Chicago, la chiassosissima famiglia McCallister è in fermento per la partenza alla volta di Parigi dove, riuniti, trascorreranno le vacanze di Natale. La mattina della partenza, nella confusione generale, per la fretta dimenticano una sola piccola cosa: Kevin. L’ultimo di cinque fratelli, ad appena otto anni, è stato abbandonato in un’enorme casa. Prendete dunque un’idea semplice; scegliete il bambino giusto; aggiungete uno dei traumi collettivi infantili più radicati e angosciosi; cospargete il tutto con tante risate e le note avvolgenti di John Williams (Star Wars) e il classico di Natale per tutta la famiglia è servito. Ma è riduttivo considerare Mamma, ho perso l’aereo (Home Alone) solo un film natalizio per bambini. Il film di Chris Columbus che dal 1990 svezza eserciti di fanciulli e fanciulle non si rivolge solo ai bambini: è una storia per tutti che parla al bambino che vive ancora in noi. Al di là del significato che attribuite alle festività invernali, e andando oltre il sentimento religioso o all’odio incondizionato stile Grinch, questo periodo concede, anche solo per poco, la libera uscita al bimbo che si nasconde in ognuno di noi. E Mamma, ho perso l’aereo, come il richiamo selvaggio di Jumanji, ci attira ogni maledetto 25 dicembre con la promessa di riportarci a quell’età dove una cantina buia era la preoccupazione più grande. È impossibile resistere a un pellicola diventata subito un cult, soprattutto perché da oltre trent’anni invade i cataloghi delle piattaforme streaming, come di Disney+, e i canali in chiaro. È un appuntamento annuale irrinunciabile, certo, ma con il nostro lato fanciullesco. Non importa quanti anni abbiamo, che siano trascorsi 31 anni e che lo abbiamo divorato famelici ben oltre le 31 volte: Mamma, ho perso l’aereo è sempre attuale, non invecchia né stanca.
Non è nostalgia, è desiderio di riconnetterci con il bambino che è in noi
Una commedia per la famiglia, senza la famiglia, suggeriva il claim. La trama è arcinota. Perfino coloro che non hanno mai visto il film scritto da John Hughes (Beethoven, Miracolo nella 34° strada) e diretto da Chris Columbus (Harry Potter, Mrs. Doubtfire) conoscono le rocambolesche avventure casalinghe di Kevin McCallister (interpretato, anzi, incarnato alla perfezione da Macaulay Culkin). Incredibile ma vero, in mezzo a noi vagano delle figure mitologiche, da cui stare alla larga, che ancora non conoscono uno dei classici intramontabili della cultura pop occidentale. La definizione di classico sfugge ormai a ogni definizione e rappresenta un termine sempre più abusato. Eppure, in un’accezione profonda e archetipica, classico è l’aggettivo che meglio si addice a Home Alone.
Sin dall’esordio al cinema, avvenuto il 16 novembre 1990, il film costato appena 18 milioni di dollari registrò in pochi mesi un record d’incassi: 476.684.675 dollari in tutto il mondo di cui la metà solo negli USA. Non conquistò solamente i bambini dell’epoca, Mamma, ho perso l’aereo stregò perfino gli adulti. E, nonostante il divario generazionale (per non parlare dei continui sequel e remake che si ostinano a produrre), ancora oggi è uno dei film natalizi più amati, anche dalla Gen Z e Alpha. Non rappresenta certo un cult per innovazione o qualità. A onor del vero, la critica si è sempre espressa a favore, ma raramente ha speso parole d’elogio troppo entusiastiche. Ad esempio, il critico dell’Herald, Bill Cosford, all’epoca scrisse che si trattava di una commedia con una trama credibile e dei momenti divertenti, ma che poteva fare di meglio. L’aggregatore Rotten Tomatoes totalizza un misero 66% della critica contro un 80% del pubblico mentre su IMDb la pellicola ha ottenuto il 7.6/10. Caryn James del New York Times la salutò come una Holiday Black Comedy For Modern Children, ma aggiunse:
Come chiede una bambina in Home Alone: “Babbo Natale deve passare la dogana?”. Questo è lo spirito natalizio dietro questo film sorprendentemente affascinante, che potrebbe essere la prima black comedy natalizia per bambini. Ma la prima metà del film è piatta e non sorprende come suggerisce la sua piccola premessa.
