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L’Amica Geniale 4×09/4×10 – La Recensione (e la spiegazione) del finale della Serie – Le bambine perdute

Le bambole al centro del finale de L'Amica Geniale 4
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulle puntate finali de L’Amica Geniale 4.

Ci sono due bambine che passeggiano per strada. Tengono tra le mani due bambole. Giocano e sognano con esse. Se le scambiano: sono una cosa sola. Una simbiosi totale, tra realtà e fantasia. A un certo punto, gli abissi di un oscuro scantinato si aprono di fronte a loro. La fiaba assume toni diversi. Una bambola va giù, avvolta nel buio. L’altra la seguirà di lì a poco: dove andrà l’una, andrà pure l’altra. Le bambole non ci sono più, e al loro posto compaiono dei soldi. I soldi sono di un orco cattivo, da tutti chiamato Don Achille. I soldi diventano un libro: Piccole Donne.

Sollecitate dal libro e dai primi vagiti rivoluzionari, le due bambine scrivono. Non si fermano mai. Tengono a bada gli spettri, illudendosi di poterli addomesticare. Li scacciano dal loro mondo, innalzando una barriera espugnabile: la fantasia è talmente vivida da diventare reale. Fagocita ogni cosa: è una magia, o se preferite una stregoneria. Un incantesimo che sembrava eterno, ma eterno forse non è. Una bambina, a un certo punto, smette di scrivere. Il futuro non è suo: c’è solo un presente in cui sopravvivere. L’altra, invece, non smetterà mai.

Mezzo secolo dopo, non ha ancora finito: per molti versi, ha appena iniziato. L’amica, geniale, però non c’è più: si è dissolta nell’aria, ormai sospesa in una dimensione metafisica. Le bambole, tuttavia, riaffiorano dagli abissi. L’altra amica, anch’essa geniale, le guarda: è ormai anziana, ma è solo una questione d’età. Sente l’amica, anche se gli occhi non possono guardarla. La vede, finalmente.

Si conclude così la saga de L’Amica Geniale, là dove era iniziata: dentro due bambole, ritrovate. Le bambine sono perdute, ma Lila e Lenù non smetteranno mai di esistere come tali: sono diventate immortali, tra le pagine di un racconto straordinario.

Un finale circolare, ma non lineare. Complesso e ricco di sfumature da schiudere all’interno della nostra analisi conclusiva, sviluppata attraverso l’immagine delle bambine perdute e delle bambole ritrovate. Con una premessa, d’obbligo: terremo in considerazione esclusivamente quello che abbiamo visto nel finale della serie tv L’Amica Geniale (disponibile su Raiplay), evitando di addentrarci nel terreno delle (colpevoli) omissioni finali dell’adattamento televisivo rispetto ai romanzi di Elena Ferrante.

Uno, in particolare: l’assenza di una sola menzione del libro Un’Amicizia, elemento chiave per comprendere i motivi che hanno portato all’allontanamento di Lila da Lenù nel periodo intercorso tra l’ultimo abbraccio nella serie e il momento della scomparsa della prima. Ci sarà modo di parlarne in futuro.

L’Amica Geniale 4 – Storia della bambina perduta

La piccola Tina in una scena de L'Amica Geniale 4
Credits: Rai ed HBO

La pietra angolare del finale de L’Amica Geniale è, inevitabilmente, la tragedia che coinvolge la piccola Tina, figlia di Lila. La misteriosa scomparsa della bambina, infatti, scardina definitivamente le precarie difese della madre, ormai inerme di fronte al tumultuoso incedere degli eventi. Lila, dopo aver combattuto per tutta la vita per tenersi a distanza dal ciglio del burrone, si spezza definitivamente. Le barriere crollano, nel momento in cui il destino la sospende in una non-vita speculare a quella della piccola figlioletta, non-morta. Ogni possibile resistenza alla terribile realtà del suo microcosmo viene meno: gli scudi si abbassano, la narrazione si ferma.

La bolla nella quale Lila aveva vissuto fino a quel momento, abbattuta progressivamente dagli agenti esterni, esplode: non può nulla, al cospetto di un’immane tragedia che annichilisce ogni cosa.

