ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Joker: Folie à Deux e sul precedente film sull’iconico pagliaccio della DC
Se ne sono dette davvero di tutti i colori su Joker: Folie à Deux. Dopo il clamoroso successo del primo capitolo (se non lo avete visto, lo potete recuperare su Netflix), questo sequel era atteso con un mix di trepidazione e timore. Mantenere quegli elevatissimi standard era, oggettivamente, molto complicato. Alcuni dettagli, però, hanno presto cominciato ad alimentare la fiamma del dubbio. La componente musicale, su tutti, spaventava e ha pesato molto sul giudizio complessivo. Lady Gaga attesa alla prova di Harley Quinn, difficile da ritrarre anche lei con la stessa profondità del Joker di Joaquin Phoenix (scoprite i 20 film migliori della sua carriera). Insomma, parecchi elementi hanno pesato, in fase di avvicinamento e anche nella resa. Però, almeno secondo chi scrive, il film non è affatto la delusione che serpeggia in giro. Tutt’altro.
È fuori da ogni discussione che Joker: Folie à Deux non regga il passo del suo precedente racconto. È anche indubbio che questo sequel non fosse così necessario. Per quello che poteva dare e per quello che ha effettivamente dato alla narrazione complessiva. Non si possono sottovalutare, però, alcuni nuclei concettuali che si perpetrano in questo secondo capitolo e che completano, per certi versi, il senso dell’inarrivabile Joker. Ci vogliamo soffermare su questi, dunque, in questa recensione, andando a snocciolare le tematiche portate avanti in Joker: Folie à Deux, prima di fornire un giudizio, complessivo, su questo controverso e discusso film di Todd Phillips.
Joker: Folie à Deux: il tema del doppio
Il senso del film è racchiuso in due elementi. Il titolo, in primis, quella “follia a due” che si rivela sotto una prospettiva diversa da quella attesa. E soprattutto il magnifico corto animato iniziale, in cui vi è uno scontro tra Joker e la sua ombra. Anticipazione di ciò che poi sarà l’epilogo del film. Questi due elementi introducono il tema del doppio, fondamentale per la costruzione narrativa di Joker: Folie à Deux. La prima accezione di questa tematica è, fisiologicamente, la malattia di Arthur, trattata come un disturbo dissociativo dell’identità. In vista del processo dopo i suoi omicidi, il protagonista viene difeso seguendo la tesi della presenza di una personalità al suo interno, Joker, creata dal trauma degli abusi da piccolo e riaffiorata dopo l’aggressione in metropolitana.
In Arthur, dunque, convivrebbero due personalità. Ed è stato Joker a commettere quei delitti, non lui. Siamo davanti a una semplificazione, chiaramente, utile però per andare a fondo della questione. Da qui, il tema del doppio, poi, si articola, con l’introduzione di altre immagini del Joker. Harley Quinn, in primis, vero alter ego del pagliaccio. E tutti i manifestanti che lo sostengono e lo hanno eletto a simbolo di libertà. Joker si nutre di tutta questa attenzione e piano piano fagocita Arthur. Le due personalità a un certo punto sembrano essere particolarmente riconoscibili. Quasi remando in direzione della teoria del disturbo dissociativo dell’identità.
Da una parte c’è l’impacciato, intimorito e introverso Arthur. Dall’altra l’eccentrico, violento e narcisista Joker. Il distacco tra i due si fa sempre più evidente. Gli accessi di violenza, ad esempio, appartengono esclusivamente al pagliaccio. Sfuggono dall’Arthur senza trucco. Cambia l’espressione del viso. La sicurezza. Persino la postura. La metamorfosi si completa quando Arthur licenzia il suo avvocato durante il processo e si fa difendere da Joker.
Attenzione, è qui che si apre uno snodo cruciale. Non sceglie di difendersi da solo, ma si fa difendere da Joker. Perché a questo punto ormai le due identità sono ben distaccate, con una completamente dominante sull’altra. La “follia a due”, dunque, si rivela essere proprio tra Arthur e Joker stessi. Come anticipato da quel corto in apertura. Arriviamo, a questo punto, al cuore concettuale del film: la dissociazione tra le due “identità” del protagonista.
