Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su House of the Dragon 2×06.
Destino. Che sia maledetto, il destino. Che sia benedetto, il destino. Azioni e reazioni umane a una forza incontrollabile, oltre cui non si è altro che mere pedine. Burattini senza fili, regnati da un sovrano ancestrale che traccia la via prima ancora di concedere il lusso di qualsivoglia riferimento. Benedizioni e maledizioni si svuotano allora di significato, di fronte all’egemonia imponderabile di forze ataviche che regnano il mondo e lo modellano a propria immagine e somiglianza. Destino, affrontato con la blasfemia o con la radicata prostrazione dalla miseria umana, miope al cospetto di un disegno più grande.
Come succede in House of the Dragon 2×06, puntata nella quale il destino ha giocato a carte scoperte come non mai, facendosi beffe dei movimenti bellici che accompagnano la prossima fase della Danza dei Draghi.
Niente di nuovo, in fondo: questa è la storia di un’intera saga. Una saga che affonda le radici su un equivoco di base: la lotta per il potere si riduce a un insolente gioco per bambini arroganti, se si intravede la prospettiva di una lotta per la sopravvivenza umana contro gli spettri del terribile Inverno. Rhaenyra lo sa, ma è costretta suo malgrado a giocare nel contesto di un gioco non suo. Jacaerys altrettanto.
Ma cosa resta della forza salvifica dei Targaryen, destinati a guidare e liberare Westeros dalla minaccia Estranea, se la priorità accecante della guerra civile finisce per inghiottire tutto il resto? Non resta altro che un cumulo di cenere, e l’insostenibile idea che la guerra non sia altro che un buco nero in cui tutto spira. A partire dalla storia e dalla memoria, prime vittime di un ciclo perenne di sangue il cui il presente è la sola incombenza.
Di questo e di molto altro si è parlato in House of the Dragon 2×06.
Prima di procedere con l’esposizione del tema chiave di House of the Dragon 2×06 (disponibile su Sky e Now), mettiamo in scala tutto il resto. Lo facciamo, volutamente, senza soffermarci oltremisura sui numerosissimi punti di una puntata in cui l’azione ha lasciato spazio al posizionamento e al riposizionamento delle pedine che compongono la “damiera” della Danza dei Draghi. Lo facciamo prendendo in esame alcuni dei personaggi più importanti dell’episodio.
- Aemond
Il principe reggente mostra il suo volto, già emerso in precedenza e ora sublimato dal nuovo ruolo. Abbina a una certa arroganza istintiva una visione più lucida rispetto a quella che aveva palesato suo fratello. È abbastanza pieno di sé da attuare una strategia bellica spregiudicata e dalle numerose incognite, senza tenere in considerazione i pareri discordanti del suo Concilio. Non solo: congeda la madre, l’unica forza moderata in grado di temperare la sua indole, e non tiene presenti le legittime rimostranze di Criston Cole (scettico a proposito di un piano che non valuta le numerose perdite già subite dal suo esercito) e di un popolo ormai allo stremo. Una storia già vista, la sua. Con una differenza fondamentale: allontana allo stesso tempo i tossici lacchè che avrebbero avvelenato il suo operato e decide di richiamare il più prezioso degli alleati potenziali, il nonno Otto Hightower.
Aemond si ritrova, in definitiva, ad abbinare alle fragilità del suo spirito, fin troppo evidenti nella continua associazione alla figura di Daemon, con le lucide esigenze della leadership assoluta. Il sovrano è all’altezza della situazione, ma l’uomo è alla deriva.
- Alicent
Nel momento in cui la figura politica diviene incompatibile con lo stato del proprio spirito, si rischia un corto circuito. È quello che affronterà Aemond, ed è quello che sta già affrontando Alicent. Il senso del dovere, radicato in lei con una matrice che sconfina fortemente nel campo religioso, ne fa una delle massime incarnazioni possibili dell’essere una Hightower: il conflitto morale che alberga dentro di lei, però, è sempre più ingombrante. Alicent, d’altronde, è ormai consapevole di aver imposto con le proprie azioni il destino sbagliato all’intero regno: Aegon non era l’uomo del fato, così come non lo è Aemond.
La sua influenza è ormai nulla sul piano politico, ma persiste sul piano umano: alla governante calcolatrice si sostituisce così la madre caritatevole, l’unica in grado di far vacillare lo spirito dei suoi figli. Non sarà mai abbastanza per porre rimedio a una storia ormai scritta, ma le permetterà di sopravvivere con un ruolo diverso all’interno della Fortezza Rossa: Alicent ha ricordato a se stessa di essere prima di tutto una madre. Anche se ha distrutto le vite dei propri eredi con una scarsa presenza sul piano emotivo, potrà agire per dare un volto più razionale ai Verdi. Con ogni probabilità non riuscirà nell’intento, ma il tentativo è evidente.
Se Atene piange, Sparta non ride.
