ATTENZIONE: l’articolo contine spoiler su Il Pentavirato.
Mike Myers mancava sulle scene da un bel pezzo. L’occasione per tornare sulla piazza gliel’ha servita Netflix, acconsentendo a distribuire la sua ultima creazione, un parto delirante e astuto che oscilla perennemente tra assurdità e colpi di genio. Il Pentavirato, disponibile da giovedì 5 maggio sulla piattaforma, dovrebbe essere lo spinoff della commedia thriller del 1993 Mia moglie è una pazza assassina?, di cui proprio Myers interpretò il ruolo del protagonista. Torniamo qui indietro di qualche decennio con una comedy cospirazionista che riporta in auge quel tipo di comicità inaugurata con Austin Powers e molto in voga tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Da allora la televisione si è evoluta, ma anche il mondo ha fatto passi da gigante. L’era di internet ha cambiato la società, reso più accessibili le informazioni, messo in connessione le persone, aperto le porte a nuove, allarmanti problematiche.
È da qui che parte Myers per srotolare poco alla volta il racconto folle de Il Pentavirato, che proprio su questo tipo di società costruisce una parodia a tratti esilarante, a tratti fin troppo inquietante.
Nel XIV secolo, ai tempi della Peste nera, un gruppo di cinque uomini dotti capì che la grande piaga era causata non, come sosteneva la Chiesa, da una punizione divina scagliata dall’alto contro l’uomo, bensì dai ratti e dalle pulci. Le teorie dei cinque dotti non furono prese in considerazione, al contrario vennero bollate come eretiche. Ragion per cui i cinque professori decisero di fondare una società benefica per influenzare le sorti del mondo. Una società che, però, doveva rimanere segreta. Oltre sette secoli più tardi, il Pentavirato è ancora in piedi, pronto a fronteggiare le nuove sfide del pianeta, prime tra tutte i cambiamenti climatici. Ken Scarborough, un giornalista di un’emittente canadese in crisi di ascolti, prova a risollevare la propria carriera mettendosi sulle tracce dell’organizzazione segreta, aiutato da una collega fin troppo esperta in materia e da alcuni cospirazionisti raccattati alle convention complottiste.
La serie è rumorosa, accelerata, schizofrenica. Dà una linea narrativa e un secondo dopo la cambia, infilando un plot twist dopo l’altro nella sceneggiatura e redistribuendo nuovamente le carte. Il ritmo è talmente sostenuto che alle volte si ha l’impressione di aver pigiato per sbaglio il tasto della velocizzazione sulla schermata di Netflix. Invece è proprio la cadenza scenica che Myers ha scelto per questa miniserie in sei episodi che esplora il vasto mondo delle teorie complottiste, dall’esistenza del deep State alle cospirazioni internazionali. Esiste un livello superiore, nascosto, da cui entità misteriose muovono i fili e influenzano il corso degli eventi. Prendersi gioco di questo mondo, mischiando realtà e superamento della realtà in un gioco spregiudicato e chiassoso, sembra essere una delle tante nuove strade tracciate dalla comicità contemporanea.
Myers ha scelto un campionario di gag ridicole e farsesche per imbastire la struttura comica de Il Pentavirato.
È davvero uno show che fluttua costantemente tra assurdità e ingegno, con continue citazioni e riferimenti alla cultura pop, al mondo della televisione e delle serie tv. Myers interpreta ben otto personaggi in questo show. Nove, se si considera anche la breve apparizione di Shrek, personaggio a cui il comico ha prestato la voce. Myers è infatti Ken Scarborough, il giornalista canadese che si mette alle calcagna del Pentavirato; Anthony Lanswodne, un esperto delle cospirazioni; Rex Smith, uno speaker radiofonico; Lord Lordington, il membro più anziano della congregazione; Bruce Baldwin, ex magnate del settore dei media e antagonista a sorpresa; Mishu Ivanov, un vecchio oligarca russo; Shep Gordon, manager del mondo rock, e infine Jason Eccleston, l’inventore di Mentor, il computer in dotazione al Pentavirato. Uno sdoppiamento plurimo che non appesantisce la resa finale, dal momento che ogni personaggio si caratterizza comunque per una sua peculiarità e finisce per essere la parodia di uno specifico tipo di individuo. Otto caricature – qualcuna più efficace delle altre – che ruotano però tutte attorno alla vena umoristica di Myers.
Citazioni e simbolismo pervadono tutta l’opera. Da Stranger Things (oltre alla nuova stagione, si parla già di spin-off) a Full Metal Jacket, dal Big Brother orwelliano alla massoneria. Ma la chiave di lettura è parodistica, un rovesciamento dei segni che consente di prendere per i fondelli un po’ tutti. Le autocitazioni di Netflix sono forse il colpo migliore di questa serie, che gioca tutta su doppi sensi, equivoci e gag assurde. La presenza di Ken Jeong, la star asiatica di Una notte da leoni, rende tutto ancora più surreale ed eccessivo, proprio come nelle intenzioni del suo autore. Lo scopo de Il Pentavirato è quello di uscire dagli schemi, anche sul piano formale e non solo su quello del contenuto. Myers gioca con le scene, le ritaglia e le rielabora in più salse, le puntella di interruzioni, rotture della quarta parete, censure e tagli che vengono ovviamente smascherati e proposti con finalità satiriche.
C’è anche qualcosa di Austin Powers nell’impostazione de Il Pentavirato, qualcosa che riprende quello stesso modo di canzonare il cinema d’azione e le storie di spionaggio dello scorso secolo.
Alcune trovate, rivisitate alla luce dei grandi stravolgimenti degli ultimi decenni, funzionano ancora alla perfezione. Altre sanno invece di vecchio, di superato, di già visto. Nel cast ci sono anche Keegan-Michael Key nei panni del dottor Hobart Clark, un fisico nucleare rapito dal Pentavirato per lavorare di nascosto alla soluzione del disastro climatico; Debi Mazar nelle vesti della stereotipata segretaria della congregazione; Lydia West come spalla di Ken Scarborough; l’inglese Jennifer Saunders nelle vesti del raccapricciante Master di Dubrovnik – e della sua Sister – e Rob Lowe (sapevate che gli avevano proposto un ruolo in Grey’s Anatomy?) e Maria Menounos presenti solo come cameo. La voce narrante – altra eccentrica trovata che spunta tra le anticonvenzionali stravaganze della serie di Myers – è di Jeremy Irons, che si presta al gioco e contribuisce a dare un ulteriore tocco di originalità e di idiozia al prodotto finale. Il Pentavirato è un po’ il frutto di una certa evoluzione del genere comedy e della comicità in generale. Un genere che sta esplorando nuove strade alla ricerca di qualcosa che sappia aderire ai gusti del pubblico contemporaneo.
La serie di Myers prova a farsi largo a spallate nell’offerta televisiva delle piattaforme – in realtà piuttosto povera sul versante commedia -, puntando molto proprio sul nome del suo creatore. Il risultato finale è uno show al limite della follia, che si ferma giusto un attimo prima di stancare e risultare eccessivo. È il gusto per l’esorbitante, per l’esagerazione, che cattura l’attenzione al primo impatto. Ma la serie andrebbe rivista almeno un paio di volte per coglierne anche gli aspetti apparentemente più nascosti e probabilmente più interessanti. E chissà se prossimamente vedremo un’altra stagione sulla nuova congregazione appena nata: l’Ettavirato…