Si ripresenta, così, la tesi della smarginatura, già ampiamente sviluppata a proposito del quarto episodio de L’Amica Geniale 4: la realtà invade il suo mondo, fagocitandolo ferocemente. I bordi si confondono, immergendo ogni cosa in un flusso infernale che investe la donna con la violenza di un torrente implacabile. Le parole, allora, non servono più. Non l’azione, né la resistenza: Lila si abbandona a se stessa, rievocando le ombre funeree della Melina che aveva generato alcuni tra gli incubi più vividi della sua infanzia. Il Rione, prima domato e poi sfuggito al suo controllo, le accarezza una guancia prima di abbandonarla al suo mesto cammino tra i fantasmi della follia.

Non c’è più risposta, al di fuori della rabbia: un’irrazionale moto furente mirato alla distruzione degli argini del mondo, e non più alla ricostituzione dei suoi confini. Invece di abbracciarlo, Lila lo colpisce duramente. Colpisce tutto con l’ira di una donna tradita da un destino perennemente avverso. Colpisce tutto, anche ciò che ama: la furia è cieca, senza più uno scopo. Non si aggrappa più a niente, fermando il suo tempo: le lancette, immobili, segnano il momento di una sparizione della quale si sente colpevole.

Una tragica “distrazione”, nonché l’istante in cui si spezza in mille parti l’ultimo vagito di speranza che ancora albergava in lei.

Al pari di Immacolata Greco, donna che vedeva nella figlia Lenù l’opportunità per un riscatto sociale che ribaltasse le sorti del suo nome, altrettanto faceva Lila con Tina. L’amica geniale di Imma, figlia di Lenù. “Tina doveva essere meglio di tutti quanti voi”. dice a un certo punto. La più intelligente, quella con più potenziale: l’ultimo argine, tra i sogni di una bambina irrealizzata e i fallimenti percepiti di una donna incompleta e ferma nel suo miope mondo. Niente ha più senso. Persino la violenta morte dei fratelli Solara si perde sullo sfondo: il suo posto nel mondo, segnato dalla volontà di trascinare il talento altrui (quello di Tina, in precedenza quello Elena e di Enzo, prima ancora quello di Rino), si cancella al cospetto del crollo definitivo.

Persino l’amicizia con Lenù, allora, diviene una maledizione: la simbiosi che le aveva connesse fin da quando erano piccole e l’una metteva la propria bambola tra le mani dell’altra, non segna più la loro strenua resistenza alla realtà, ma la porta d’accesso per i suoi veleni. Non è un caso che ipotizzi uno scambio di persone tra Tina e Imma nel presunto rapimento, e che veda in Elena il riflesso della vita che non ha mai potuto avere.

Vittima di un sistema che non le ha mai dato l’opportunità di brillare come avrebbe potuto, ne è succube persino quando l’obiettivo non sarebbe stato lei. Quella simbiosi, l’estremo argine, resiste nella tutela della fragile Imma, e si ricostituirà dopo anni in un lungo abbraccio che segnerà la fine del rapporto con Elena. Un raro atto d’amore, nella nichilistica apatia del non-mondo in cui si chiude: sembra essere tardi per sfuggire agli abissi di quel maledetto scantinato in cui aveva buttato la bambola di Lenù alcuni decenni prima, ma ci torneremo tra poco.

L’Amica Geniale 4 – Storia delle bambine perdute

Gennaro ed Elsa in una scena de L'Amica Geniale 4
Credits: Rai ed HBO

Tina, in fondo, non è l’unica bambina perduta delle ultime due puntate de L’Amica Geniale. Se da un lato abbiamo una bimba inghiottita dal buio della non-vita, dall’altra abbiamo due bambine che smarriscono la loro innocenza tra le soffocanti strade del Rione. Strade anguste, senza riferimenti: non un padre a guidarle, non una madre ad accoglierle tra le sue braccia. Nella forza centrifuga che allontana Dede ed Elsa dal centro di gravità di Elena e le porta altrove, dall’altra parte dell’Oceano, si schiude la rottura definitiva del suo argine.