Il momento in cui Joker e Arthur si sono divisi
Si è parlato molto del rapporto tra Joker: Folie à Deux e il suo predecessore. Si è detto che, per certi versi, questo secondo film smentisca il primo. Faccia tornare Arthur sui propri passi. Non sembra, in realtà, essere effettivamente così. Durante l’arringa finale, quando Arthur si piazza davanti ai giurati e confessa i propri crimini, abbandona anche l’identità di Joker. Non si tratta di una regressione, però. Bensì di una maturazione, che culmina appunto nella dissociazione. Arthur non abbandona Joker, piuttosto il contrario. Il pagliaccio diventa troppo “ingombrante” e abbandona il vero protagonista del film, che senza il trucco rimane solo un “povero malato di mente”.
Questa dissociazione cela tantissime cose. Joker: Folie à Deux si distacca, leggermente ma significativamente, dal cuore concettuale del primo film. Lì il mirino era puntato sulla mancanza di assistenza sociale e sulle colpe delle istituzioni. Qui il focus è più sui temi della sicurezza e della responsabilità in relazione alla malattia mentale. Sullo sfondo, però, rimane quella profonda denuncia del disinteresse della società. Arthur, in quanto malato, era alienato. Trascinato in un sistema che lo ha privato di ogni individualismo. Così, per farsi vedere, ha indossato la maschera di Joker.
Folle e violento, Joker viene visto da tutti. Persino ammirato. Il povero Arthur era sempre stato scansato. Ridotto a macchietta per l’ilarità delle guardie. La pazzia, da malattia diventa show. Associata alla violenza, essa inizia ad attrarre. Stimola quel gusto ossessivo della folla. Quell’amore spudorato per il sensazionalismo e per il torbido. Joker si nutre di queste attenzioni, diventa talmente dominante da potersi staccare da Arthur, abbandonandolo a una morte triste e solitaria. Tutto ciò, dunque, si cela dietro quella dissociazione finale, che fa da preludio all’epilogo di cui tanto si sta parlando.
Il finale di Joker: Folie à Deux
Arriviamo, quindi, al punto più discusso di tutto il film: lo scioccante finale. La morte di Arthur ha sorpreso molti, ma per come si è sviluppata la narrazione è apparsa come l’unica soluzione possibile. Quando Joker lo abbandona, il protagonista si ritrova nella sua condizione di partenza. Anonimo, appiattito, desolato. Anche Lee lo abbandona. Folgorata dalla luce accecante del Joker, cosa se ne fa del grigiore di Fleck? A questo punto arriva il finale. Quelle coltellate che mettono fine a una vita di sofferenza. A una vita che, senza l’ingresso in scena di Joker, sarebbe finita così com’è cominciata: nel disinteresse generale.
Il finale cela però altro. Joker non muore con Arthur, anzi. Come detto, in quell’aula di tribunale è andata in scena la dissociazione, per cui ormai il pagliaccio ha conquistato vita propria. Si diffonde tra la folla in protesta. Nei perversi principi di Lee Quinzel. Nella follia dell’assassino di Arthur. Quella del Joker è una maschera, che tutte le persone private della propria individualità possono indossare. Per conquistarne una che finalmente possa attirare l’interesse di tutti quanti. Questo è, secondo chi scrive, il senso del finale. Senza Joker, Arthur non conta nulla per una società che preferisce distogliere lo sguardo. E allora può morire, in quell’indifferenza in cui ha sempre vissuto senza trucco in faccia. Al contrario, Joker continua a vivere come riflesso di una società che lo chiama e lo desidera.
Elementi estetici e concettuali di Joker: Folie à Deux
Dopo aver parlato del macro-significato di Joker: Folie à Deux, passiamo ad alcune questioni più specifiche. Prestiamo subito attenzione all’elefante nella stanza e parliamo dell’elemento già discusso del film: la componente musicale. Non si può negare che questa sia decisamente abbondante, e in alcuni passaggi rallenta il ritmo del film. Le parti coreografate, quelle che si consumano nella mente di Arthur, sono le più faticose. Per il resto in realtà le parti musicate sono spesso molto transitorie, si riprendono in diversi punti e fanno da cornice narrativa. Tutto sommato l’inserimento della musica è armonioso, tranne in alcuni passaggi più forzati e tranne, soprattutto, in quegli intermezzi slegati che sono, effettivamente, un po’ stranianti.
