Conosco davvero le persone che ho intorno? Sono realmente sicura che siano come le immagino? E se un giorno mi dicessero che uno dei miei affetti più cari – magari la mia migliore amica o mia sorella – è indagato per omicidio, io come reagirei? Queste domande sono passate e ripassate innumerevoli volte nella mia mente durante la visione dei quattro episodi di Madre perfetta, co-produzione francese, tedesca e belga approdata in Italia su Netflix il 3 giugno. Un’immersione nella storia di una famiglia che si ritrova di punto in bianco nel bel mezzo di una tragedia, un incubo che la porterà a doversi confrontare non soltanto con le difficoltà del momento ma anche con tutte le scelte del passato che hanno portato fin lì.
Dalla realtà alla fantasia
Madre perfetta è tratta dal libro The perfect mother della giornalista e scrittrice Nina Darnton, a sua volta liberamente ispirato alla storia di Amanda Knox e dell’omicidio di Meredith Kercher. A questo punto direi che la somiglianza tra una giovane Amanda e l’attrice Eden Ducourant, co-protagonista della serie, potrebbe essere tutt’altro che casuale. Il libro racconta la storia di Emma, una studentessa americana che si trova in Spagna per un periodo di studio all’estero. Nella serie Emma lascia spazio ad Anya, che da Berlino si è trasferita per studiare a Parigi, città d’origine di sua madre Hélène. La loro sembra in tutto e per tutto una famiglia da ammirare: sono belli, benestanti, felici, si vogliono bene e sembrano non avere nulla da invidiare alle famiglie degli spot della Mulino Bianco. Ma si sa, non è tutto oro ciò che luccica, e in men che non si dica la famiglia perfetta viene scossa da un vero e proprio uragano che ne minerà irrimediabilmente le fondamenta.
Quell’uragano è l’omicidio di Damien Carnau, rampollo di una ricchissima famiglia parigina che viene trovato ucciso in casa sua. I sospetti dell’omicidio ricadono proprio su Anya, che aveva passato la serata con lui, prima in discoteca e poi nella casa che sarebbe diventata di lì a poco la scena del crimine. Quando Anya avverte sua madre di dover andare a deporre alla polizia, Hélène non esita un attimo e vola da Berlino a Parigi per sostenere sua figlia e soprattutto per scagionarla, ripetendo milioni di volte frasi diverse che possiamo riassumere in “non può essere stata lei”. Hélène è assolutamente certa dell’innocenza di sua figlia e per provarla ha intenzione di percorrere ogni strada possibile, chiamando come avvocato il fidanzato dei tempi dell’Università – con cui ha qualche conto in sospeso – e portando avanti una specie di indagine parallela. Da questo momento in poi parte un racconto che si snoda tra Berlino e Parigi, la narrazione dell’indagine e contemporaneamente delle dinamiche di una famiglia che sembra perfetta ma in realtà proprio non lo è.
Madre perfetta o figlia perfetta?
Prima ancora che Anya cominci a raccontare la sua versione dei fatti, Hélène è fermamente convinta dell’innocenza di sua figlia. Anya, la sua bambina, non potrebbe mai fare una cosa del genere. Mai, per nessun motivo al mondo. Anya è una brava ragazza, e soprattutto non mente. Queste solide convinzioni sono messe alla prova in diverse occasioni nel corso della serie, ogni volta che la polizia trova nuovi elementi per le indagini e Anya si vede costretta a cambiare la sua versione dei fatti, perché le cose proprio non tornano. Sono almeno tre i racconti che la ragazza fa di come siano andate le cose quella notte, passando da estranea a sempre più presente nei fatti, ma sempre come vittima e soprattutto mai come mano che ha attivamente accoltellato Damien. Ogni volta che Anya dà una nuova versione, Hélène si ripete che è quella giusta, che sua figlia non dice bugie, che tutti gli sforzi fatti nel crescere una ragazza con la testa sulle spalle non sono stati vani. Non può essere stata lei.
Ma il fatto che Anya abbia ucciso o meno Damien – pur restando la ricerca dell’assassino un fattore fondamentale – non cambia una grande verità: nessuno è perfetto. Non è perfetta Anya, che sforna una versione dei fatti dopo l’altra, e non è perfetta Hélène, che proprio non riesce ad accettare l’idea che la sua famiglia possa non essere come lei ha sempre voluto vederla. Una donna che cambia città, addirittura Paese, per sfuggire a una madre con la quale ha un rapporto difficile, fa di tutto per far sì che lo stesso rapporto non si ricrei dopo essere diventata madre a sua volta. Si vogliono evitare gli errori del passato, si cerca di essere il genitore che non si ha avuto. Ma, concentrandosi nella creazione della famiglia perfetta, Hélène ha dimenticato di comunicare con i suoi figli, con suo marito, rendendosi complice della definizione di dinamiche tossiche almeno tanto quanto quelle nelle quali era cresciuta lei. Anya le apre gli occhi, e quasi contemporaneamente anche Lukas, suo fratello, a quasi mille chilometri di distanza fa lo stesso con suo padre. Quello in cui vivono è un sogno, una fantasia, un mondo che in realtà non esiste e del quale – più che protagonisti – sono tutti vittime.
Il dubbio
Madre perfetta riesce a fare in quattro episodi quello che molte serie faticano a realizzare anche in un lasso di tempo ben più lungo: stimola una riflessione. Da questo punto di vista la storia è fondamentale, perché sia gli eventi che il modo in cui sono raccontati – seguendo la narrazione del crime e del thriller che lasciano qualcosa di irrisolto fino all’ultimo secondo – permettono di essere sempre lì, con l’attenzione (e la tensione) a mille. Ci sono un paio di passaggi narrativi che ho trovato un po’ scontati, e oserei dire anche superflui per la storia in sé e per quello che vuole comunicare al pubblico, primo fra tutti il ruolo dell’avvocato nella vita di Hélène. La storia però nella sua totalità funziona, ha una sua coerenza interna e porta lo spettatore esattamente dove vuole, vale a dire a mettersi nei panni della “madre perfetta”. Panni che si rivelano piuttosto stretti.
Se la vita ci mette davanti a una situazione molto più grande di noi, facendo crollare le nostre sicurezze come un castello di carte al minimo soffio, dubitare di tutto diventa forse l’unica certezza. Se la realtà sembra così diversa da come ci viene descritta dalle persone che amiamo – e da come ce la raccontiamo noi stessi – allora forse ci tocca aprire l’occhio che abbiamo sempre preferito chiudere e guardarla per intero. Madre perfetta innesca il meccanismo del dubbio, nella sua protagonista come in noi. E una volta terminata la serie, la domanda resta: chi fra le persone che ho attorno sarebbe capace di uccidere qualcuno?