Attenzione! Questa recensione di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere 1×03 contiene spoiler sulle vicende dell’universo creato da Tolkien
Il fato degli uomini è un fato oscuro, un destino non scritto, che ogni uomo deve comporre per se stesso. Il fato degli uomini è un dono dell’Unico che neanche gli Ainur conoscono a pieno perché non rientra nella Grande Musica, ma viene dopo, come l’uomo, ultima tra le creature, ma nel contempo creazione diretta di Eru. C’è uno sguardo particolare di Dio nei confronti dell’uomo, un’amore diverso che nasce e procede da una consapevolezza pesante: l’uomo è destinato a deviare dai suoi doni, sarà sempre in balia del male, dell’errore, del dubbio.
Non è Morgoth che genera questo male, ma è un male che affonda nella creazione che, come abbiamo detto nella scorsa recensione, si fonde nell’atto stesso generativo. È una necessità che conduce al libero arbitro, alla possibilità che ognuno ha, di crearsi il proprio destino. Se per gli Elfi, nella loro santa perfezione, c’è l’immortalità (o la reincarnazione) e la pace del regno beato del Valinor, per gli uomini c’è la morte, un dono “assai amaro da ricevere”. Dopo la morte lo spirito và oltre i confini del mondo fisico, laddove a nessuno, prima del tempo, è lecito guardare.
Gli uomini sono i più sensibili al male, i più soggetti al suo fascino perché in loro c’è quel principio di Male che può rendere liberi come schiavi.
Morgoth e Sauron avranno sempre una relazione prediletta con l’uomo perché in lui rivedono la loro stessa distorsione dalla sinfonia creatrice. Se i nani non sono soggiogabili, se gli Elfi resistono più tenacemente, l’uomo è costantemente in balia del male, in quanto creatura debole e forte insieme, ramoscello dotato di libertà per amore di Eru.
Il fato degli uomini in questo episodio del Signore degli Anelli – Gli Anelli del potere è nel destino di Halbrand, il compagno di sventure di Galadriel, che scopriamo avere in sé tanto la grandezza quanto la bassezza, tanto il bene quanto il male. Ha un nobile lignaggio ma porta il peso delle scelte dei suoi antenati che si erano schierati con Morgoth, che avevano scelto l’oscurità, macchiato il loro destino nella morte e visto nella mortalità una condanna di Eru.
In Halbrand convivono il bene e il male, la grande capacità diplomatica, di trascinatore e guida come la rabbia improvvisa e mal canalizzata che lo porta a farsi arrestare. Il fato di Halbrand può essere quello di rinnegare il suo passato, di dimenticare chi è e perdersi in una vita ordinaria come fabbro. Perdersi nella sua mortalità, nell’idea che tutto finisca nel nulla. Ma, come capisce Galadriel, “Tu sei più di quanto affermi”. E allora il suo fato può andare oltre l’ordinario, oltre la mortalità e portarlo a riprendere quanto di buono i suoi antenati avevano fatto in passato, consacrarlo alla gloria eterna e a una vita che continua oltre la morte, al di là del mondo materiale. Al di là dell’ordinario.
È lui il re che può ritessere insieme nel bene i popoli del sud, ma come ogni uomo deve prima fare i conti con il peso del suo fato. “Ti celi sotto gli stracci di uno qualunque e l’armatura che dovrebbe riposare sulle tue spalle pesa sulla tua anima“. Soltanto se saprà spostare quel peso, canalizzare la sua rabbia, la sua capacità di guida, in positivo allora potrà abbracciare l’armatura in una guerra giusta.
È il fato degli uomini, quel fato che aveva scelto Elros, di contro a Elrond.
Da mezzelfo gli era chiesto scegliere tra elfi e uomini, tra immortalità e lunga mortalità. Elros scelse il fato degli uomini, scelse il destino più “amaro da ricevere” ma anche più pieno, più degno. Quel fato che “Con il consumarsi del Tempo, persino le Potenze invidieranno“. La scelta di Elros è la scelta della creatura più incerta e complessa dell’universo di Arda che porta su di sé insieme peso e libertà. Elros fonda Numeror, fonda un regno destinato alla gloria più splendente, alla bellezza più sfavillante. Ma su questo regno di uomini mortali seppur straordinari pesa, inevitabile, il fato degli uomini.
È questo fato che porta i suoi abitanti ad allontanarsi progressivamente dal bene, dal loro rapporto prediletto con i Valar e con gli elfi. La loro natura è la natura umana, corrompibile e manipolabile, legata al tempo. Così con lo scorrere delle stagioni, degli anni, dei secoli, quello che era un dono di Eru, la mortalità, viene sempre più vista come un male, una maledizione. Si insinua così Sauron, si insinua l’invidia per gli elfi e la loro immortalità, la convinzione di essere figli minori di un dio distante e disinteressato.
Nuovi dèi si fanno largo a Numenor, nuove convinzioni che saranno rafforzate dall’espressione fisica di quel male, dall’Oscuro Signore che, alla fine, porterà alla distruzione del più splendido dei regni terreni. Sprofonderà Numenor, come i suoi abitanti sono sprofondati nella paura della morte e del buio che si apre dopo di essa.
