ATTENZIONE: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Il diavolo in Ohio.
In psicoanalisi la proiezione è uno tra i meccanismi di difesa più comuni e primitivi poiché appartiene da sempre all’essere umano. Viene messo in atto a livello inconscio per affrontare circostanze piuttosto angoscianti vissute come un pericolo per il proprio equilibrio psicoemotivo. Nella proiezione si tende ad attribuire ad altri propri aspetti o esperienze negative in modo da allontanare da sé sentimenti, emozioni e vissuti con i quali non si vuole avere un coinvolgimento personale.
Ecco, in pratica, di cosa parla Il diavolo in Ohio, la nuova serie uscita venerdì 2 settembre 2022 sulla piattaforma on demand americana. Ma andiamo con ordine.
Il diavolo in Ohio è una miniserie di otto puntate della durata di circa cinquanta minuti l”una basata sul romanzo omonimo scritto nel 2017 da Daria Polatin, già sceneggiatrice di Jack Ryan, Heels, Shut Eye e Condor. Daria Polatin racconta in una intervista di aver presentato a Rachel Miller, una sua amica produttrice esecutiva, la sceneggiatura di un pilot che raccontava la storia di una ragazza che abbandonava una microcomunità che la opprimeva. All’amica questa storia ha risvegliato drammatici ricordi che ha raccontato a Daria obbligandola, quasi, a scriverne un libro di importante successo, soprattutto tra i teenagers americani. Dal libro, poi, Daria Polatin ha estrapolato la sceneggiatura delle otto puntate apportando giusto qualche ritocco affinché la serie potesse interessare anche un pubblico più adulto.
La miniserie racconta la storia di Mae, interpretata da Madeleine Arthur (Nikki Genêt in Snowpiercer), la quale una notte fugge dalla sua famiglia risvegliandosi in un reparto psichiatrico di un piccolo ospedale di una piccola cittadina americana dell’Ohio. Ad accoglierla al suo risveglio c’è la psichiatra Suzanne Mathis, interpretata da Emily Deschanel (Temperance Brennan in Bones) la quale inizia a sentire fortemente la necessità di aiutare Mae a tutti i costi, tanto da portarla a casa sua introducendola nella sua famiglia composta dal marito Peter (Sam Jaeger), le due figlie adolescenti Jules e Helen (Xaria Dotson e Alisha Newton) e Dani, adottata dalla coppia da qualche anno.
All’interno della famiglia Mathis viene a crearsi una sorta di triangolo affettivo i cui vertici sono occupati da Mae, Suzanne e Jules. All’interno di questo triangolo ciascuno dei tre personaggi femminili riversa le sue frustrazioni: Jules, quelle tipiche di una adolescente alla ricerca di se stessa; Mae, quelle di una ragazza tormentata da un trascorso oscuro e cupo; e Suzanne, che si ritrova ad affrontare il proprio passato di figlia in conflitto col proprio presente di madre e moglie, proiettandolo sulle altre due.
Attorno alle tre protagoniste, poi, ruotano gli altri personaggi minori i quali creano e disfano legami personali più o meno importanti come se nulla fosse, o quasi. La facilità con la quale queste relazioni iniziano e finiscono creano una sorta di coreografia facendo apparire gli eventi narrati come una sorta di grande ballo ben congegnato.
Il diavolo in Ohio è una serie dalle tinte fosche che parte veramente alla grande ma che poi, lentamente si spegne andando a perdersi tra rivedibili dettagli. L’impressione generale che lascia è quella di un quadro incompiuto che avrebbe potuto essere meraviglioso ma che si limita, invece, a essere preciso, senza troppe sbavature risultante alquanto scolastico. Intendiamoci: seppur priva di colpi di scena particolari si lascia guardare con piacere, senza lasciare quel fastidioso senso di aver perso inutilmente del tempo davanti alla televisione. Certo, partendo dall’idea di voler raccontare la fuga di una ragazza da una sette satanica, qualcosa di più ce lo si aspetterebbe. Purtroppo invano.