- Rhaenyra
Dopo aver subito la corrosiva spinta degli eventi, portandola a essere una sovrana spogliata d’ogni potere effettivo, Rhaenyra sta avviando il suo percorso per plasmare il suo regno. Il volo finale in groppa alla sua Syrax, figlia di un impulso irrazionale che poco ha a che vedere con la lucidità da preservare, certifica l’evoluzione di una regina che intende muoversi per essere davvero tale. L’inazione, d’altronde, non fa per lei. Così come non fa per lei l’idea di esser stata formata per essere una donna che non ha mai voluto essere.
Rhaenyra è un elemento di rottura delle convenzioni, ed è consapevole di essere la custode prediletta di un fato in cui ricopre un ruolo fondamentale.
Lo schiaffo al membro del Concilio Ristretto, unito alla minaccia che porta con sé, segna un cambio di passo nella sua azione: dopo aver agito a lungo per farsi portatrice di pace, si ritrova costretta a scegliere la violenza. Per un bene superiore, più che per un gioco di potere.
Rhaenyra si emancipa e trova la sua linea d’interpretazione per essere una vera regnante. Non più succube del patriarcato e di una storia che aveva già incatenato l’amata Rhaenys (relegata a un ruolo più ridotto rispetto a quello che avrebbe dovuto avere), ma fautrice di un mondo nuovo. Un mondo più lucido, peraltro, nel giostrare tra i complessi equilibri del potere e quelli del popolo.
Inquietanti spettri, tuttavia, aleggiano intorno alla sua figura: pur essendosi slegata parzialmente dalle tossicità connesse alla relazione con Daemon (Eros e Thanatos, ne avevamo parlato fin dal secondo episodio), la nuova storia d’amore con Mysaria rischia di essere pericolosissima. Un amore disilluso, consapevole e per questo intenso, ma non possiamo non ripensare in tal senso all’esempio di Varys, portatore di notevoli affinità con Mysaria: “Quando vedo a cosa il desiderio riduce le persone e a che cosa ha ridotto questo Paese, io sono contentissimo di non provarlo. Inoltre l’assenza di desiderio lascia la mente libera di perseguire altri fini”.
Lo diceva un uomo che non poteva generare degli eredi, al pari di Mysaria. Lei, però, può provare piacere, così come Rhaenyra. Visti i precedenti di Mysaria con Daemon, si rischia di creare una pericolosissima dinamica per la regina: d’altronde, “l’amore è la morte del dovere”. L’emancipazione di Rhaenyra, tuttavia, passa anche da qui.
Scenario poco rassicurante anche per Daemon, in House of the Dragon 2×06.
- Daemon
Gran parte del suo arco narrativo attuale è destinato a un solo fine: dare una ragione e uno scopo alle apparenti contraddizioni emerse dalle sue azioni. Il passato incombe ancora nel percorso freudiano della sua psiche, arrivando all’unico inevitabile punto d’arrivo: Viserys. Il rapporto col fratello è la vera pietra angolare della sua esistenza, e non è un caso che la risposta sia diversa rispetto alle precedenti visioni. Dopo averlo visto uccidere la versione più giovane di Rhaenyra, confrontarsi con la voce del suo spirito (l’ex moglie Laena), “interpretare” Aemond e consumare un rapporto sessuale incestuoso con sua madre, lo ritroviamo mentre si confronta con l’uomo che non sarà mai. Col re che non sarà mai. Mostrando la direzione che avrebbe potuto prendere la sua vita.
Una vera e propria sliding door che richiama uno dei passaggi fondamentali del loro rapporto: l’immatura reazione di Daemon alla morte del primogenito di Viserys, situazione in cui il legame si incrinerà e il re accetterà definitivamente l’idea di fare di Rhaenyra la sua vera erede.
Daemon, in questa situazione, non mostra la rabbia e l’irrazionalità a cui siamo abituati, bensì un senso di carità e d’amore che riflette il rapporto incostante con lui. Un legame di sangue che si basa su un profondo affetto, macchiato tuttavia dalle insanabili fragilità dell’uomo. Il problema, per Daemon, non è mai stato Viserys, ma tutto quello che rappresenta. Un uomo che adora, e verso il quale prova un profondo senso di colpa. Daemon, in questo momento, sembra fare ammenda e riscrive i passaggi chiave del rapporto con lui seguendo il copione che avrebbe dovuto seguire. Questo, con ogni probabilità, lo porterà a onorare la memoria del fratello, rispettare le sue volontà e riavvicinarsi – anche per questo – alla causa di Rhaenyra. Per ora, almeno. Daemon non cambierà mai, ma il suo spirito sarà sempre in tumulto.
Detto ciò, si torna al tema fondamentale di House of the Dragon 2×06: quanto contano, davvero, le considerazioni che abbiamo fatto finora a proposito dell’episodio?
