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Here: con una sola inquadratura Robert Zemeckis arriva al cuore – La Recensione

Uno degli abbracci tra Richard e Margaret in Here
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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sul film Here

È abbastanza incomprensibile il silenzio che ha accolto l’arrivo di Here, ultima fatica di un grande regista come Robert Zemeckis (qui la sua carriera). In patria il film ha avuto un percorso abbastanza sfortunato, che ne ha limitato la ricezione pure fuori dai confini statunitensi. Così, in un clima di troppa indifferenza, Here è giunto pure nelle nostre sale, regalandoci invece una delle visioni più interessanti di questo inizio 2025 (qui, invece, trovate la classifica dei migliori film del 2024). Non ci sarebbe, in realtà, troppo da sorprendersi, considerando non solo la firma di Zemeckis, ma la reunion del team creativo di Forrest Gump (tra i 60 migliori film secondo IMDb) e la presenza pure dei due attori protagonisti di quel leggendario film: Tom Hanks e Robin Wright.

E infatti Here ricorda molto Forrest Gump. Nelle atmosfere. Nella dolce malinconia in cui si culla. In quella pretesa di raccontare la grande Storia americana attraverso la piccola storia degli individui. Il livello di Here non è quello di Forrest Gump, ed è giusto metterlo subito in chiaro. Però siamo in presenza di un film estremamente valido. Dolce, intenso, che avrebbe meritato molta più attenzione e che speriamo sinceramente si ritagli il suo posto in questa sua avventura italiana. Dal canto nostro, faremo la nostra parte con una recensione che sottolinea gli aspetti valorizzanti di un racconto tanto complesso quanto semplice come quello messo in scena da Here.

L’idea alla base di tutto il film

Here parte da un’idea geniale: raccontare, con una sola inquadratura, tutta la vita che è stata ripresa da quella singola telecamera. La vita che si è consumata prima su quel pezzo di terra, poi nel salotto della casa che lì vi è sorta. Una vera e propria epopea, che parte dalle vicende dei nativi americani fino ad arrivare a una famiglia afrodiscendente dei giorni nostri. Al centro di tutto c’è però la storia di Richard e Margaret (e prima quella di Al e Rose, i genitori del primo). Due generazioni che hanno vissuto in quella casa e che hanno vissuto in quel salotto i più intensi e importanti momenti della loro esistenza.

Il racconto procede in maniera frammentata. Come detto, ci sono altre storie che s’intrecciano a quella principale, e nonostante venga sempre mantenuta una viva successione temporale, la struttura episodica della narrazione è dominante. Questo approccio è estremamente coerente con il cuore della materia narrata, perché in fondo Here si configura come un enorme e lunghissimo ricordo di tutta la vita che è passata davanti a quella singola inquadratura. E la memoria, appunto, ricorda per immagini, per episodi. Non ricorda in maniera lineare. In questo modo si crea un parallelo importante tra lo stile narrativo e il funzionamento della memoria, elemento centrale che c’introduce il grande tema del film.

Tom Hanks e Robin Wright sono i due protagonisti di Here
Credits: Sony

Lo scorrere del tempo in Here

Il tema principale del film è, dunque, lo scorrere del tempo. C’è sempre una prospettiva malinconica a fare da sfondo al racconto. Una prospettiva propria, appunto, di chi ricorda. Non c’è solo la memoria, però, a interfacciarsi col tema dello scorrere del tempo. In Here si parla molto pure dei sogni, il più delle volte infranti. Il sogno attiene quasi a una dimensione tutta sua. Parallela, anzi quasi contraria, alla vita normale. Nel film di Zemeckis i sogni sono destinati a essere traditi. Quello di Rose di fare la contabile. Quello di Margaret di avere una casa propria e quello di Richard di studiare grafica. Sono traditi dal tempo stesso, che incalza e impone scelte più razionali.

In questo senso, in Here il tempo assume, anch’esso, una dimensione quasi a se stante. Molto percettiva. È la classica percezione, di nuovo, di chi ricorda. Com’è noto, la strutture temporali che contrassegnano la memoria sono molto diverse da quelle naturali. I ricordi sono per lo più viziati dalla percezione personale e il film mette in scena proprio questa distorsione emotiva del tempo. Non a caso, infatti, s’interfaccia con due elementi, la memoria e il sogno, che hanno una fortissima componente personale ed emotiva. Da tutto ciò, ne deriva la scelta azzeccatissima di accantonare una narrazione lineare, premiando invece una struttura episodica che contribuisca a ricreare quel malinconico e familiare sentimento che si prova quando ci si mette a scavare, e a crogiolarsi, nella propria memoria.