Anche stavolta, la tesi della smarginatura accompagna il cammino di una donna sola, ormai incapace di raccogliere intorno alla propria figura una narrazione che ha assunto i tratti dell’artificio.

Non una resistenza concreta agli impulsi esterni più tossici, bensì una forzatura portata avanti in nome delle proprie debolezze: la partenza delle figlie, scomode dentro un contesto per loro impossibile, è la naturale conseguenza di una scelta che l’ha portata a eccellere solo agli occhi di chi non l’ha conosciuta davvero.

La sua scelta di aggrapparsi a Nino, un uomo vanesio che solo alla fine ha mostrato alle luci dei riflettori il suo volto più ambiguo e corrotto, e di stringersi fino in fondo all’amata Lila, l’unica donna in grado di stimolarla all’interno di un rapporto dalle insanabili conflittualità, mettono in secondo piano tutto il resto. “Per te conta solo zia Lila e il lavoro, tutto il resto è risucchiato dentro”, le dirà Dede. Si chiude, per questo, nella prigione del Rione, impendendole troppo a lungo di volare via. “Volare oltre i suoi stessi sogni”, come evoca uno slogan pubblicitario sul quale l’inquadratura indugia nel momento in cui lascia andare per l’ultima volta la sua Adele. Un volo che Elena si è negata per troppo tempo.

Si configurano, così, gli ennesimi elementi di circolarità nel suo destino.

Dalla madre a una figlia, da una figlia alla madre che è diventata: nelle figure di Elsa e Gennaro sembra riscriversi la storia tra Nino e Lila che la mise ai confini di un desiderio interrotto, così come in Adele si ritrova la drammaticità di una giovane donna rifiutata e rinnegata dal cinismo degli eventi. Negli occhi di Imma, invece, si esprime un tic affine alla zoppia trasmessale dalla madre: un segno di rifiuto dell’organismo, alternativo alla detonazione dei suoi sentimenti. La tempesta, chiusa dentro di lei, trova in questo modo l’unica valvola di sfogo.

Nell’ultima puntata de L’Amica Geniale si sgretola, così, l’illusione di Elena. La sua resistenza alla smarginatura, espressa attraverso uno strenuo assecondamento delle situazioni e delle volontà altrui, l’ha portata in un vicolo cieco. Un vicolo cieco nel quale non è più possibile scindere la realtà dalla fantasia, la cronaca dalla narrativa: ogni spazio vitale è invaso dall’incedere della verità. Elena non smette mai di essere la Lenù che era stata fin dal piccola: è ferma, immobile. Percepita nella sua inadeguatezza, piccola rispetto a un macrocosmo che avrebbe potuto segnare a fondo. La figura perennemente subalterna, incapace di prendere in mano il racconto della sua vita e scriverlo secondo la propria soggettività.

Una forza centripeta che la soffoca e la tiene ferma in un angusto appartamento, dignitoso ma alieno alla storia che avrebbe dovuto vivere.

Adele ed Elsa, tuttavia, agiscono diversamente: si muovono, a ragione o sbagliando, trovando nell’esempio di una madre tutto quello che sentono di dover fare nella direzione opposta. Corrono da un’altra parte, riconciliandosi col nido osteggiato ma non rinnegato. Solo alla fine, Elena ne prenderà atto: dopo aver lasciato andare Nino, destinato a schiantarsi sui suoi stessi vizi, lascia Lila. Fugge dal Rione, riprende in mano ogni cosa. Pur non essendosi mai spezzata come la sua amica, riconosce l’insostenibilità della vita che si era ritrovata a vivere. Un abito dalla taglia sbagliata, nel quale entrava appena. E quindi l’Italia, il Nord, Torino. Lontana, quasi a casa sua. Un respiro profondo e una boccata d’aria fresca: Elena è libera, ma non lo sarà mai fino in fondo.

