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La Legge di Lidia Poët è una serie per tutti, davvero tutti. E meno male – La Recensione

La legge di Lidia Poet (640x427)
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Nella giornata di mercoledì 15 febbraio sbarca su Netflix, una serie che, sin dalla diffusione del suo primo trailer sulle pagine sociale della piattaforma rossonera, ha destato un grande chiacchiericcio. Parliamo de La legge di Lidia Poët, light procedural in costume composto da sei puntate dal minutaggio compreso tra i 40 e 55 minuti e ispirato al personaggio storico, realmente operante verso la fine dell’ ‘800 (ma per ovvie ragioni decisamente romanzato) della prima avvocata d’Italia, Lidia Poët. La serie, che vede come assoluta protagonista la giovane e sempre più lanciata Matilda De Angelis (The Undoing), conta nel cast altri nomi di spessore, come il talentuoso Eduardo Scarpetta che già aveva dato prova di sé ne L’amica geniale e Pier Luigi Pasino. Prodotta dalla casa cinematografica Groenlandia di Matteo Rovere (che qui riveste anche i panni di regista assieme alla collega Letizia Lamartire), lo show di Netflix si pone l’obiettivo di portare sul piccolo schermo una serie fortemente moderna dallo stampo mistery e dalle note leggere, ma al contempo di raccontare tematiche legate al femminismo, al ruolo delle donne nella società del XIX secolo e ai loro primi tentativi di emancipazione.

La serie Netflix sarà riuscita nel suo intento? Per scoprirlo, vi lasciamo alla nostra recensione di La legge di Lidia Poët.

Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler su tutti e sei gli episodi della stagione. Siete perciò avvisati. Buona lettura!

La legge di Lidia Poët
Lidia e Jacopo (640×360)

Ci troviamo nella Torino della seconda metà del ‘800 e seguiamo le vicende di una giovane avvocata, la prima d’Italia, la cui licenza di esercizio della professione viene revocata da una sentenza della locale Corte d’Appello dal momento che l’avvocatura veniva ritenuta dai vertici della magistratura come un impiego non adatto a una donna. Lidia, senza prospettive ma determinata a riottenere ciò che le è stato tolto, trova ospitalità presso il saccente fratello Enrico (anche lui avvocato) che, da inizialmente riluttante, accetta di tenerla come propria segretaria e collaboratrice. Mentre prepara il ricorso per portare avanti la propria causa, avvalendosi della sua nuova posizione, la donna inizia così a investigare e a assumere nuovi casi, assumendo la causa di reietti ed emarginati, ricercando la verità a tutti i costi grazie all’aiuto di Enrico e del giornalista Jacopo, fratello della cognata Teresa, un Don Giovanni brillante e misterioso.

Partiamo da questo presupposto: La legge di Lidia Poët è un prodotto altamente ibrido, un amalgama che tiene insieme elementi, atmosfere e stili narrativi derivanti da modelli tra loro molto distanti. La serie con Matilda De Angelis si pone infatti da un lato come chiara alternativa alle fiction in costume tanto tipiche della nostra televisione, rimarcando notevolmente la chiave moderna con cui viene riletto il genere, mentre dall’altro presenta allo spettatore stilemi e topoi poco originali e quasi classicheggianti che talvolta non mancano di cliché e di situazioni a cui abbiamo già assistito in abbondanza in altri prodotti seriali. Queste due anime antitetiche portano dunque la serie a risultare poco apprezzabile? Non esattamente.

Perché, al di là di tanti aspetti atti a rendere lo show un prodotto appetibile a un pubblico variegato, La legge di Lidia Poët non è assolutamente una serie da sottovalutare.

La legge di Lidia Poët
Lidia ed Enrico (640×360)

Una serie semplice e lineare, senza troppi fronzoli e artifici che potrebbe regalare sorprese ai più scettici, ma d’altra non in grado di brillare particolarmente per originalità e carisma e che potrebbe deludere coloro che ricercano accuratezza storica rispetto all’epoca e ai personaggi presentati. Trattasi infatti di uno show che certamente presenta qualche criticità, ma che, non avendo l’ambizione di rivoluzionare e stravolgere i canoni dell’intrattenimento nostrano, può essere facilmente perdonata per le proprie ingenuità e apprezzata così com’è.

Ma passiamo ai punti di forza della serie, dati soprattutto da prove attoriali generalmente di livello, che riescono a convincere facendo superare il blocco che molti serializzati sembrano ostentare nei confronti delle performance di interpreti italiani, dal comparto visivo che caratterizza la serie, dal buon ritmo narrativo che non annoia e che invita a proseguire la visione e al più che discreto lavoro di approfondimento operato nei confronti dei personaggi principali della serie.