Daria Polatin e il suo staff proprio sulla setta satanica hanno voluto veramente darci dentro. In più di una intervista la showrunner racconta infatti che insieme ai suoi colleghi hanno creato un mondo occulto piuttosto tenebroso e verosimile, con un simbolismo proprio (anche se un po’ scontato), basandosi sui libri e sulle testimonianze di chi, realmente, le ha conosciute. La stessa Emily Deschanel ha più volte ammesso di essersi sentita a disagio, durante le riprese, proprio per questa cappa opprimente di malignità onnipresente. Eppure, la setta e i suoi membri, alla resa dei conti, sembrano una versione oscura degli amish e risultano piuttosto spenti, poco incisivi ma soprattutto poco inquietanti e molto edulcorati. Non sono degli imbroglioni che fanno il lavaggio del cervello per spillare qualche soldo e nemmeno danno l’impressione di essere terribili fanatici da far accapponare la pelle.
Messa da parte, con un po’ di delusione, la questione satanica ci si aspetterebbe molto dal costrutto psicologico sul quale si basano le storie delle tre protagoniste. Invece, anche qui, l’impressione che resta è che si doveva fare di più soprattutto per sfruttare le doti interpretative delle tre attrici.
Una volta compreso quali flashback appartengano a Mae e quali a Suzanne si capisce subito, molto bene, la faccenda della proiezione accennata all’inizio. È chiaro, infatti, che Suzanne stia cercando di salvare se stessa attraverso la salvezza di Mae poiché entrambe hanno diversi punti in comune. Ma ciò che risulta un po’ strano è il fatto che dei problemi di Suzanne se ne accorgano tutti tranne la diretta interessata, che di mestiere fa la psichiatra. Capiamoci: non è che Suzanne dovrebbe sapere tutto meglio degli altri, ma per lo meno dovrebbe riflettere un pochino di più su tutta una serie di errori professionali che le vengono fatti notare ma che, imperterrita, continua a compiere aggravando la sua situazione famigliare e lavorativa.
Per dire: se una tua collega, in supervisione, ti fa notare che stai proiettando su una terza persona tuoi problemi irrisolti non è che tu prendi la porta e te ne vai come farebbe un poliziotto qualunque, andando a ficcarti nei guai ancora più grossi mettendo, ovviamente, a repentaglio la vita dei tuoi famigliari. No?
E con la famiglia si tocca un terzo punto che viaggia parallelamente con la setta e con la psicologia. Come giustamente fa notare Mae, Jules dà tutto, troppo per scontato e non ha la minima idea della fortuna che abbia ad avere una famiglia che la supporti e la ami come la sua. Perché il percorso di crescita e di consapevolezza fa parte delle serie drammatiche e anche in Il diavolo in Ohio è immancabile. Jules, infatti, è la tipica adolescente in crisi che patisce la popolarità della sorella maggiore (la quale esce con il capitano della squadra di football ma, al tempo stesso, è tentata dall’amica del cuore). Jules ha un hobby che la porta a essere un po’ fuori dai canoni ma che l’aiuta molto a vedere con un occhio critico ciò che ha di fronte. Jules cerca e trova in Mae un’amica ma questa amicizia non è ciò che vorrebbe e finisce per esplodere drammaticamente tra confuse accuse di egoismo e narcisismo. In tutto questo Jules abbandona il suo migliore amico per poi tornare da lui, come ovvio che sia, strisciante e implorante per recuperare un legame, in realtà, indissolubile. Alla fine i rapporti si sistemano e la famiglia, tranne Suzanne, fa unione contro Mae alla ricerca di un nuovo equilibrio, un po’ traballante, che li aiuti a superare il brutto momento per uscirne più forti di prima.
Ricca di rimandi ad altre serie o altri personaggi cinematografici Il diavolo in Ohio è impreziosita da una fotografia e una regia che, in certe scene, lasciano davvero senza fiato per la bellezza.
Le tre protagoniste hanno un incredibile fascino e giocano tra loro nei controluce della storia rivelandosi e nascondendosi a secondo dell’occorrenza. Su tutte, però, spicca Madeleine Arthur.che rende Mae un personaggio ambiguo, perché infantile e adulto, seducente e ripugnante al tempo stesso. Mae lotta contro se stessa e le sue paure per cercare di raggiungere uno scopo. E lo fa seminando nello spettatore il dubbio di essere lei, effettivamente, il vero diavolo dell’Ohio.