L’Amica Geniale 4 – Storia delle bambole ritrovate

Le piccola Lila e Lenù, prima de L'Amica Geniale 4
Credits: Rai ed HBO

Si arriva all’atto finale de L’Amica Geniale. Una stanza buia, il telefono che squilla. I decenni sono andati, la storia è stata scritta. L’argine tra la realtà e la fantasia è definitivamente venuto giù, lasciandoci sospesi in una dimensione metafisica nella quale tutto è e tutto non è, allo stesso tempo. I frammenti del dramma si ricompongono in una forma inedita, plasmando una storia delineata tra gli eventi reali e le sovrapposizioni della narrativa. Lila, per questo, si dissolve: è aria, terra, acqua ed elementi, riempie ogni cosa nel suo non-mondo. Si “scancella” ed evapora, cancellando ogni traccia di sé e impregnando allo stesso tempo ogni parete. La non-morte di Tina è la sua non-vita: la incatena, sublimandosi nel paradosso estremo della liberazione.

Lila è ovunque e in ogni cosa, lontana dal Rione e vicino a ogni luogo. Alimenta la sua non-esistenza attraverso parole forse scritte, forse no. Passi effettuati, oppure no. Esplorazioni, ignote. Narrazioni che sconfinano nel misticismo, slegate dalla realtà ma capaci di ricostituirla nella sola forma sostenibile: la sua.

Parallelamente, Elena valica il confine della realtà. La ingloba nella sua narrazione, senza mai farla davvero sua. L’aveva già fatto nel momento in cui aveva supposto la potenziale ricostruzione dei fatti che avevano portato all’esecuzione dei Solara, e l’aveva già fatto in precedenza nel momento in cui aveva immaginato Lila e Nino insieme mentre la madre si apprestava a lasciarla per sempre: sono frammenti di un mosaico scomposto che vanifica ogni possibile risposta definitiva. Erano dei momenti, ma alla fine è diventato il senso stesso di questa incredibile storia.

Elena è la narratrice esterna di una storia non-storia che storia lo è davvero, anche quando è immersa anima e corpo dentro di essa. Sola, non sarà sola mai: Lila è dentro ogni sua riga ed è artefice di ognuno dei suoi successi. È e sarà sempre il suo impulso definitivo, il moto all’azione di una donna che vive da spettatrice il suo stesso successo. Ha gli occhi dell’osservatrice, assumendo così la sola centralità possibile: ci introduce a Lila, ce la presenta e ce la fa conoscere. Sfoga ogni frustrazione sulla tastiera, mettendo in piedi il suo capolavoro. Un capolavoro dettato da un’amica geniale, la sua. Sparita chissà dove. Autrice di una fiaba, e di un racconto in cui due bambine finiscono per dare vita a due vecchie bambole, nascoste chissà dove per chissà quanto.

La fine è così l’inizio: dietro le righe di una grande storia, c’è sempre stata una menzogna.

Un inganno necessario, in nome della rivoluzione di due sognatrici: la causa e l’effetto, dalla richiesta del risarcimento a Don Achille alla fama mondiale, dal gioco di due bambine a una straordinaria saga. Le bambole riemergono dagli abissi: escono dallo scantinato, ritrovano la luce e si accomodano nel salotto, là dove la piccola Lila non smetterà mai di guardare negli occhi la sua Lenù. Le bambole ritrovate, e con esse due bambine e un libro finalmente scritto insieme. Sì, una fantasia. O forse è una storia vera, chissà. Vera, ma non vera. Vera e basta? Chi è, d’altronde, Elena Ferrante? È Elena Greco? Raffaella Cerullo? Entrambe o nessuna? Chi è, l’amica geniale? Entrambe o nessuna? Dov’è, oggi? Dove sono, oggi? Sono mai esistite?

Non è importante scoprirlo: una grande storia sarà sempre reale, al di là dei fatti. Sono ovunque e dentro ogni cosa, anch’esse sospese tra la realtà, le identità ignote e la fantasia. Questo è tutto ciò che conta. Questo è tutto ciò che ci lascia una delle avventure letterarie e televisive del nostro tempo, arrivate a noi per non lasciarci più. Punto e a capo. Ci sono due bambine che passeggiano per strada. Tengono tra le mani due bambole. Giocano e sognano con esse. Il resto è storia.

Antonio Casu