grey’s Anatomy in questione è il nono della quattordicesima stagione (qui la recensione), intitolato dapprima Four Seasons in One Day, poi cambiato in 1-800-799-7233 che è il numero nazionale per la violenza sulle donne negli Stati Uniti.
Infine, c’è stato un breve pezzo di storia che ha visto come protagonisti Miranda Bailey, Ben Warren e Tuck. Tuck l’abbiamo praticamente visto nascere in Grey’s Anatomy e, ormai adolescente, ha cominciato a uscire con una ragazza. Miranda capisce che è arrivato il momento di parargli e di fargli “il discorso”, quel discorso. Mi è piaciuto che alla fine sia stato Ben a farglielo.
Gli ha spiegato cosa significhi il consenso e ha cercato di istruirlo come suo padre aveva fatto con lui. Speriamo tutti che il giovane Tuck abbia capito appieno e recepito il messaggio.
Devi prestare attenzione alla ragazza con cui stai. Ti deve importare di come si sente e della sua felicità almeno quanto ti interessa della tua. E se cambia idea, in qualunque momento, se dice stop o smette di divertirsi, tu ti fermi. Time Out. Game Over. E voglio che tu sia al sicuro e felice, ma questo succede solo se lo è anche lei.