La recensione della 2×08, il finale di stagione di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere, parla di ciò che è rotto e non può essere aggiustato, della costante necessità da parte di ognuno di noi di ripartire da zero per costruire qualcosa di nuovo.
Non tutto quel ch’è oro brilla,
Non tutti coloro che vagano si sono persi;
Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L’ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch’è senza corona.
L’Enigma di Grampasso è una poesia che Bilbo Baggins dedica ad Aragorn, un misto di proverbiale (in pieno stile Hobbit) e profetico, capace di anticipare tanto di quello che sarà il destino di Aragorn, di un ‘nuovo’ che ha perso tutto, un re senza corona e dalla lama rotta che deve provare a costruire qualcosa di nuovo. In questa 2×08, finale di stagione di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere, ognuno sulla scena perde qualcosa, vede macerie attorno a sé ed è chiamato a ripartire da zero. “Ciò che è rotto è rotto“, afferma Poppy, “E non si ripara, e chiunque non può fare altro che tentare di costruire qualcosa di nuovo“.
Lo sa bene Durin IV fin dall’inizio di questo episodio di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere
Vede il padre, ormai in balia del potere dell’anello e della brama di ricchezze, causare la rovina di Khazad-dûm, del più splendido regno nanico che di lì a non molto diventerà semplicemente Moria, “abisso nero”, luogo oscuro e inospitale. Il Balrog, mostruoso dio caduto, si risveglia e per Durin III c’è solo spazio per la disperazione e la consapevolezza che “ciò che è rotto è rotto” e che non si può tornare indietro. Solo un ultimo atto di lucidità dopo la follia che l’ha preso può spettargli, un riscatto parziale che lo vede slanciarsi incontro al demone, incontro alla morte eroica degna di un re. Per suo figlio non rimane altro che ricominciare, rimettere insieme i cocci della sua perdita e di un popolo diviso e incerto presto espulso dalla propria regale dimora.
Come espulsi sono anche i fedeli numenoriani e con loro Elendil e suo figlio Isildur oltre che gli Uomini Bassi. Per loro non c’è più una casa, una terra, un luogo in cui sentirsi protetti. La brama di potere, anche in questo caso, ha distrutto tutto (e finirà per distruggere l’intera Númenor): Ar-Pharazôn ha avuto la meglio. Con accuse false, con la violenza dell’esercito e la forza ha annientato tutto ciò che di buono c’era a Númenor e ora, per i sopravvissuti, non resta altro che “Accettare la cosa, ciò che è rotto è rotto e non si ripara e chiunque non può fare altro che tentare di costruire qualcosa di nuovo“.
Non è andata meglio all’Eregion: anche qui la brama di potere e di fama di Celebrimbor ha portato il regno alla distruzione mentre gli orchi imperversano per le vie della regione.
A nulla può il riscatto finale del migliore tra i fabbri elfici. “Ciò che è rotto e rotto” e si può solo andare avanti. La distruzione delle antiche pergamene, dell’archivio di Celebrimbor, è la distruzione del sapere: è il male che pretende ignoranza, fuoco purificatore in nome di un nuovo mondo, di un nuovo inizio. Sono i Bücherverbrennungen, i roghi dei libri organizzati dalla Germania nazista, nell’idea di “eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato“.
Sauron vuole costruire un mondo nuovo, vorrebbe Galadriel come regina. Prova a irretirla ancora una volta, convincendola che “Di certo tu di tutti gli elfi devi capire che per trovare la luce devi prima toccare l’oscurità“. Per costruire un mondo nuovo è necessario distruggere il vecchio, dice Sauron, dicevano i nazisti. È necessario sprofondare nel fuoco e nel buio per dare voce a un nuovo canto. Un canto diverso da quello di Eru ilúvatar. “Desidero guarire tutta la Terra di Mezzo“, illude e si illude Sauron. Guarire dal peccato, dal dolore, dalle meschinità umane, da quei mali che nella recensione di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere 2×07 abbiamo definito come necessari contraccolpi all’immensa libertà di tutte le creature di Eru.
Sauron crede di essere creatore e padrone degli Anelli. Creatore e padrone del mondo, di un mondo nuovo nato dalle ceneri del precedente. Dalle rovine dell’Eregion, di Númenor, della Terra di Mezzo e dalla nascita di Mordor. Ma è Celebrimbor, ormai lucido, a vedere ancora una volta la verità nascosta dall’inganno. Sauron non è il padrone degli anelli, “No, tu sei il loro prigioniero: Sauron, Signore degli Anelli“. Signore schiavo degli anelli, in balia del loro potere, della brama di quel potere col quale rifondare il creato, guarire la Terra di Mezzo.
