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Il treno dei bambini – La Recensione: neve, mortadella e un violino

Il treno dei bambini
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L’Italia del 1946 era un Paese spezzato. Tra diverse ideologie non scorreva buon sangue; il Nord e il Sud quasi non si conoscevano. In un’unica città convivevano uomini che lanciavano monete ai bambini poveri e le famiglie di quegli stessi bambini senza speranza né futuro. Donne e uomini della stessa fazione si scontravano nel riconoscimento del ruolo che nella guerra e nella sua fine avevano avuto le prime, in quel momento però nuovamente relegate in secondo piano. Potrei dirne mille altre di spaccature che hanno caratterizzato l’immediato dopoguerra: c’erano ferite che bruciavano e che ancora oggi non sono totalmente risanate. La storia ce lo insegna e ce lo insegnano anche prodotti d’intrattenimento impegnati, libri, film e serie tv che attraverso la storia ci raccontano anche un po’ chi siamo. Oggi ne abbiamo uno in più: Il treno dei bambini.

Diretto da Cristina Comencini e distribuito a partire dal 4 dicembre su Netflix, Il treno dei bambini è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Viola Ardone. La sua storia si struttura attorno a un evento realmente accaduto e non troppo spesso raccontato: un’operazione di solidarietà organizzata dal Partito Comunista Italiano e dall’Unione donne italiane che portò per alcuni mesi al Nord dei bambini provenienti dalle zone più povere del Sud Italia. Un’iniziativa della quale personalmente prima della visione sapevo poco o nulla e della quale adesso so un po’ di più. A me basterebbe questo per promuovere il film, la sua capacità di dare allo spettatore una conoscenza e la voglia di saperne di più. Ma la cosa bella è che, dopo la visione, gli elementi positivi sono ben più numerosi.

Il treno dei bambini: la trama

Napoli, 1946. Amerigo Speranza è un bambino di otto anni che vive con sua madre nei quartieri più popolari della città. È un bambino non semplicissimo da gestire, “nu’ castig e Dij”, complice la situazione complessa nella quale sta crescendo. Il padre è “andato in America”, una realtà alla quale forse non crede neanche lui; il fratello è morto e la madre non sempre riesce a far fronte ai suoi bisogni tanto economici quanto emotivi. Lo ama certo, lo ama tantissimo, ma non sempre basta. Ed è proprio questo amore a spingerla a prendere una decisione parecchio temuta e anche un bel po’ criticata: affidare Amerigo ai Comunisti e farlo salire su un treno verso maggiori opportunità.

Serena Rossi è la madre di Amerigo in Il Treno dei bambini
credits: Netflix

Ma un treno per dove? Se ne dicono tante. Probabilmente per la Siberia, dove i Comunisti sfrutteranno i bambini, li maltratteranno e poi li metteranno in forno. Nel peggiore dei casi, ma poi neanche tanto raro, li mangeranno. Oppure? Qualcuno dice che potrebbero andare al Settentrione, a fare cosa non si sa. Ma no, sicuramente è più probabile la prima opzione. Perché dicono che i Comunisti sono cattivi, e i bambini non si vendono.

Amerigo però parte, e lo fa con tutte le remore del caso.

Alla voglia di uscire da un ambiente che non può dargli nulla si contrappongono la nostalgia verso sua madre, l’insicurezza, la paura dell’ignoto. Ma dopo un lungo viaggio in treno ciò che aspetta i bambini che sono partiti non sono forni e cannibalismo: c’è la neve del modenese che ricopre un paesaggio invernale mai visto prima, c’è l’Inno d’Italia che con buona probabilità non hanno mai sentito. Ci sono delle belle fette di mortadella, un salume così nuovo, e c’è una famiglia pronta ad accogliere i nuovi arrivati. Nel caso di Amerigo in realtà c’è Derna, che di prendere un bambino non ne aveva proprio intenzione. Eppure anche Derna, insieme ai cugini Rosa e Alcide, riesce a dare al suo bambino il calore e la sicurezza di cui ha bisogno.

La vita di Amerigo nel modenese scorre tra alti e bassi. Il ritorno a scuola porta alla luce la sua intelligenza pratica ma anche tutte le difficoltà che un bambino del Sud poteva avere nell’integrazione in una classe del Nord in un contesto come quello dell’immediato dopoguerra. E alla sua sempre maggiore abitudine a vivere in un contesto diverso da quello in cui è cresciuto si contrappone la consapevolezza di quanto quella sia solo una fase. Quando il campo sarà rigoglioso, Amerigo dovrà prendere di nuovo il treno, stavolta per tornare a casa. Ma ora che ha visto la neve e provato la mortadella, e soprattutto ora che ha un violino tutto per sé, tornare indietro può essere più difficile di quanto sia stato partire la prima volta. Perché, sotto sotto, cos’è davvero casa?

Il treno dei bambini racconta uno spaccato di storia e di umanità.

Le ottime interpretazioni di Serena Rossi (Antonietta, la mamma di Amerigo) e Barbara Ronchi (Derna) danno vita a due personaggi profondi e ricchi di sfaccettature, due donne così diverse e contemporaneamente vicine. Entrambe lottano, ognuna a modo suo: Antonietta lavorando per dare un futuro a se stessa e a suo figlio, Derna prima armi alla mano per liberare l’Italia dai nazifascisti, poi con il suo attivismo per gli italiani, per le donne, per chi non riesce a far sentire la propria voce. Entrambe soffrono, ognuna a modo suo: la prima per aver perso tutto – forse, Amerigo compreso -, la seconda in ricordo di un amore che ha sacrificato la sua vita per un ideale potente e condiviso. Ancora entrambe, ognuna per i suoi motivi, fanno fatica a esprimere le loro emozioni più vere, i loro sentimenti più profondi. La vita ha imposto loro di essere dure, e loro lo sono diventate.

Derna e Amerigo in una scena di Il treno dei bambini
credits: Netflix

Per quanto separate da centinaia di chilometri, credenze politiche, dialetti, modi di pensare e vedere il mondo, Antonietta e Derna sono però unite dalla volontà di dare un futuro ad Amerigo. E se nel suo sviluppo questo futuro ha due visioni piuttosto diverse – imparare un mestiere per la prima, studiare e seguire le sue passioni per la seconda – nel concreto cosa sono entrambe se non due facce dello stesso amore?

Perché sì, Il treno dei bambini è anche una storia d’amore.

Un amore che ha diversi volti. Quelli degli attivisti che si prodigano per un’opera che non è mai di carità, ma sempre di solidarietà. Quello di bambini che si tengono per mano e si sostengono quando vogliono restare e anche quando vogliono andare via. Quelli di due donne che fanno di tutto per dare un futuro a chi amano. Una – Antonietta – lo fa lasciandolo partire, dandogli la possibilità di scoprire un mondo nuovo, un mondo fatto – anche – di neve, mortadella e un violino. L’altra – Derna – lo fa prendendolo con sé e dandogli la possibilità di viverlo davvero, quel mondo. È proprio vero che ognuno ama a modo suo, come sa, come può. E a volte ti vuole più bene chi ti lascia andare di chi ti trattiene.