Bentornati con la recensione del quindicesimo episodio della diciottesima stagione di Grey’s Anatomy. Da quando a Meredith è stato proposto di trasferirsi in Minnesota mi trovo in disaccordo col mio stato di coscienza. Una parte di me vorrebbe tremendamente disfarsene per provare la teoria secondo cui via lei riprenderà a splendere il sole e la positività su Seattle e la sfiga e il mai ‘na gioia la seguirà in Minnesota, l’altra invece non accetta l’alto tradimento che la Grey potrebbe infliggere al Grey-Sloan, a Richard Webber, Miranda Bailey, ma soprattutto a me che guardo sta serie da davvero tanto tempo. Noi meritiamo rispetto.
Ma parliamo dell’episodio. Dopo i reclami riguardanti il programma di specializzazione del Grey-Sloan Memorial, arriva il tanto atteso giorno della valutazione e come il più classico dei cliché tutto sembra andare a rotoli, ma solo all’apparenza perché in Grey’s Anatomy – così come in ogni altro prodotto seriale – quello che sembrava il più grande disastro mai accaduto, si rivelerà il più grande pregio e un biglietto da visita vincente di umanità, imperfetta perfezione e altri messaggi motivazionali che potrete sicuramente trovare in una di quelle pagine Instagram dedicate al life coaching.
Proprio nel contesto dell’ispezione si muove Miranda Bailey con le sue infinte ansie e paure. E bisogna ammetterlo mi ha fatto letteralmente tremare le ginocchia e battere i denti quando – quasi a fine episodio – ha avuto due episodi di stress che hanno imitato i sintomi di un infarto. Ve lo giuro, ho avuto tanta paura perché se devo trovare un motivo per continuare a guardare Grey’s Anatomy, Miranda Bailey è quel motivo. È la mia unica certezza e il solo pensiero che possa succederle qualcosa di brutto mi distrugge emotivamente.
C’è da dire, però, che anche Miranda – per quanto io la idolatri – a volte sbaglia. E sbaglia sempre nel modo più umano possibile, ecco perché io la amo così tanto. Miranda è forse uno dei pochi personaggi realistici di Grey’s Anatomy assieme ad Amelia Shepherd mia, all-time-favorite che adesso però non mi sta piacendo proprio per niente perché non ha coronato i miei sogni Amelinkeschi. Tornando al momento dello scivolone madornale di Miranda: mi riferisco ovviamente a quando, scoperte le intenzioni di Meredith per il Minnesota, l’attacca scendendo davvero in basso e riportando a galla fatti di quand’era un’ingenua specializzanda che rincorreva sognante Derek Shepherd nei corridoi del Seattle Grace, cosa che avremmo fatto tutti noi e per cui nessuno mai potrebbe rimproverare la Grey.
Con quell’attacco decisamente di cattivo gusto e tanto, ma davvero tanto infantile, Miranda mi ha fatto esclamare un sonoro “Ma che combini?” e allo stesso tempo mi ha fatto riflettere su quanto un comportamento come il suo sia reiterato nelle relazioni attuali di qualunque genere, non solo lavorative. Sono quelle interazioni che rendono tossico un posto di lavoro, un’amicizia, ma anche un amore. Non è stato bello, per niente, ma ho apprezzato il realismo narrativo. Non giustifico Miranda, ma in qualche modo capisco. Capisco il suo sentimento.
È come se, dopo tutte le perdite e tutti i licenziamenti, Meredith avesse tradito la Bailey medico e capo dell’ospedale, ma anche Miranda l’amica e la donna in onore della quale ha chiamato suo figlio. E possiamo anche dire, riutilizzando l’espressione più gettonata per spiegare le cause della prima guerra mondiale, quella dedicata all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando: è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In preda allo stress per l’ispezione, quello per l’esito della perizia su Webber e ovviamente quello per il presunto trasferimento di Meredith tutto questo mentre il dottor Marsh sperimentava un rivoluzionario trapianto, Miranda non ce l’ha fatta e come un vero essere umano ha ceduto. Ha ceduto fisicamente e moralmente.