Oppure Dave Kehr del Chicago Tribune che, concedendo tre stelline su cinque, scriveva:
Con le sue citazioni da “Miracle on 34th Street” e “It’s a Wonderful Life”, “Home Alone” sembra autoproclamarsi come un classico del Natale. E sebbene sia troppo imbarazzato nel suo sentimentalismo (Kevin, che in precedenza ha desiderato la famiglia lontano, scopre di amarli e di aver bisogno di loro), il film in qualche modo porta a termine il lavoro. Se solo Hughes imparasse a rilassarsi, a smettere di vendere per un minuto e a concedere ai suoi personaggi un po’ di respiro.
Eppure, caro Dave Kehr, Home Alone lo è diventato eccome un classico di Natale!
La commedia, certo, non è né perfetta né sofisticata ed è facile scovare qualche piccola incongruenza qua e là. Ad esempio, come fa Kevin a ordinare la pizza se le line sono fuori uso? Ma difettucci trascurabili e critica brontolona a parte, il film ha stregato milioni di spettatori e si è imposto nell’immaginario collettivo diventando un inno per almeno una generazione. Il segreto del successo è semplicissimo, tanto quanto la sua trama scorrevole e cristallina. Il film è un viaggio intimo e confidenziale che si sviluppa su un sentimento collettivo. È un grido liberatorio e un invito a voler essere liberi e responsabili in un mondo dove “i grandi” prendono le decisioni al posto nostro e ci trattano “come feccia”. Gli stessi adulti che puntualmente sbagliano e dimostrano di non sapere cosa stanno facendo il più delle volte.
Perché in quella casa non viene abbandonato solo Kevin. Ciascuno di noi si ritrova faccia a faccia con se stesso in un confronto nudo e onesto con i propri sogni, le proprie frustrazioni e paure che può rivivere attraverso lo sguardo del protagonista. Identificarsi con Kevin è facile per un bambino, ma è ancora più facile per un adulto che ha l’occasione di rispolverare quel sentimento ancora nascosto. Così, quel piccoletto dagli occhi vispi finisce per rappresentare tutti noi perché ognuno, almeno una volta, si è sentito come lui. In quella enorme casa (al 671 di Lincoln Avenue, Winnetka, Illinois, entrata a pieno titolo nella storia del cinema) abbiamo dovuto fare i conti con l’insofferenza verso quelle regole apparentemente insensate che gli adulti ci imponevano. Poco importa se la prima volta che abbiamo visto Home Alone avevamo sei, tredici o quarant’anni: la frustrazione, quel senso di inferiorità e la sensazione di sentirci piccoli e ignorati dai “grandi” ci accompagnerà per sempre, incollata come una gomma masticata a ogni tappa della nostra vita.
Attenzione a ciò che desideri, perché potrebbe avverarsi
Come può il desiderio di un moccioso trasformarsi nel suo incubo peggiore? La sera prima della partenza per la vacanza in Francia, infastidito da ogni membro della sua famiglia, Kevin spera di vederli sparire uno a uno. Non ne può più di loro, della tirannia degli adulti e delle angherie che subisce dai fratelli più grandi, come Buzz (Devin Ratray). Chiunque gli impedisce di esprimersi e di fare quello che vuole. Un momento è considerato troppo grande per fare i capricci, l’altro viene rimproverato perché è troppo piccolo per prendere delle decisioni. Ecco quindi che la dinamica classica che muove ogni storia di formazione, quella che segue il percorso travagliato di crescita del protagonista verso la sua completa trasformazione in individuo responsabile, si fonde con i topoi della commedia e del tradizionale film natalizio regalandoci una storia universale, refrattaria alle mode e al tempo.
Ogni bambino (e non) si è sentito soffocare almeno una volta dalla propria famiglia. E chiunque l’abbia persa, anche solo per pochi giorni, sa quanto sia importante. Kevin non odia sua madre, odia quello che rappresenta. Odia sentirsi piccolo e impotente. Il miracolo di Natale, che contraddistingue ogni storia natalizia e che ha tanto desiderato, gli regala un soggiorno senza i suoi cari. Questi non sono spariti per magia, lo hanno dimenticato a casa come una valigia. Perciò Kevin prima fa i conti con il senso di colpa per averli fatti sparire, poi soccombe all’agghiacciante senso di abbandono. Ma non c’è tempo, pur essendo solo un bambino deve prendersi cura di sé e della sua casa. Come recitava il trailer:
Ieri era solo un bambino, oggi è un sistema di sicurezza domestica.
