“La mossa Kansas City è quando loro guardano a destra e tu vai a sinistra“
Ancora una volta Legion si diverte a rivoluzionare il paradigma in atto. Ancora una volta la Serie rovescia la sua prospettiva, sia in senso semantico che narrativo. Proprio come accade in Slevin – Patto Criminale, il piano di Noah Hawley sembrerebbe essere quello di depistare di continuo lo spettatore, per poi colpirlo nel punto in cui mai si sarebbe aspettato. Ed è soltanto allora che scopri quanto questo faccia male. Proprio quello che è capitato nel Capitolo 13, sotto tutti i punti di vista.
Un’esperienza visiva quale è Legion sembrerebbe essere progettata per ostacolare tutto ciò che abbiamo imparato sul riconoscimento degli schemi predefiniti. È come avere a che fare con le illusioni ottiche, oppure quelle acustiche: quelle in cui, cioè, il messaggio si presenta filtrato e noi lo ricolleghiamo a qualcosa di familiare, di riconoscibile. Non possiamo accettare ciò che non è spiegabile razionalmente, finendo per addurre spiegazioni ancor più irrazionali (ergo la cospirazione, nell’esempio di Jon Hamm).
Lo stesso concetto, in Legion, viene ribadito continuamente sotto altre versioni, fino a renderlo tremendamente complicato da codificare. Se la volta scorsa, nella puntata introspettiva su Syd, avevamo imparato l’importanza del hic et nunc – non importa ciò che è stato fatto, importa che David e Syd si siano trovati e accettati – l’episodio di questa settimana tende a sconfessare completamente tale assunto: “il presente non esiste, esistono soltanto il passato e il futuro“.
E se non esiste il presente è ancor più difficile dare un senso al significato di reale.
Ma d’altra parte è sempre stato così per una Serie che, nella prima stagione, è stata quasi del tutto ambientata nella testa del proprio straordinario protagonista, portando deliberatamente a cozzare il concetto di “realtà” con quello di “percezione”. Qualcosa di simile, sebbene l’introspezione si sia, in questa seconda annata, allargata a tutti gli altri personaggi, accade con questo episodio, il quale inizia con un previously – il primo che abbiamo visto nello show – ma che si rivela essere, per voce di Jon Hamm, un “apparently“, come a mettere in guardia lo spettatore, a non fidarsi di ciò che vedrà.
Non potrebbe nemmeno essere altrimenti, se consideriamo che la prima parte è incentrata totalmente su Lenny, ritornata clamorosamente nella Division III. Diviene inevitabile mettere in discussione il suo racconto (quanto di quello che pensiamo di sapere di Lenny è vero?), ma allo stesso tempo la Serie ci invita a mettere in discussione anche ciò che sappiamo degli altri personaggi. Pensiamo, ad esempio, al caso di Ptonomy, al quale è affidata la riflessione forse più intensa di questo episodio, il già citato rifiuto del tempo presente: quanto del suo discorso è influenzato dal bug dell’illusione che si è insinuato dentro di lui?
In quest’ottica la narrazione onnisciente di Jon Hamm suscita un voluto effetto irritante nello spettatore; le sue lezioni sembrano tutte avere insite, quale filo conduttore, il messaggio di guardare oltre le apparenze (il semaforo verde che indica lo stop, l’effetto nocebo, la coincidenza scambiata per cospirazione). Ma è davvero difficile capire a quale dei personaggi ci si riferisca. L’unico appiglio è forse dato dalla sua assenza, nell’episodio scorso: come a voler intendere che l’unica cosa di autentico, di realmente autentico, in Legion è l’amore tra David e Syd. Tutto il resto diventa più o meno opinabile.
E nel mentre la nostra attenzione (e quella della Division III) è completamente focalizzata sulla veridicità delle parole di Lenny, lo Shadow King attua la sua mossa Kansas City.
Il “Capitolo 13”, infatti, a differenza di quello precedente non mira a porre prettamente l’attenzione su Lenny Busker (per quanto l’inizio suggerisca il contrario). D’altra parte, come dicevamo poc’anzi, Lenny è stata dipinta con successo come una drogata disperata ed è difficile fidarsi di lei. Nel frattempo, tuttavia, Oliver e Farouk sono in viaggio nel deserto per trovare un cadavere. Un corpo che non è quello dello stesso Farouk, linea narrativa portante di questa stagione.
L’altro corpo che stanno cercando dà vita a qualcosa di veramente bello sul piano narrativo (su quello estetico sono ormai finite le parole) e che sembra rispondere alla logica del “fai attenzione a ciò che desideri, perché potresti ottenere l’effetto contrario“. Lenny voleva uscire dalla testa di Oliver, mentre David vuole sapere cosa stia facendo Farouk. Questi due desideri si scontrano in modo coatto mentre Oliver e il Re delle Ombre modellano un nuovo corpo per sopperire alla perdita di Lenny, prendendo di mira la sorella di David, Amy.
Se la prima metà dell’episodio è volutamente “goffa”, in quanto crea trame parallele che si rivelano essere radici di un’unica storia, la seconda parte è un pezzo di cattiveria che ferisce sia Lenny che David. Le scene di Amy che diventa Lenny sono orripilanti, malgrado l’iniziale – fisiologica – perplessità riguardo al reinserimento nella storia da parte della sorella del mutante.
“La mossa Kansas City è quando loro guardano a destra e tu vai a sinistra“
Nel grande schema delle cose sembra che Farouk sia riuscito a sferrare un colpo decisivo ai danni di David. Lenny pensava di averla scampata uscendo dalla testa di Oliver per entrare in un nuovo corpo, non facendo i conti col fatto che lo Shadow King avrebbe certamente pensato di ricavare qualcosa dalla situazione, fosse anche solo una dimostrazione del suo potere. Di riflesso, tuttavia, potrebbe a sua volta essere troppo concentrato sulla guerra con David e sul riottenimento del suo corpo per prendere sul serio le minacce di Oliver (“I will kill you“). In tal caso, la Kansas City Shuffle gli si ritorcerebbe contro. Proprio come accade in Slevin.
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