Ma gliene si può fare davvero una colpa? Dopo ciò che ha passato, dopo il primo infarto, dopo aver gestito un ospedale durante una pandemia, dopo la quasi morte di Ben e il suo tumore, dopo aver perso la bambina che portava in grembo, aver adottato un adolescente in difficoltà e aver combattuto per la custodia di Pru, possiamo davvero metterci a giudicare le sue reazioni? Probabilmente no. Obiettivamente sono sbagliate, certo, ma ci sono delle attenuanti abbastanza importanti da considerare.
Ma lasciandoci alle spalle Miranda, è arrivato il momento di parlare di Meredith. E ve lo giuro sul mio CD autografato da Loredana Bertè e sulle foto autografate da Jennifer Aniston, Amy Adams e Julianne Moore, miei beni più preziosi a questo mondo, che io Meredith Grey sto facendo davvero fatica a sopportarla. Questa fase luna di miele in cui vive con Nick mi snerva. Mi snerva più di quanto mi snervava la sua relazione con Andrew DeLuca e no, non perché non voglio che Meredith si faccia una nuova vita, no vorrei che se la rifacesse, solo con chi dico io. Nel primo caso volevo se la rifacesse con Riggs e nel secondo con Hayes, ma me li hanno tolti di mezzo entrambi e la cosa mi rende ancora più indisposta nei suoi confronti.
Aggiungiamo poi la relazione con Nick Marsh che proprio non mi piace per la velocità con cui li hanno accoppiati roba che nemmeno gli esperti di Matrimonio a Prima Vista riuscirebbero a fare ed ecco servito il piatto perfetto per la distruzione del mito di Meredith ai miei occhi. Io non ho avuto nemmeno il tempo di conoscerlo sto tizio che me lo ritrovo a cena con i figli della Grey. Questa considera addirittura la possibilità di lasciare il Grey-Sloan, Seattle e pure noi per andarsene in Minnesota con la nuova fiamma. E ok, possiamo anche berci la storiella che è arrivata l’ora di cambiare aria, ma non sono sicura mi stia bene.
Sì perché se una parte di me vorrebbe vederla andar via per provare la mia teoria secondo la quale è lei a portare sfiga al Grey-Sloan e dunque ai suoi dipendenti, dall’altra non sono pronta a dire addio alla protagonista di Grey’s Anatomy o a sorbirmi una narrazione spezzettata e divisa tra Seattle e il luogo imprecisato del Minnesota in cui questa dovrebbe andare a lavorare. Come vi ho già detto in qualche altra recensione, questo espediente di dividere le storyline in due luoghi non funziona quasi mai e le stagioni a partire dalla quarta di Glee ne sono la dimostrazione più chiara e palese.
Se l’intenzione degli showrunner è quella di peggiorare ulteriormente la qualità di Grey’s Anatomy fino a costringere il network a cancellarla, possono benissimo evitarci questo tentativo kamikaze e semplicemente smettere di firmare contratti di rinnovo per questa Beautiful medica interminabile più delle edizioni del Grande Fratello Vip da quando conduce Alfonso Signorini.
Ma andiamo avanti e parliamo di Richard Webber, personaggio che ci ha regalato momenti meravigliosi assieme a flashback delle prime stagioni di Grey’s Anatomy e in particolare del Pilot che – ammetto – mi hanno quasi fatto versare dei lacrimoni grandi e prepotenti capaci di riempire intere bocce d’acqua. Richard si sente responsabile per il fallimento del programma, ma soprattutto per il fallimento di Schmidt che non sembra minimamente intenzionato a tornare in ospedale. Già il fatto che Webber abbia chiesto una perizia per determinare se è ancora capace di svolgere il suo mestiere, ci dimostra quanto quest’uomo sia eccezionale e meriti solo cose buone.
Ma, ancora più di questo, c’è il momento in cui aiuta e guida Schmidt – fregandosene di portare a termine la perizia – a salvare sua madre, caduta dalle scale durante una discussione. Tra l’altro la signora Schmidt è l’artefice dei commenti negativi sul programma di specializzazione del Grey-Sloan. Ciononostante, è grazie a lei e alla sua caduta (quasi morte) se suo figlio è tornato a praticare medicina.
Il rapporto che lega Levi e Richard diventa sempre più interessante e francamente non vedo l’ora di scoprire in che modo si evolverà. Spero che Webber possa diventare il suo mentore e chissà, sogno di un futuro ipotetico e immaginario in cui magari un giorno Schmidt sarà il suo successore.