Niente, o quasi. Quantomeno, se si mettono in scala rispetto al ruolo giocato dal destino: cosa resta dei giochi per il potere, di fronte all’impassibile azione del destino? Questa è una storia già scritta da una mano invisibile, messa in scena da figuranti che si associano alla grandezza degli dei. L’avevamo già detto nel corso delle scorse settimane e lo ribadiamo ora: nel mondo fantasy di House of the Dragon, la centralità delle forze ancestrali che governano l’universo è assoluta. E questo episodio l’ha rimarcato con grandissima intensità.
- I figli illegittimi dei presunti “illuminati” sulla via delle divinità, sono i veri “eletti”. Non è un caso, d’altronde, che Addam, uno dei “semi di drago” generati da Corlys, venga scelto da Seasmoke come nuovo cavaliere: oltre a essere un “bastardo”, è anche la seconda scelta rispetto al fratello Alyn, sconfessando così per due volte la volontà del nobile Corlys. Si ripropone così una dinamica già presente in Game of Thrones e nell’intera saga: Jon Snow, “l’uomo del destino” che ha unito il ghiaccio col fuoco e ha dato una dimensione reale alla profezia di Aegon il Conquistatore, era a sua volta un figlio illegittimo, destinato dagli umani all’onta e dagli dei alla gloria.
Non solo lui. Alys si fa tramite e messaggera delle forze ataviche delle Terre dei Fiumi: nella sua azione c’è l’azione degli antichi Dei, non la volontà (apparente) di sostenere o distruggere Daemon.
Come esplicita lei stessa, nessuno di loro “gioca la partita”: sono mere pedine. La sua azione favorirà Daemon nel breve periodo, ma lo porterà alla distruzione: l’uccisione di Grover Tully, d’altronde, intacca l’onore e gli equilibri millenari di terre aggrappate da sempre a un fato dai contorni magici. Presto capiremo dove si andrà da qui.
- Le parole di Alys, inoltre, ripropongono un tema portante della saga: il potere è un onere, mascherato da onore. Il trono non è “un premio da vincere, ma un peso da portare”. “Non diventa re chi vuole esserlo”: non lo diventerà mai Daemon, e chi lo diventa andando contro il volere del destino ne paga le conseguenze peggiori. Nelle condizioni terribili di Aegon si ritrova la vanagloria di un giovane che ha portato la storia nella direzione sbagliata.
Il destino premia, ancora una volta, i reietti. Riservando ai potenti, i presunti eletti dalle divinità, le maledizioni e un duro prezzo da pagare per la loro arrogante insolenza. I burattini più manipolabili, d’altronde, sono convinti di essere i burattinai.
- In tal senso, emerge con forza la figura di Mysaria. È ancora presto per esprimersi definitivamente a proposito di una donna che potrebbe riservare delle spiacevoli sorprese in futuro, ma la sua azione, contestualizzata in House of the Dragon 2×06, fa emergere un “ultimo” che si mette al servizio di un bene superiore. A differenza di Larys, proiettato esclusivamente su fini personalistici, Mysaria sembra agire in virtù di un piano più ampio. Sceglie per questo Rhaenyra, come Varys sceglierà Daenerys.
- Gli “ultimi”, che si tratti del popolo, di figli illegittimi o di una Maestra dei Sussurri, ribaltano l’ordine innaturale delle cose privando i potenti del loro potere effimero, decretato dagli uomini e non dagli dei.
In ultima analisi, si arriva così all’evento chiave di House of the Dragon 2×06: la scelta di Seasmoke.
I draghi, proiezioni di un potere di natura divino che era stato fortemente dileggiato nel corso del quinto episodio, esprimono così la loro autonomia rispetto al sistema che gli umani si sono dati. Dopo aver rifiutato un uomo di nobili origini, morto tra le fiamme nel più doloroso degli epiloghi, Seasmoke decide così di unire la propria storia a quella di un uomo che aveva atteso la scelta del suo padre naturale per tutta la vita, senza mai trovare una risposta. La sua figura reietta, associata a quella del suo cavaliere precedente (Laenor, a sua volta figlio di Corlys), viene così eletta. Non per scelta degli uomini, bensì di un essere superiore.
Si compie così l’ultimo passaggio di un episodio che ha dato un senso ancora più profondo alla Danza dei Draghi. I draghi, usati come becero strumento di potere, arriveranno a un passo dall’estinzione, infangando così la memoria delle forze che governano l’universo. Gli uomini, ribellatisi al fato, periranno. La guerra sarà un vano bagno di sangue che non lascerà traccia di sé, se non nelle testimonianze dei pochi sopravvissuti. Il destino, a quel punto, dovrà covare sotto la cenere. Sopito ma non cancellato, se non nelle memorie degli uomini. Per poi rinascere come una fenice, una volta che gli Estranei busseranno alla porta di Westeros. Poco prima della mezzanotte, per ristabilire l’ordine naturale delle cose che gli uomini distruggeranno ancora. È e sarà la storia di una vita. La storia di un animale che non imparerà mai dai propri errori.
Antonio Casu