Sauron è un padrone schiavo che vuole sotto di sé altri schiavi, come schiavi del potere sono stati Celebrimbor, Durin III e Ar-Pharazôn.
Ma chi ama la libertà, chi è davvero libero, non può che respingere l’Oscuro Signore, perché rifugge dalla schiavitù. Come afferma Galadriel, “Le persone libere della Terra di Mezzo sempre ti respingeranno“. Senza gli anelli -che Galadriel riesce a sottrarre al suo potere- per Sauron non c’è altra strada che accettare che ciò che è rotto è rotto e tentare di costruire qualcosa di nuovo. Con il martello di Celebrimbor in mano ecco che in lui si fa largo l’idea dell’Unico, l’anello che potrà controllare tutti gli altri, ovunque essi siano, a chiunque finiscano in mano. L’Unico come ben sappiamo dal Signore degli Anelli diventerà il suo solo desiderio, la ragione di vita. Lo renderà schiavo ancora una volta del potere che lo domina.
Ma non tutti gli anelli sono segno di una sottomissione al potere. Non tutti sono espressione di una scienza magica corruttrice e oscura. Accanto alla Tecnica, allo sviluppo indiscriminato di chi come Ar-Pharazôn e suo figlio non si fa scrupoli di abbattere alberi per costruire eserciti, c’è anche il Progresso. La scienza positiva messa al servizio dell’uomo. È quella dei tre anelli elfici, non sfiorati dal tocco corruttore di Sauron e quindi puri nella loro straordinaria capacità magica. Sono loro, come capisce Elrond accettando di indossare Nanya, a salvare Galadriel, a ridare vigore agli alberi del Lindon e infine a proteggere il Lórien. Grazie a loro è possibile tentare di costruire qualcosa di nuovo.
Come dovranno fare anche gli sturoi, il cui villaggio è stato distrutto dall’Oscuro Stregone.
Come vi avevamo anticipato in Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere 2×04: le due Birmingham, lo Stregone è proprio uno degli Istari inviati dai Valar sulla Terra per contrastare il potere di Sauron. D’altronde anche questi potentissimi Maiar incarnandosi non si sottraggono alle tentazioni e alle debolezze della carne. Così è capitato all’Oscuro Stregone, anche lui come in passato Galadriel, schiavo del desiderio irrefrenabile, dell’ossessione di distruggere Sauron. Non per desiderio di eliminare il male ma per prenderne il posto. “Cammina con me e col tempo saremo entrambi suoi successori“, dice a Gandalf provando a tentarlo.
Ma Gandalf ha ormai scelto. Ha anteposto all’ossessione per la missione il bene riposto nelle piccole cose, nella salvezza di vite umane, delle sue amiche Pelopiedi. Ed è così che ha trovato la sua strada, il suo nome (cioè la sua identità) e il bastone (il suo vero potere). Non è con la crudeltà e la mancanza di pietà che si può sconfiggere Sauron. “Hai pietà per colui che teneva una lama alla tua gola?“. Sì, risponde coraggiosamente Nori. La sua bontà, il suo coraggio, la pietà per tutti gli esseri viventi salvano Gandalf, lo indirizzano verso la giusta strada.
“Ero destinato a scegliere l’amicizia al posto del potere, destinato ad aiutarle”, si rende finalmente conto Gandalf.
Come dirà in Lo Hobbit “Ho scoperto che sono le piccole cose… le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore“. Gandalf, messo alla prova da Bombadil, messo alla prova dalla vita, sceglie di fare la cosa giusta. La cosa moralmente migliore. Non rinuncia ai suoi cari ma giunge in loro soccorso. D’improvviso trova così identità, forza e umanità. Trova un nome proprio. Adesso starà a lui, uomo senza passato, costruire qualcosa di nuovo. “Ora, che la canzone abbia inizio“.
Per lui come per tutti i protagonisti di questo finale di Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere è tempo di capire che ciò che è rotto è rotto. Che non tutto può tornare come un tempo. Ci sono scelte irreversibili, distruzioni dalle quali non si può tornare indietro. Bisogna accettarle e andare avanti con la speranza e la fiducia nelle piccole cose, nei semplici atti di gentilezza e amore. A loro è affidata al salvezza di Arda. Alla speranza finale che dopo ogni distruzione ci sia la possibilità di costruire qualcosa di nuovo. Perché, come diceva Celebrimbor, non è la forza che prevale sull’oscurità, ma la luce.
Alcune cose non si riparano, alcune cose sono perse, perse per sempre. Non importa quanto duramente lottiamo o quanto faccia male o quanto i nostri cuori desiderino di rimetterle insieme perché questo mondo è molto più grande di chiunque di noi e a volte i venti che ci soffiano contro sono solo troppo forti.