Il segreto della famiglia Greco, disponibile su Netflix dal 4 novembre, è la nuova miniserie messicana basata sulla famosa telenovela argentina “Historia de un Clan” prodotta da Telefé e Underground. Al centro, un segreto cruento e un fatto di cronaca nera aberrante, tra disperazione e mafia, di cui sarebbe stato bello sapere di più, ma che la produzione messicana non è riuscita a mettere in scena.
Una stagione, 9 episodi da 47 minuti, tranne l’ultimo che dura un’ora, creati dal produttore e regista argentino Sebastián Ortega per Telemundo e ispirati alla scioccante storia del clan Puccio. Per il pubblico di Netflix la vicenda della famiglia di Arquímedes Puccio, che sconvolse l’Argentina negli anni ’80 durante il regime militare di Jorge Rafael Videla, non è granché conosciuta.
Da qui, immaginiamo, la ragione per cui il gigante dello streaming abbia scelto di puntare su una rivisitazione crime in chiave moderna – ibrida tra poliziesco, mafia, politica, thriller e dramma familiare – da distribuire in molti cataloghi internazionali, tra cui l’Italia.
La trama de Il segreto della famiglia Greco
Siamo in una città non bene identificata del Messico degli anni ’80. Sembrano anni ruggenti, lo si vede dal benessere diffuso nell’alta società e dalle poche inquadrature esterne sugli spazi urbani. Altri dati sui luoghi non sono dati sapersi. Non è dunque Buenos Aires, dove il drammatico fatto storico è avvenuto. La serie segue, cambiandone nomi, contesti e situazioni, le vicende della famiglia Greco, una famiglia all’apparenza solida, felice, ben inserita nella società, ma in realtà protagonista di uno dei crimini più spaventosi dell’ultimo ventennio del secolo scorso.
La premessa storica è che le condizioni finanziarie e politiche dell’Argentina – qui, del Messico – sono, in quegli anni di dittatura e corruzione, così dure e tragiche da indurre anche le persone di estrazione economico-sociale media a compiere gesti estremi. Tra questi viene riportato in luce dal pater familas Aquiles Greco (interpretato dal noto attore di telenovele Fernando Colunga) un piano criminale tra i più antichi e preoccupanti: il sequestro di persona. Ma non persone qualunque, ricchi estranei, o politici, bensì giovani figli dell’alta borghesia cittadina, con cui la stessa famiglia Greco è in contatto. Il primo sequestro cui assistiamo è progettato dal padre Aquiles coinvolgendo e piegando al suo volere il figlio Andres, giovane promessa della squadra di polo, per rapire un suo caro, abbiente amico.
Greco coinvolgerà nel suo progetto di lungo periodo altri complici e l’altro figlio, Dario che, a differenza di Andres, ricopre senza rimorsi il ruolo di rapitore, e anche di killer. Restano fuori dallo scenario, solo in parte coinvolte, soprattutto verso la fine della stagione, le figure femminili, la moglie Marta (Lisa Owen) e le figlie Abril e Sabrina.
Il Segreto della famiglia Greco vorrebbe riproporre la storia di violenza e sopruso psicologico, fisico e morale realmente perpetrata dal clan Puccio.
Angusto è il luogo in cui si realizzano i sequestri: il bagno o il garage dentro casa dei Greco, in una condizione ossimorica rispetto alla routine pacata della vita quotidiana della famiglia. Anche questo aspetto delittuoso e repulsivo non accende suspense. Il senso di disperazione che induce a sequestrare, ricattare e uccidere membri di altre famiglie, vicine, frequentate, non arriva perché privo di referenze e contesti. Il racconto di una vicenda che poteva provocare l’orrore ma anche la conoscenza di fatti storici di mafia e politica legati alle democrazie e ai regimi – pensiamo a figure come Pablo Escobar e alle sue iconiche citazioni, Tommaso Buscetta, Michele Greco – non regge.
Una scrittura incapace di sostenere il peso della realtà.