Il trio di protagonisti formato da Matilda De Angelis, Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino funziona a dovere, risulta affiatato e in sintonia e regge bene le dinamiche portate avanti dallo show Netflix. In particolare, Matilda De Angelis riesce a portare in scena un personaggio riuscito, una donna forte e determinata che sa bene quello che vuole e come ottenerlo, ma che per questo non rinuncia ad avere debolezze che la umanizzino, evitando in questo modo di ricadere nello stereotipo dell’eroina senza difetti, limiti o mancanze. Molto apprezzabile risulta poi il rapporto di affetto conflittuale tra i due fratelli Poët (quasi accostabile alla dinamica familiare di recente vista nei film di Enola Holmes) e l’evoluzione che esso subisce nel corso della serie.

Matilda De Angelis è Lidia Poët (640×360)

Dal punto visivo, le ambientazioni, le scenografie e i costumi che caratterizzano la serie, pur presentando scenari spesso fin troppo lindi e patinati, non per forza realistici rispetto all’epoca, risultano di grande impatto e riescono a creare coerenza laddove spesso, volutamente, la serie sembri puntare sull’anacronismo storico. Fotografia e regia svolgono poi il loro dovere, creando scene e cornici suggestive e di un certo gusto sia nel raccontare la città di Torino in cui la storia è ambientata sia i momenti più intimistici legati ai protagonisti della serie. D’altra parte, la scelta di una colonna sonora spiccatamente moderna che punta su canzoni pop o su brani d’accompagnamento che poco hanno dell’epoca storica di riferimento potrebbe far storcere il naso a qualcuno, ma essa pare chiara conseguenza del tono scelto dagli autori della serie. Questione di gusti, insomma!

L’impressione che emerge guardando La legge di Lidia Poët, tuttavia è quella di assistere a un prodotto specificatamente pensato per coinvolgere e inglobare in sé tanti differenti tipi di spettatore, da un pubblico più maturo amante delle fiction all’italiana a uno più giovanile che possa essere attratto non solo dal tono mistery e dalle love story che affollano la serie, ma anche dagli attori coinvolti. Citando l’irriverente comedy italiana Boris, infatti, il tanto famoso Algoritmo potrà ritenersi soddisfatto: ecco che quindi non possono proprio mancare la storia d’amore teen, una piccola componente di trasgressività, il triangolo amoroso e un po’ di sana “inclusion“.

Una formula che, nel bene e nel male, funziona nella maggior parte dei casi.

Pur con tutta la sua semplicità (soprattutto per quanto riguarda la componente mistery della trama verticale dei singoli episodi), La legge di Lidia Poët riesce infatti a veicolare il proprio obiettivo, quello di portare avanti un chiaro e marcato messaggio femminista. Anche se infatti lo sviluppo delle trame non brilla in quanto a originalità, soprattutto per quanto riguarda la componente legal e investigativa di casi molto lineari e facilmente risolvibili dallo spettatore, la trama orizzontale legata allo sviluppo del personaggio di Lidia, a quello dei suoi comprimari e al destino della donna risultano gli aspetti più interessanti della serie. Ciò, d’altra parte, contribuisce a dimostrare come lo stile da serie tv procedurale funga più che altro come pretesto per portare avanti la storia della vita di Lidia e il messaggio femminista sullo sfondo, che viene ripreso non solo in merito alla figura della protagonista, ma anche nelle storie delle donne con cui ella va a interagire, dalla nipote alle clienti da lei assistite.

Per quanto a tratti forse troppo didascalico, il messaggio della serie riesce infatti a farci ben comprendere l’importanza che una figura ribelle al “sistema” precostituito come quella di Lidia possa aver assunto realmente in quegli anni, così come l’importanza della lotta per l’emancipazione vista come una corsa alla “vera giustizia“. Ciò, infatti, emerge non solo dalle parole e dal comportamento della protagonista che, nella serie come nella storia, vide rigettate la sua richiesta di ricorso e la speranza di poter esercitare la professione dell’avvocatura, ma soprattutto dal cambio di percezione nei confronti del tema da parte degli altri personaggi, a partire da Enrico, passando per Teresa e per le tante tra le persone con cui Lidia ha modo di interagire. 

La legge di Lidia Poët si pone dunque come una serie piacevole, pur con tutti i suoi difetti, ma con un’idea alla base ben precisa in mente: un prodotto a tratti troppo affrettato che però riesce a convincere e a intrattenere e che potrebbe porsi come la prima di una lunga serie di stagioni a carattere di procedurale in costume. Grazie a una protagonista carismatica, a una buona dose di romance e alla sua componente mistery, questa serie Netflix presenta dalla sua grandi potenzialità e potrebbe finire per piacere più di quanto auspicato non solo al pubblico nostrano, ma anche a quello oltreoceano. Il finale di serie, che porta la giovane protagonista di fronte alla scelta di abbandonare tutto e seguire Andrea in America per realizzarsi come donna o se continuare a lottare per i propri diritti nel nostro paese, fa intuire come una seconda stagione possa essere a tutti gli effetti nei piani degli autori.

Chissà che Lidia Poët non possa tornare per risolvere tanti altri casi? Non ci resta che aspettare.