Inversamente proporzionale ai suoi tempi d’attesa, l’arrivo di Love Death & Robots è stato tanto desiderato quanto fugace. Composto da 9 episodi, uno in più rispetto alla seconda stagione, il terzo volume di Love Death & Robots attesta la riconferma della serie per l’accuratezza delle sue grafiche – il cui primato è indiscutibile – trascurando una maggiore attenzione a quell’assortimento tematico che mai come nella prima stagione è riuscito a sorprenderci, senza però mai più ripresentarsi. Le promesse d’altronde erano proprio queste, e Love Death & Robots non ha esitato affatto a rispettarle al tempo del suo ardente debutto, finendo poi per lasciarle un po’ in disparte come si fa con gli ultimi punti della to do list. L’offerta irrinunciabile era quella di un vastissimo assortimento di stili registici abbinati ad altrettante espressioni narrative. Se nei 17 episodi della prima stagione si è parlato di molto più che amore, morte e bilioni di robots, nella seconda – come anche nell’ultimissima terza stagione – lo specolo della sua creatività si è andato a dilatare notevolmente in campo grafico, e si è invece ristretto sul piano dell’estensione narrativa, favorendo solo pochi argomenti. Se Zima Blue e l’estetica dell’arte rappresenta il punto apicale della prima stagione, il terzo volume di Love Death & Robots lascia invece spazio a mostri sconosciuti provenienti da mondi lontani e guerre sanguinose, inevitabili e incomprensibili allo stesso ironico tempo.
A muovere le fila di Love Death & Robots sono le realistiche distopie a cui la serie prodotta da David Fincher ci ha ben abituati.
Metafore animate in uno spettro di CGI a farci da monito, ritraendo il nostro più vicino e crudele futuro: quando il ‘ci penserò domani’ suona solo come la minaccia di una condanna ultraterrena. Ancora più critica nei confronti della società, la terza stagione di Love, Death & Robots lascia un terzo del suo palinsesto in pasto a un’ironica provocazione, scegliendo coscientemente di dedicare il resto dei suoi episodi al nero e truce viaggio senza ritorno verso il biasimo del nostro presente. Il collasso del pianeta terra narrato nei due corti più comedy, ‘Tre robot: strategia d’uscita’ e ‘La notte dei minimorti’, diventa motivo di facile ironia, a sottolineare quanto e quanto spesso vengano sottovalutate la tematica ambientale, le ingiustizie sociali e l’irrazionale propensione bellica della nostra realtà. Quella stessa lotta con cui nei successivi episodi veniamo tartassati: combattimenti spietati tra creature aliene, mostri contro mostri in una cornice del tutto antitetica e splatter q.b. sono i tre ingredienti di una narrazione sì incisiva ma troppo ricorsiva. Di sciabolate grondanti sangue e urla alla Tekken si sono nutriti buona parte dei nove episodi della terza stagione di Love, Death & Robots, e per quanto il fine sia sicuramente nobile, niente riesce a togliermi dalla testa che alcune puntate partano dallo stesso incipit narrativo, seguano una costruzione analoga e pur sviluppandosi in modo diverso finiscano prevedibilmente per consegnarci la stessa identica morale.
Se ‘La notte dei minimorti’ ci è parso un bellissimo e divertente delirio, a farci provare un forte senso di inquietudine ci hanno pensato ‘Un brutto viaggio‘ e ‘Jibaro’, il primo da David Fincher e il secondo da Alberto Mielgo. Probabilmente, è con questi due episodi che la terza stagione tocca il suo punto apicale consegnandoci estraniazione, concitata azione e nessunissima idea di cosa sarebbe successo nel minuto seguente. Simile ai libri di Lovecraft per stile e per ambientazione, l’episodio diretto dal produttore di Mindhunter cresce di secondo in secondo arrivando al diciassettesimo minuto incredibilmente in fretta, lasciandoci spiazzati dal suo angoscioso finale. Dello stesso creatore dell’amatissimo episodio della prima stagione di Love, Death & Robots ‘La Testimone’ (The Witness) è invece Jibario, facilmente paragonabile alla precedente opera di Mielgo sia per lo stile dell’animazione che per la scrittura dell’episodio. Uno stile frenetico e disturbante, nocivamente romantico e imprevedibile: semplicemente tutto ciò che ci aspettiamo da Love, Death & Robots, senza esclusione di colpi. Avarizia, egoismo e ira sono i mostri dei nostri tempi e la cupa narrazione del terzo volume della serie non fa che ricordarcene in ogni singolo ombroso frammento in modo quasi liturgico, come uno stanco mantra la cui costante ripetizione rischia di fargli perdere (volontariamente e ironicamente) interesse.
Decisamente più concentrato sull’ineccepibilità grafica – senza ombra di dubbio ai suoi massimi storici – che sulla variazione e sull’approfondimento contenutistico, il terzo volume della serie antologica di Netflix offre qualche saltuario guizzo geniale per poi sprofondare nuovamente nel monotono girone della sua stessa ricorsività. Una comfort zone da cui Love, Death & Robots dovrebbe cominciare a guardarsi bene, onde evitare un “effetto Black Mirror” indesiderato. Attimi da cardiopalma, feroci morse allo stomaco e disgustosi lapilli di varia e stravagante natura ci hanno accompagnato per la sempre troppo breve durata della terza stagione della serie che, nonostante qualche incertezza e le critiche mosse, non ha ancora smesso il suo proficuo e irriverente gioco allo stupore con cui ormai da tre anni genera hype. Cosa ne sarà della nostra galassia e di Love, Death & Robots ancora non abbiamo la fantasia di immaginarlo, una cosa però è certa: i gatti conquisteranno il mondo.