ATTENZIONE: evitate di proseguire nella lettura se non volete avere spoiler su Litvinenko: Indagine sulla morte di un dissidente.
La miniserie in quattro puntate prodotta da ITV Studios, in onda su Sky Atlantic e disponibile in streaming su Now è tratta da una storia vera.
Quanto vediamo trasmesso si basa su ricerche approfondite, interviste e testimonianze pubbliche. Alcuni nomi sono stati cambiati. Alcune scene e personaggi, per fortuna, sono stati creati ai fini della trasposizione filmica. Per fortuna che qualcosa, nell’insieme, è stato inventato perché queste quattro puntate sono fredde e affilate come una lama di coltello e fanno male.
Aleksandr Val’terovič Litvinenko è, apparentemente, un uomo comune che rientra a casa. Prima di aprire la porta osserva dalla strada la moglie, Marina, e il figlio, Anatoly, che stanno facendo i compiti. Li osserva per lunghi istanti con tenerezza perché sono tutto quello che ha, lì a Londra, sua patria d’esilio.
Durante la cena Litvinenko ha qualcosa da festeggiare. Finalmente, gli impiegati di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II, hanno dichiarato lui e la sua famiglia cittadini britannici. Mai una gioia, come si dice in gergo. Litvinenko, infatti, nel corso della serata comincia a sentire forti dolori allo stomaco che lo portano a rigettare la cena e con essa sangue. Non occorre essere un medico per capire che qualcosa non va.
Due settimane dopo Brent Hyatt e Clive Timmons, agenti di Scotland Yard raggiungono il capezzale dell’uomo, ormai irriconoscibile. È magro, pallido, senza capelli né sopracciglia. Attaccato ai macchinari medici risponde alle domande degli investigatori con un filo di voce. Confessa di esser stato avvelenato indicando chiaramente chi sia il mandante. Senza mezzi termini, senza peli sulla lingua. Litvinenko punta il dito contro un uomo preciso, potente, pericoloso.
Gli investigatori hanno, giustamente, dei dubbi ma qualcosa, negli occhi del russo, nel suo modo di parlare, nella fermezza con la quale accusa, li convince che l’ex agente del KGB e successivamente FSB non stia mentendo, non sia un mitomane in cerca di attenzioni.
I due poliziotti, allora, cominciano a raccogliere le deposizioni di Litvinenko. Registrano meticolosamente su il giorno e l’ora durante la quale avvengono gli interrogatori, cercando di ricostruire quella che apparentemente era iniziata come una giornata felice ma che si è conclusa nella maniera peggiore, con una corsa in ospedale.
Litvinenko, seppur travolto da una letale malattia che lo divora, letteralmente, dentro, è preciso, fornisce dettagli, rende utili le sue ultime ore affinché la polizia inglese possa indagare sulla sua, prossima, morte. Non ha paura per sé perché è un killer, lo ammette lui stesso. Teme, semmai, le ritorsioni su sua moglie e suo figlio ma la denuncia che sta facendo al mondo ha una tale portata che va oltre la vita dei comuni mortali perché colpisce il cuore del potere politico russo.
La storia di Sasha Litvinenko è vera. Nel dicembre del 2006 i giornali di tutto il mondo cominciarono a parlare di quest’uomo, sdraiato nel letto di un ospedale di Londra, emaciato e sofferente, a petto nudo e con quel lenzuolo verde dietro le spalle. Come spesso accade ne parlarono bene e ne parlarono male. Chi si schierò dalla sua parte e chi, invece, lo bollò come mitomane. Nel corso delle settimane la storia diventò sempre più grossa arricchendosi di dettagli non da poco. Finché, un giorno, non vennero fornite al mondo le armi che lo stavano uccidendo: una teiera, un tè e del polonio, un materiale radioattivo presente in natura, in particolar modo in Russia.
La storia raccontata nella miniserie di Sky parte da questi fatti e propone allo spettatore il lavoro di indagine della polizia londinese. Non è un giallo perché gli elementi classici ci sono tutti. C’è subito un problema: chi si deve occupare delle indagini? Non trovandoci negli Stati Uniti, dove ogni agenzia vuole avere il controllo dell’indagine, la questione è presto risolta. I due poliziotti della omicidi che per primi hanno raccolto le deposizioni del dissidente verranno integrati in una squadra dell’antiterrorismo. Tra gli agenti c’è subito collaborazione e nessuna gara per ottenere il primato. Tutti concorrono per assicurare alla giustizia i colpevoli dell’omicidio di un cittadino britannico, a tutti gli effetti.
La parte investigativa è molto interessante. La ricerca del luogo zero, il luogo, cioè, dov’è avvenuto l’avvelenamento, serve a ricostruire con minuzia chi abbia incontrato Litvinenko. Una volta stabilito il posto, grazie alla testimonianza del russo, è facile capire chi possa essere il colpevole. Il tutto grazie all’alta radioattività del polonio che resta sui mobili, sulle tazzine da tè e persino sui sedili dell’aereo, proveniente da Mosca.
