ATTENZIONE: questa recensione contiene spoiler su La ferrovia sotterranea.
“La prima e l’ultima cosa che mi diede mia madre furono delle scuse”.
La ferrovia sotterranea non è una serie per i deboli di stomaco, né per chi sta cercando il prodotto perfetto per un bel bingewatching. La storia della schiava Cora, fuggita da una piantagione di cotone in Georgia, e del suo esodo senza fine non utilizza mezzi termini, non ha mezze misure e cuoce come il lento sobbollire di una pentola sul fuoco.
La serie di Amazon Prime Video (approdata sulla piattaforma il 14 maggio, insieme ad altre novità) è l’adattamento del romanzo omonimo, vincitore nel 2017 del Premio Pulitzer per la narrativa, che s’inserisce in quel filone della letteratura che intreccia resoconti sulla schiavitù con elementi ucronici o soprannaturali. Il titolo, infatti, richiama quella ferrovia sotterranea realmente esistita e costituita da una rete di itinerari segreti che venivano utilizzati per aiutare gli schiavi a scappare negli stati del nord e in Canada. Nella realtà storica la ferrovia non era veramente tale, ma viene qui (sia nella serie che nel libro) reinventata e rappresentata da un treno sotterraneo che si sposta di stazione in stazione.
E la ferrovia è l’unica via d’uscita per Caesar (Aaron Pierre, già noto per il suo ruolo in Krypton) e Cora (Thuso Mbedu), che si sposteranno lungo i suoi binari fino a raggiungere prima la Carolina del Sud, poi quella del Nord e infine l’Indiana. Ogni tappa del viaggio, però, nasconde delle insidie, perché “gli uomini bianchi non cambiano in un giorno”, e questo ce lo racconta bene il penultimo episodio, ambientato nel più civile nord in cui, però, il bianco è disposto a sopportare il nero solo fino a un certo punto; episodio che si chiude sulle note di “This is America“.
La musica ne La ferrovia sotterranea si sposa sempre alla perfezione con le immagini.
Ora crudi episodi di violenza che fanno accapponare la pelle, ora ampie riprese dei paesaggi degli Stati attraversati prima da Cora e Caesar e poi da Cora in solitaria. Musica classica, canti che si uniscono a una fotografia mozzafiato, che riesce a rendere magistralmente la varietà degli ambienti e la diversità della fauna. Tutto il comparto tecnico della serie è eccellente, recitazione compresa, tanto che più di una volta potreste ritrovarvi con la pelle d’oca, sospesi a metà tra l’orrore della narrazione e la meraviglia dell’esecuzione (e tutta questa cura non stupisce, dato che il suo creatore è il regista premio Oscar Berry Jenkins).
Gli episodi procedono a passo lento, e in alcuni punti forse la serie potrebbe peccare di eccessiva lentezza, ma si evince chiaramente che La ferrovia sotterranea non è stata pensata per essere dinamica. Ha i suoi momenti di frenesia, certo – le continue fughe di Cora, le imboscate – ma per la maggior parte la narrazione va avanti lentamente, spesso costellata da lunghe scene silenziose in cui i personaggi rompono la quarta parete oppure sono in una bolla tutta loro. Guardandola tutta d’un fiato sicuramente non si riesce a godersela a pieno e si rischia di annoiarsi a causa della lentezza del racconto.
Un altro elemento che potrebbe risultare sgradito è che la storia lasci indietro qualcuno. Il destino di alcuni personaggi, infatti, si risolve solo tramite il “sentito dire”: sappiamo cosa ne è stato di Lovey e Caesar tramite il racconto di Ridgeway (Joel Edgerton), mentre di ciò che sarà di Homer (Chase Dillon), addirittura, non sappiamo proprio nulla. La ferrovia sotterranea, però, è un racconto molto sospeso, che non ha un finale chiaro ma aperto e interpretabile, quindi non stupisce che possa essere stata lasciata una patina di mistero su alcuni personaggi. Senza contare che non conoscere, o conoscere solo parzialmente, il destino dei compagni di viaggio di Cora acuisce il senso di “lasciato indietro” che prova la protagonista.
Cora ha dovuto lasciarsi molto alle spalle per andare avanti e il destino di molti di quelli che hanno incrociato il suo cammino non lo conoscerà mai.
L’unica vera pecca dello show, forse, è stata la decisione di incentrare un intero episodio sul passato di Ridgeway. Mostrare il vissuto del cattivo è una scelta sempre interessante, soprattutto se aiuta il pubblico a capire cosa l’ha portato a essere quello che è – anche se nel caso di un cacciatore di schiavi nell’America del XIX secolo non rimane molto spazio per l’immaginazione – ma forse l’esecuzione non è stata delle migliori.
L’episodio in sé è bello, ma forse sarebbe stato meglio costruire una narrazione che alternava flashback e presente, oppure accorciare la durata, considerato anche che “Il grande spirito” si colloca dopo la cattura di Cora in Carolina del Nord, e dopo un tale trambusto lo spettatore ha moltissima voglia di sapere quale sarà il destino della protagonista e molta meno voglia di scoprire come Arnold Ridgeway è diventato un cacciatore di schiavi.
Al di là delle piccole sbavature, però, il punto di forza de La ferrovia sotterranea è la potenza della sua narrazione.
La storia di Cora ci mostra non soltanto gli orrori della schiavitù, non soltanto la drammaticità della condizione dei neri in America prima della Guerra di Secessione perfino negli Stati liberi. Ci mostra anche quanto la nostra percezione della realtà sia condizionata dalla società in cui viviamo. Una società, all’epoca, che seguiva il cosiddetto imperativo americano, concezione che portava i bianchi a credere ciecamente in quello che Kipling ha definito “il fardello dell’uomo bianco”.
Conquistare, costruire e civilizzare. Elevare una razza inferiore o, se non elevarla, sottometterla. Se non sottometterla, sterminarla, eliminarla. È il nostro destino, come prescritto da Dio. L’imperativo americano.
Di grande impatto è anche vedere il piccolo Homer manipolato al punto da affezionarsi al crudele cacciatore Ridgeway, oppure assistere all’atteggiamento critico di Mingo nei confronti di Cora, disprezzata per essere scappata anziché essersi pagata la libertà col lavoro.
La ferrovia sotterranea, pur con i suoi difetti, è un prodotto magistralmente eseguito che dipinge una realtà che, sotto spoglie diverse, continua a essere attuale e per questo l’esodo di Cora dovrebbe interessare a tutti. È una lunga e tristissima poesia, composta da quadri ambientati dal sud al nord degli Stati Uniti, che vi commuoverà nel profondo e il cui incedere lento finirà per catturarvi, ipnotizzandovi in una visione dalla quale farete fatica a risvegliarvi.