La musica, però, è importante per lo svolgimento della trama. Fa da ponte tra Arthur e Lee, unisce Joker e Harley nella fantasia di Fleck e permette al protagonista di esprimersi con la sicurezza con cui riusciva solo con il trucco di Joker. Queste parti cantate perpetrano, in un certo senso, quel tema del doppio alla base del film, permettendo ad Arthur di tenere testa a Joker, per quanto possibile.
Passando agli elementi simbolici, vale la pena sottolinearne due. Uno è il fumo, che ha una valenza simile a quella della musica. È l’unico, vero, atto liberatorio di Arthur ed è anche una delle poche caratterizzazioni, esterne, del personaggio. L’altro elemento importante è la risata, che ha qui, come nel precedente film, un valore ambivalente. È, da una parte, sintomo della condizione malata di Arthur, ma dall’altra è anche lo scopo della sua vita.
In Joker: Folie à Deux la risata assume diversi connotati. Disegnata col rosso sangue, è il sintomo della follia violenta di Joker ed è anche rappresentazione fisica della nevrosi che esplode, del mondo che vuole mascherare la sofferenza con il riso. Significative sono anche le risate di sottofondo al processo, che esaltano la malattia mentale di Arthur, rendendola grottesca. La risata fa da contorno e contraltare alla malattia mentale, ne è espressione, ma anche esaltazione. È il modo con cui la condizione malata si cela al mondo, passando per un qualcosa di socialmente più accettabile.
L’apporto di Lady Gaga
Joaquin Phoenix si è confermato ancora una volta strepitoso nei panni di Arthur Fleck (qui le altre interpretazioni iconiche del personaggio), ma che dire invece di Lady Gaga? Il valore della sua interpretazione è fuori discussione. Le parti canore soprattutto sono, prevedibilmente, strepitose. Ci sono, però, degli innegabili problemi relativi al personaggio in se di Lee Quinzeel. Tolta la parte iniziale, dove l’attenzione è rivolta soprattutto alla questione della sua esistenza o meno. Lei si presenta col gesto della pistola alla tempia, che richiamando Sophie nel primo film fa pensare che possa essere un parto della mente di Arthur. Appurata la sua esistenza, però, il suo valore sbiadisce. Lee si contraddistingue come una semplice cassa di risonanza per la dissociazione tra Joker e Arthur, non dando chissà quale contributo in più.
La sensazione è che Joker: Folie à Deux avrebbe potuto funzionare benissimo anche senza Lee Quinzeel. Questa, forse, è la criticità maggiore del film. Si poteva fare di più, sicuramente, sia sul personaggio che sulla relazione tra i due protagonisti.
Quindi, alla fine, cosa dobbiamo pensare di Joker: Folie à Deux?
Eccoci arrivati alla conclusione. Al momento di tirare le somme. Saremo sinceri: Joker: Folie à Deux è stato un film non necessario. Il capolavoro di Todd Phillips era compiuto così com’era, senza bisogno di un sequel. Tuttavia, questo è tutt’altro che un lavoro fatto male. Come abbiamo visto, Joker: Folie à Deux conserva quel sottotesto sociale e psicologico molto pronunciato, lavorando di fino su un personaggio estremamente complesso. La messinscena si è rivelata a tratti zoppicante, complice la temeraria scelta del musical, ma il nucleo concettuale del racconto resta di una profondità unica.
Joker: Folie à Deux è un film più riflessivo che intrattenente. Non offre una storia appassionante, ma stimolanti ragionamenti. Potevamo farne a meno, certamente, ma per com’è stato concepito è un lavoro più che apprezzabile. Paga la perfezione del primo capitolo, non c’è dubbio. Il livello però rimane globalmente molto alto. Nel salutarci, vi lasciamo un approfondimento sulla lunga e gloriosa storia del personaggio DC tra fumetti, cinema e televisione.