Una volta stabilito chi sia l’esecutore materiale dell’avvelenamento occorre interrogarlo ed è a questo punto che la faccenda si fa davvero seria.
Litvinenko è ormai morto. È stato sepolto in una bara di piombo per evitare che le radiazioni si espandano in città. La situazione rimanda immediatamente alla tumulazione dei pompieri che si vede in Chernobyl. Sebbene le immagini siano poche, sono davvero significative. I dettagli evidenziati dalla sapiente regia di Jim Field Smith sono commoventi, danno un senso di impotenza e provocano al tempo stesso rabbia e frustrazione.
Emozioni forti che vengono fuori anche durante tutta la trasferta degli agenti inglesi a Mosca. Una trasferta che sa di presa in giro fin dal primo sguardo che l’assistente del procuratore di Mosca lancia agli investigatori britannici. Una presa in giro che culmina, malgrado le promesse profuse, con la consegna prove non valide ai fini di un processo.
Litvinenko: Indagine sulla morte di un dissidente è una serie confezionata molto bene. Sebbene sia stata messa in onda in un periodo difficile non scade mai nel facile propagandismo, preferendo concentrarsi sui fatti. L’ombra del Cremlino è onnipresente, pesa come un macigno ma nessuno degli investigatori in campo sembra preoccuparsene. E quando l’investigatore Brian Tarpey, in ospedale a Mosca, si sfila la tuta protettiva di fronte ai colpevoli compie un gesto che rappresenta la disperata voglia di proseguire, contro tutto e tutti, alla ricerca della verità.
La prima puntata è praticamente incentrata su Litvinenko, interpretato magistralmente da David Tennant (Doctor Who). L’attore inglese è capace di trasmettere intensamente la sofferenza di un uomo che sta morendo ma che non ha finito di lottare. Anzi, proprio dal letto di ospedale raccoglie le ultime forze per raccontare la sua storia prima di venir zittito dal polonio. Pur essendo una storia già conosciuta la fatica e il supplizio che Tennant mette in scena sono così reali da fare accapponare la pelle.
Al suo fianco troviamo Marina, la moglie, interpretata da Margarita Levieva (The Lincoln Lawyer). Dell’interpretazione dell’attrice russa sorprende soprattutto il fatto di come piano piano, minuto dopo minuto, diventi protagonista della scena senza, praticamente, fare nulla.
La sua figura è, all’inizio, quella di una donna piangente, seduta sulla sedia fuori dalla stanza del marito morente. Ma nel corso delle puntate si trasforma e diventa quella di una donna alla quale non importano gli intrighi politici tra la Gran Bretagna e la Russia. Lei vuole ottenere giustizia per sé, per suo figlio e per suo marito. E si muove con la cautela di chi non sa che pesci pigliare, tra una minaccia e l’altra. Marina lotta contro gli amici russi in esilio che la vogliono bandiera della loro lotta contro il potere di Mosca e allo stesso tempo lotta contro gli amici inglesi che, una volta chiuso il caso, passano ad altro.
Marina rivendica il diritto alla vita e alla felicità che l’è stato negato e lo fa compiendo errori in buona fede. La sua figura è umana, terrena, molto concreta. Lo sguardo che lancia alla corte inglese giudicante non è di quelli che implorano e supplicano. Ha dignità e convinzione da vendere.
Che sono, poi, gli stessi argomenti degli agenti di polizia in campo. Ciascuno ha i suoi pregi e i suoi difetti. Prendono il caso con la giusta serietà e si propongono di ottenere le migliori prove per garantire alla giustizia i colpevoli. Ma non essendo implicati personalmente, a parte Brent Hyatt, interpretato da Neil Maskell (meraviglioso in Utopia), una volta concluso il loro lavoro non posso fare altro che aspettare e sperare.
Litvinenko: Indagine sulla morte di un dissidente ha il gradissimo pregio di essere asciutta e di limitarsi, il più possibile, ai fatti. Non dissemina in giro opinioni non richieste ma, con quello che ha, arriva alle conclusioni più ovvie e scontate: che contro certi poteri forti c’è poco da fare.
La drammatizzazione di un fatto che, all’epoca, intrigò l’opinione pubblica perché ricordava quegli omicidi che solitamente si vedono nei film, è ben riuscita perché non si prende la responsabilità di fungere da grimaldello emotivo in questo periodo così difficile. La scelta di raccontare una storia senza darle una connotazione politica è lodevole. Non sarà un capolavoro ma la serie prodotta da ITV Studios è interessante, piacevole, avvincente e intrigante il giusto per incollare lo spettatore allo schermo e lasciarlo soddisfatto alla fine della visione.