Ma ogni fato degli uomini è un fato individuale che se condanna un regno non condanna però tutto il suo popolo.
Ecco allora Elendil, che salva Galadriel contravvenendo al divieto di far entrare elfi a Numenor, rispettando gli obblighi morali che il mare impone (“È stato il mare a metterla sulla mia strada e il mare ha sempre ragione“): Elendil, “amico degl elfi”, e suo figlio Isildur che brama l’occidente, brama un ricongiungimento con gli elfi, con il regno beato e i Valar. Ma non è lì che il suo fato personale vuole portarlo ma all’opposto, verso l’Oriente che è la terra dei mortali, della materia e del caos. Il fato degli uomini non è vivere nel paradiso in terra ma nel fango della battaglia, nella tragedia della guerra.
Questo è il destino che Eru ha dato a chi scegliere di essere un uomo: vivere una vita combattendo eternamente con il bene e il male, nel profondo della propria interiorità e nel mondo esterno, nella Terra di Mezzo, sempre protesa tra tenebre e luce, tra sangue e pace, tra orchi e uomini. Là, nella Terra di Mezzo, il fato degli uomini spinge tutti quelli che lo abbracciano: là spinge Halbrand, là spinge Elendil e Isildur. Quest’ultimo, non a caso, tra tanti, sarà l’unico in grado di strappare l’anello a Sauron ne Il Signore degli Anelli.
Ma la lotta tra bene e male, nell’uomo, è eterna. E così, perfino lui, perfino Isildur rimarrà vittima del fascino del male, di un fato degli uomini che rende la mortalità un dono e una condanna insieme. Andrà incontro al destino di rovina che già aveva colpito il suo popolo, che aveva portato alla fine di Numenor. Andrà incontro alla corruzione e all’attrattiva del potere.
Ma il fato degli uomini, paradossalmente, è insito in ogni creatura di Arda, nascostamente, segretamente.
Ce ne rendiamo conto con Galadriel che inverte la sua rotta, il destino prefissato che l’avrebbe portata nel paradisiaco Valinor e punta a Oriente, punta alla Terra di Mezzo, che è terra mortale, corrompibile e corruttrice. Ora sa che quel simbolo di Morgoth è il simbolo delle Terre del Sud, una mappa che segna il luogo dello scontro, il luogo in cui il male, inestinguibile e inestirpabile, si ridesta per l’ennesima volta. La scelta di Galadriel è la scelta dell’uomo e ne Il Signore degli Anelli la sua tentazione finale sarà una tentazione (quasi) prettamente umana (cedere all’anello e al potere).
Lei più di tutti gli elfi abbraccia il fato degli uomini e scende nell’agone, pronta a scontrarsi con un male che nella terra dei beati, là dove stanno gli dei, avrebbe potuto essere distante e dimenticato. Galadriel non può dimenticare, però, la sofferenza e la morte, non può dimenticare il fato mortale di ogni uomo: questo fato lei abbraccia e rifugge, insegue e combatte. Questo fato la accompagnerà per tanto tempo, prima di tornare elfo e inoltrarsi finalmente nelle Terre Imperiture.
Il fato degli uomini attira perfino un pelopiede, la più semplice delle creature, quella che teoricamente non potrebbe essere più distante dall’uomo. I pelopiedi rifuggono gli uomini, si celano ai loro occhi, guardano con paura e sospetto questi giganti capaci di tanti orrori. Eppure, sarà uno hobbit, Frodo, come ben sappiamo, ad abbracciare un destino di guerra per vincere il male ne Il Signore degli Anelli, a farsi carico di un peso, l’anello, che per ogni altra creatura e soprattutto per l’uomo sarebbe risultato troppo gravoso e suadente. Questa semplice, debole e buona creatura guarda al male e alla mortalità, la sente perfino dentro di sé e si scopre forte nel resisterle, nella libertà di scegliere il bene e allontanare il male che pure rischiava di sopraffarla.
Tutto questo è Nori, che esce dai confini del mondo dei pelopiedi, cambia il suo destino e si avvicina all’uomo.
Lo fa materialmente nell’accogliere lo Straniero, nel vedere in lui un essere speciale nella guerra tra bene e male. Ma si avvicina anche e soprattutto spiritualmente alla natura dell’uomo nella sua curiosità, nello sguardo vispo e battagliero che la porta sempre più verso un fato degli uomini che le chiederà di scegliere tra bene e male e la porterà a fare la sua parte nella battaglia che sta per divampare.
Ecco allora che il fato degli uomini, la mortalità, appare d’improvviso una scelta che investe ogni complesso protagonista de Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere, ogni creatura di Arda che non è semplice pongo nelle mani di Eru ma essere libero in ogni sua decisione. Galadriel, Nori, Halbrand, Isildur, Arondir inseguono questo destino di morte, di male, corrono il rischio di quel dono pesante che pone costantemente l’uomo tra dubbio e coraggio, paura e gloria eterna. Faccia a faccia col male, starà a loro resistergli, vincere le incertezze della loro natura e dimostrare che l’oscurità non è nient’altro che la necessità imposta dal bene affinché ognuno sia libero di scegliere la luce. Questo è il fato che si agita in ogni essere vivente. Questo è il fato degli uomini.