Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities è la nuova spaventosa creatura del regista spagnolo. Un mosaico imperfetto delle molteplici facce dell’orrore, in cui del Toro si limita, stavolta, a impersonare il ruolo di voce narrante lasciando l’onere della macchina da presa a illustri colleghi e colleghe. La serie tv antologica, prodotta da Netflix e distribuita nell’arco di quattro serate, consta di ben otto episodi, otto storie che spaziano dal folklore al racconto di fantasmi, da Lovercraft a Carpenter. Un progetto molto intrigante, ideale da vedere nel periodo più terrificante dell’anno e che riempie il vuoto nell’attesa della terza stagione di The Haunting. Del Toro si affida a maestri del genere, dal tocco eterogeneo e riconoscibilissimo come Vincenzo Natali, Catherine Hardwick, Guillermo Navarro e Jennifer Kent.
Ogni storia si distingue non solo per l’argomento trattato ma per il tono in cui, appunto, viene raccontata. Nel “mobiletto” di del Toro non troverete due racconti uguali, seppur i collegamenti tra l’uno e l’altro esistono e risulta molto piacevole scoprirli. D’altronde il titolo stesso con cui questo show viene presentato è indice delle intenzioni del regista premio Oscar. Un “cabinet” è un armadietto a vetrina o stipo-di quelli che potreste trovare magari nelle case dei vostri nonni – in cui, tra scompartimenti segreti o in bella vista, veniva conservato di tutto: dalla biancheria alle lettere, da oggetti preziosi a cianfrusaglie varie. Ricordo come da piccola fosse il mio passatempo preferito quello di esplorare nell’armadietto che mia nonna teneva in salotto e come questo fosse una continua scoperta. Quell’estatica curiosità fanciullesca diventa dunque la chiave di volta per lasciarsi trasportare dalle storie contenute all’interno dello stipo fantastico di del Toro.
ATTENZIONE! Se non avete ancora visto Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities vi consigliamo di tornare più tardi.
Ogni episodio si apre con il narratore che emerge dall’oscurità, una tecnica già utilizzata in passato da Alfred Hitchcock. L’intenzione di del Toro è ovvia e incisiva: rivolgendosi direttamente alla telecamera ci sta personalmente invitando ad accomodarci per assistere alla storia di turno. Si tratta di un’introduzione accattivante con la quale il regista non solo presenta la trama e ma titilla anche la nostra curiosità. Ancor di più se consideriamo che ogni singola storia di Cabinet of Curiosities è diversa dalla precedente sia nel contenuto che nella forma, permettendoci quindi di scegliere le nostre preferite. La libertà concessa ai differenti registi ha fatto si che ogni episodio si riveli un viaggio visivo totalmente distinto e se ci sono storie che funzionano più di altre è anche vero che nessuna si rivela mai essere una storia cattiva.
Nel complesso, un racconto che indubbiamente emerge rispetto agli altri è “The Autopsy” in cui un’indagine di polizia porta a una scoperta agghiacciante. Il regista David Prior (The Empty Man) mostra un notevole controllo sulla macchina da presa, riuscendo a costruire una tensione crescente che esplode negli ultimi dieci minuti del racconto. L’obitorio, di per sé luogo terrificante, diventa l’ambientazione principale in cui l’orrore ha luogo tra primi piani e body-horror.
Di tutt’altro tipo è la paura nascosta all’interno della casa di “The Murmuring”. L’ultimo episodio della raccolta è diretto da Jennifer Kent (The Babadook), di nuovo alle prese con una protagonista femminile che non riesce a distinguere tra realtà e fantasia. Dopo aver vissuto il trauma della morte della figlia piccola, una coppia di ornitologi (Essie Davis e Andrew Lincoln) si trasferisce in una vecchia casa per portare avanti i propri studi sul volo sincronizzato dei piovanelli pancianera. Il lutto dei protagonisti si mescola al dolore soffocante che pervade la casa. Dall’orrore fisico dei primi episodi passiamo dunque a un orrore mentale, in cui echeggia la tradizione inglese di racconti come Giro di Vite e di film horror come The Lodgers.
Anche “The Outside” è una storia decisamente più allegorica in cui la ricerca ossessiva della bellezza esteriore diventa mero specchietto per le allodole.
L’episodio, diretto da Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night), ha come protagonista una giovane donna (Kate Micucci) che non piace a nessuno e men che meno a se stessa. Incapace di sentirsi accettata, inizia a dare ascolto alle parole di un platinato Dan Stevens che, dalla tv, le promette un rinnovamento totale. Il mito della bellezza a ogni costo assume una dimensione fisica grottesca.
All’interno del “cabinet” c’è spazio anche per alcune creature da incubo come in “Lot 36”, diretto da Guillermo Navarro, in cui un ex soldato americano razzista (Tim Blake Nelson) deve vedersela con un demone tentacolare e con un mostro ancora peggiore: il karma. In “Graveyard Rats” la claustrofobia e i topi vanno a braccetto grazie alla mano talentuosa di Vincenzo Natali (The Cube). Entrambi i racconti mettono in luce la sconfinata avidità umana che neppure di fronte a un evidente pericolo sembra capace di frenarsi. Dal tono più fantascientifico risulta “The Viewing”, puntata che rende omaggio al cinema anni Ottanta con una strizzata d’occhio per La Cosa di John Carpenter.
Ultime, ma non per importanza, non possiamo non parlare di due puntate tratte da altrettanti racconti di H.P. Lovercraft, l’autore che, forse più di ogni altro, ha avuto un incontro ravvicinato con l’orrore puro. Il quinto episodio, intitolato “The Pickman’s Model” vede il ritorno di Ben Barnes alle prese con quadri malefici i cui ritratti sembrano arrecare orrende ripercussioni ai malcapitati che osano guardarli. “Dreams in the Witch House”, invece, affonda il proprio nucleo narrativo in alcuni temi carissimi al folklore: le streghe, i boschi, i gemelli e le maledizioni.
Il labirinto di spechi in cui Guillermo del Toro ci porta per mano è un luogo oscuro e inquietante in cui le storie fanno l’una da riflesso all’altra, distinguendosi in quanto opera individuale ma, allo stesso tempo, collegandosi tra loro per questo o quel particolare. Troviamo in tal modo dei collegamenti tra il primo e il quinto episodio così come tra il primo e il secondo. I topi, i quadri e i polpi lovercraftiani sono elementi ricorrenti in diverse puntate, nonostante poi ogni regista li esalti in maniera differente.
Una serie tv antologica che racconta per davvero l’horror nelle sue innumerevoli sfaccettature concentrandosi ora sul suo aspetto più carnale e grottesco, ora invece sul suo ruolo di allegoria della realtà. In Cabinet of Curiosities c’è spazio in egual misura per quel body-horror che ha fatto la fortuna degli slasher e degli splatter movies, così come per l’horror tipicamente psicologico in cui spiccano The Others, Il sesto senso e il più recente Babadook.