Non ci è concesso di conoscere il quadro storico, né gli spazi, né la città in cui i brutali sequestri avvengono. La regia rimane chiusa in ambienti interni dove il taglio thriller è costantemente spezzato da recitazioni inefficaci e piatte, a tratti grottesche. Quel tono, dei dialoghi come della fotografia, da soap opera abbatte ogni sospensione dell’incredulità e mette in luce l’inadeguatezza del racconto.
Una figura come Arquímedes Puccio, che con il boss Michele Greco condivide anche il tempo di vita (anni ’20 – 2000), avrebbe avuto bisogno di un affondo molto più radicale. Più che Il segreto della famiglia Greco sarebbe – per chi volesse approfondire la storia dei Puccio – molto meglio guardare il biopic Il clan di Pablo Trapero, Leone d’Argento al Festival di Venezia 2015.
Il dramma familiare, la tonalità media, insensata nei dialoghi, non rappresenta minimamente l’efferatezza e la gravità di un crimine, privato e politico, che sconvolse una nazione.
Oltre a non sentire l’assurdità del male – come la sadica prigionia in casa – non riusciamo a percepire lo scarto con la sfera pubblica: la madre che gioca a tennis con l’amica, che poi improvvisamente sparisce, il padre – questo terribile patriarca dalla doppia oscura vita – ex poliziotto piccolo-borghese che si prende cura delle figlie: la sceneggiatura è così debole da non riuscire a soddisfare neanche il semplice bisogno informativo che può offrire la televisione.
Inserti di trama fuorvianti e ricorrenti, come la figlia preadolescente Abril – non si capisce perché sempre sui pattini – in una veste da Lolita che flirta con l’amico del padre. La figlia maggiore, Sabrina, che ha una love story con un’amica suora. Andres il figlio che, nella storia vera, è stato colpito da crolli di coscienza, appare qui solo un abbozzo.
Sono per primi anche i suoi amici a essere sequestrati e uccisi. Verrà definito “il portiere dell’inferno”. Eppure il suo dramma interiore, anziché scavare dentro, rimane in superficie, come la maschera – la versione povera de La casa di Carta – che indossa. Un giovane così tormentato e indeciso tra l’obbligata obbedienza al padre e il senso di giustizia dovrebbe incarnarlo questo tormento. Invece di trasognare a occhi aperti o spogliarsi in ridicole scene di sesso con la fidanzata.
Tradimenti e passioni torbide, rese ancora più pittoresche da un moralismo cristiano imperante, aggiungono ulteriori elementi patetico-sentimentali a una storia che avrebbe dovuto parlarci di ben altro: denaro, povertà, violenza, potere.
Lo sfondo religioso lascia lo sguardo dello spettatore interdetto.
Come se Il segreto della famiglia Greco volesse trasmettere non solo la violenza dell’atto di privare i genitori dei propri figli per colpa dei soldi, ma anche il senso morale dell’atto stesso: “imparate ad apprezzare la vita, amate e prendetevi cura della famiglia, ringraziate per ciò che avete, per il vostro pane quotidiano”. Una fuga verso la trascendenza e la compiaciuta comprensione del senso della vita, unita alla visione politica, anch’essa scarna e ispirata dal padre Aquiles Greco: “non ha senso rapire un miserabile, ma una persona felice. Siamo ingranaggi di un sistema, di una macchina più grande di noi”.
Tutte queste sporadiche allusioni a una riflessione più profonda, le uniche che avrebbe avuto senso approfondire, si perdono in mille altre evitabili, noiose scene. In un tempo in cui su Netflix ha spopolato una serie come Dahmer, basata su una storia vera, passare a Il segreto della famiglia Greco è una caduta destabilizzante. Qualcosa di inguardabile. Da tenere appunto, segreto.
Non scalerà nessuna Top10 o classifica di miniserie nella storia di Netflix. E questo è un vero peccato per lo spreco di una biografia e di una storia così buia e clamorosa per l’Argentina, come quella della famiglia Puccio, che sarebbe stato importante affrontare con diversa qualità.