Un racconto estremamente umano

Questa concezione personale dello scorrere del tempo non poteva non accompagnarsi a un racconto estremamente umano. Quella che viene raccontata in Here è la vita. Nuda e cruda, in assoluta purezza. È l’umanità, che scorre e si consuma in tutta la sua normalità. Nelle vite dei protagonisti non succede letteralmente nulla. Come nelle vite della stragrande maggioranza delle persone che si sono succedute in questo mondo. Sono esistenze normali, caratterizzate dalle consuete vicende che segnano l’umanità. Nascita, amore, morte. Gioia e dolore. Il tutto in un ciclo di trionfale normalità che è destinato a ripetersi attraverso miliardi di vite.

Here vuole parlarci di quotidianità. La quotidianità di un salotto dove una famiglia condivide le proprie esperienze. Dove vive un’esistenza normalissima. Cristallizzata, però, in eterno proprio dalla memoria. Perché ogni vita, per quanto normale, diventa straordinaria agli occhi di chi l’ha vissuta. Meraviglioso è, in tal senso, il finale, quando Margaret torna insieme a Richard in quel salotto dove ha trascorso la maggior parte della propria vita e improvvisamente, finalmente, ricorda. E si meraviglia, per quanto straordinaria sia stata la sua vita.

Here crea anche uno splendido parallelo tra la storia esterna e quella interna. Mentre osserviamo la quotidianità che si consuma in quel pezzo di terra ripreso per tutto il film, sentiamo l’eco della storia che si consuma. Con le diverse storie affrontate, Zemeckis passa in rassegna varie tappe della storia americana, andando a creare una sorta di intima epopea, che si consuma in una dimensione privata, con la grande Storia, quella con la S maiuscola, che rimane sullo sfondo e fa solo da contorno alla meraviglia della quotidianità.

La scena del compleanno di Margaret
Credits: Sony

Il coinvolgimento che supera qualche forzatura di troppo

Here non è un film esente da criticità, anzi. Ci sono un bel po’ di forzature (derivanti più che altro dalla complicata idea che succede letteralmente di tutto in quel salotto), ma queste sono funzionali al coinvolgimento che il film intende creare. L’emotività, nella pellicola di Zemeckis, supera la ragione, per così dire. E sinceramente quelle forzature nemmeno pesano troppo nel bilancio generale. Le accettiamo perché ne comprendiamo le ragioni. S’inseriscono in un disegno volto a confezionare un’atmosfera di intimo calore, necessaria per il fine che il film intende veicolare.

Questo fine è, in sostanza, il coinvolgimento dello spettatore. C’è una metafora fortissima che si può rinvenire nel racconto, che è quella dell’abbraccio. Questo ricorre in alcuni momenti significativi tra Margaret e Richard. Suggella il momento del primo innamoramento, ma sopisce anche una fortissima crisi. Ed è l’abbraccio mancato, nella scena del Capodanno del 2003, che apre alla rottura definitiva tra i due.

L’abbraccio è la metafora del film perché questo è ciò che lo spettatore cerca da Here. Ed è anche ciò che il film stesso vuole dare allo spettatore. Ci sembra che Here intenda dare calore allo spettatore per consolarlo in presenza della malinconia che si prova dinanzi alla consapevolezza dello scorrere del tempo. È un enorme abbraccio, in cui chi guarda può lasciarsi cullare, facendosi così travolgere da fiume dei ricordi. E come, stretti in un caldo abbraccio, lasciamo fuori i sentimenti negativi, allo stesso modo sorvoliamo su quelle forzature che caratterizzano il film, ma non lo affliggono.

Here è il film da vedere per sentirci a casa

Le sensazioni che trasmette Here sono davvero difficili da rintracciare in altri racconti. Sono persino difficili da ricreare e addirittura da descrivere. È quel sentimento di sentirsi a casa che si prova quando si è estremamente a proprio agio. Quando si abbassa ogni muro e si lasciano scoperte tutte le proprie vulnerabilità. Zemeckis è bravissimo nell’insinuarsi nella quotidianità e nella familiarità dello spettatore. Nel far calare le sue difese e abbracciarlo, così da regalargli una visione intensa e altamente emozionante.

Non capiamo il silenzio che ha accolto Here. Sinceramente non lo capiremo mai. A gran voce, però, vi diciamo di correre in sala a vederlo. Non sarà un film senza difetti, ma è un film capace di toccare corde emotive uniche. Di metterci davanti ai nostri sogni. Alla nostra memoria. Capace di ingabbiarci nel nostro tempo e di lasciarci liberi di percepire, a modo nostro, la vita che abbiamo vissuto e i ricordi che abbiamo costruito. E pure la vita che verrà, che a sua volta sarà al centro di altri ricordi. Tutti vissuti qui, nel nostro tempo e nel nostro luogo. Come hanno vissuto Richard e Margaret, e altri prima di loro e tutti coloro che regaleranno la propria vita a quel pezzo di terra che già tanta ne ha vista, ma che ancora tantissima ne dovrà vedere.

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