Io sono Babbo Natale è un film speciale. E non poteva essere altrimenti, considerando che è proprio a questa pellicola che Gigi Proietti ha consegnato la sua ultima, meravigliosa interpretazione. Per cui è inutile parlarne come fosse un film qualunque: non lo è. Dentro c’è una specie di testamento, un lascito inconsapevole che ci poteremo sempre dietro. Un film nel film o qualcosa di simile. Un addio che sembrava scritto, come in una di quelle sceneggiature fatte apposta per grattare dentro, per arrivare esattamente dove devono arrivare. È la sua ultima performance, poi il sipario cala per sempre. Le riprese di Io sono Babbo Natale sono iniziate a gennaio 2020, prima della pandemia, prima dei lockdown e prima di tutto il resto. Il film con Marco Giallini e Gigi Proietti è arrivato nelle sale il 3 novembre 2021, un anno dopo la scomparsa di uno dei suoi due protagonisti, ed è disponibile dal 6 dicembre su Amazon Prime Video (per scoprire tutti i contenuti in scadenza questa settimana, date uno sguardo qui). Quella di Edoardo Falcone – che aveva già diretto Giallini nel 2015 in Se Dio vuole – è una commedia natalizia che ha poco a che vedere con gli intrecci caciaroni e scomposti che sono solitamente la cifra distintiva di tante pellicole di questo periodo dell’anno.
È un film divertente e spiritoso, che al racconto della realtà affianca elementi fantastici in perfetto stile natalizio.
Il protagonista è Marco Giallini, che interpreta un pregiudicato appena uscito di prigione, senza un euro in tasca e con tanta rabbia ancora incamerata dentro. Ettore ha avuto un’infanzia complicata, due genitori delinquenti e tante mattine di Natale senza nemmeno un pacchetto da scartare sotto l’albero. È la parabola triste di una fetta di società fatta di outsider disillusi e respinti ai margini, di uomini borderline che hanno visto solo il marcio del mondo e che inevitabilmente hanno finito per diventarne parte essi stessi. Senza una vera prospettiva di riscatto, Ettore tenta di riallacciare i rapporti col sottobosco criminale che frequentava prima del suo arresto – ex soci truci arricchitisi con le rapine – per potersi rimettere in carreggiata. Ma persino lì trova le porte sbarrate. È a questo punto che un anziano signore dai capelli bianchi lo accoglie in casa propria, ripescandolo dai bordi della strada. Il vecchio Nicola Natalizio (Gigi Proietti) è un personaggio un po’ strambo ed eccentrico, che dice di essere Babbo Natale e di avere più di cent’anni. Ettore, senza dimora e con le tasche vuote, si infila in casa sua per poterlo raggirare e sfruttare a proprio beneficio la situazione.
Io sono Babbo Natale ha tutti gli ingredienti del classico film natalizio: è una storia di maturazione e riscatto, il racconto di come anche un galeotto disincantato e apparentemente senza scrupoli possa tornare ad essere buono.
È la magia del Natale (c’è anche a chi non piace, per esempio a questi attori qui), calata in una sceneggiatura fatta di lucine, camini, slitte, elfi e poteri magici, ma ben piantata coi piedi per terra, in una realtà che per alcuni è più dura e spietata che per altri. Ettore da grande voleva diventare Babbo Natale, perché nessun bambino dovesse svegliarsi mai più la mattina del 25 dicembre senza un regalo sotto l’albero. Non è esattamente così che immagineremmo il nostro Santa Claus ideale, con la barba ispida, le maniere sgarbate, la parlata romana e una vena di sarcasmo sempre pronta a colpire. Eppure, la magia del Natale sta proprio lì, nel rendere migliori anche i casi persi, gli avanzi di galera, gli egoisti incalliti, i disincantati dalla vita.
La commedia di Edoardo Falcone è dunque un bel film di Natale, pieno di sentimento e di messaggi positivi. Ma se qualche lacrimuccia viene giù qua e là, il merito non è soltanto della sceneggiatura.
Gigi Proietti è uno splendido Babbo Natale. Luminoso, brillante, spiritoso. Ha l’andatura lenta del saggio, dei maestri spirituali. I capelli bianchi del nonno, il guizzo artistico dei talenti veri. Ha portato tante risate e tanta leggerezza nelle case degli italiani, proprio come un vero Babbo Natale cresciuto all’ombra del Cupolone, con quell’ironia inconfondibile tipica della comicità romana “Quando iniziava il ciak, si alzava di botto e sembrava avesse vent’anni”, ha raccontato Marco Giallini. Il tempo è passato anche per Gigi Proietti, è chiaro. Per lui che ha esordito sul grande schermo addirittura negli anni Sessanta. Ma parliamo di un tempo esteriore, quello che invecchia il volto, scolpisce qualche ruga, consegna qualche acciacco. L’altro tempo invece, quello interiore, quello con cui si nasce e si muore, è sempre stato fermo lì, si è attorcigliato intorno al talento di un uomo che sapeva far brillare il palcoscenico. Era un luccichio degli occhi che non si è mai spento, dai primi passi nel mondo dello spettacolo fino all’ultimissima interpretazione. D’altronde, solo un adulto che è rimasto bambino può diventare Babbo Natale.
Che bel regalo ci ha fatto, Gigi! Ha indossato il vestito magico di Babbo Natale per consegnarci un addio speciale, un ultimo atto che avesse in sé qualcosa di assolutamente commovente e straordinario. Questo film è il suo ultimo saluto al pubblico, il suo commiato definitivo. Nessuno avrebbe potuto prevederlo, nessuno avrebbe potuto scriverlo meglio. Come qualsiasi opera postuma, si trascina dietro un lascito importante. È bello ricordarlo così, mentre si finge un vecchio rimbambito con qualche rotella fuori posto, circondato da una squadra di elfi bizzarri e pronto ad offrire un’occasione a chi ne ha bisogno. Gigi Proietti è stato un perfetto Babbo Natale, con i capelli bianchi, il sorriso buono e quella luce particolare nello sguardo.
Caro Ettore, a questo punto me ne posso anche andare in pensione. Pensavo di fare un salto in Portogallo. C’è il sole, c’è il mare, si pagano pure meno tasse. Meglio di così!
E allora parti, Gigi. Prendi la slitta, le renne e tutto il resto e va’ lontano. Sei stato uno dei migliori Santa Claus che potessimo desiderare. E chissà, magari quest’anno, la notte di Natale, a mezzanotte e cinque, affacciandoci alla finestra, vedremo un vecchietto con la barba bianca e il vestito rosso, che se la ride come un matto mentre scarrozza tra le stelle in cerca della battuta finale. Dell’ultimo inchino. Il tuo è stato uno spettacolo meraviglioso, il pubblico ti ringrazia.