Finalmente quel mocciosetto precoce ha la possibilità di dimostrare che sa cavarsela da solo. Ma prima dovrà togliersi qualche sfizio. Quello che vediamo fare a Kevin è tutto fuorché credibile. Nessun ragazzino riuscirebbe mai a farla franca con due truffatori professionisti (anche se immensamente scemi come Marv e Harry, interpretati da Joe Pesci e Daniel Stern). Due adulti più infantili di un ragazzino delle elementari. Ma è questo il punto e in questo risiede la credibilità della storia. Il protagonista si comporta esattamente come ogni bambino e bambina ha sognato di fare almeno una volta nella vita. Mangiare cibo spazzatura, saltare sul letto, scivolare dalle scale o guardare indisturbato un film per adulti, come Angels with Filthy Souls. Il black-and-white gangster che recita: “Tieni il resto, lurido bastardo!”. In realtà si tratta di un film inventato, di cui è stata girata una sola scena, appunto quella che Kevin userà per spaventare il fattorino. L’attore protagonista è Ralph Foody, il quale ritornerà in Mamma, ho riperso l’aereo in un altro meta-film intitolato Angels with Even Filthier Souls.
La libertà è sopravvalutata
Risvegliarsi da solo, respirare a pieni polmoni la libertà e poter fare cosa vuole, quando vuole manda Kevin in uno stato di sovraeccitazione, complice anche l’assunzione incontrollata di zuccheri. Ma la favola finisce subito. L’euforia viene spazzata via prima dalla noia, poi dalla paura di venire rapinato dai “Wet Bandits” (o peggio). La consapevolezza di essere rimasto per davvero da solo non tarderà ad arrivare. Così si ritroverà a fare il bucato e perfino la spesa. E tutte quelle regole ridicole che “i grandi” gli imponevano, alla fine, non sembreranno più così assurde, ma saranno delle misure necessarie per sopravvivere. In Home Alone ritroviamo tutto. C’è Dickens, con il vecchio Marley (Roberts Blossom). C’è avventura, conflitti generazionali e di classe; ci sono riappacificazioni, perdoni, rimpianti, lezioni di vita e l’immancabile canto di Natale. Ma soprattutto, ci sono tante risate pure e genuine, proprio come quelle di un bambino vispo dagli occhioni sinceri con la passione per la pizza al formaggio. Dopo aver visionato ben duecento bambini per il ruolo del protagonista, su suggerimento di John Hughes che lo aveva già diretto in Io e zio Buck, Chris Columbus scelse finalmente quella peste adorabile di Macaulay Culkin.
Indubbiamente la recitazione del giovanissimo attore, a volte, risulta goffa e sgraziata. Ma è lui il conduttore di elettricità che sorregge l’intera impalcatura narrativa. E senza il suo volto e il suo carisma Mamma, ho perso l’aero sarebbe stato un film ben diverso. Ad appena dieci anni, Culkin è riuscito a rendere il suo personaggio strafottente, ma dolce; scalmanato, ma riflessivo; un bambino impertinente con la faccia da schiaffi, ma simpatico. Tralasciando il fatto che “da solo” ha sorretto un intero film. Al suo fianco, indimenticabili, troviamo Joe Pesci (fresco di Quei bravi ragazzi), in un ruolo comico insolito per la sua carriera, e la mamma, Catherine O’Hara (Beetlejuice), il cui volto ha rischiato di entrare in conflitto con quello di nostra madre.
Un caposaldo della cultura pop
Mamma, ho perso l’aereo ha rubato il cuore di bambini e non e si è portato nella sua enorme casa una vagonata di premi e nomination, tra cui il BMI Film & TV Award come Miglior colonna sonora a John Williams; il British Comedy Awards come Miglior film commedia e il Chicago Film Critics Association Award per la Miglior performance rivelazione a Macaulay Culkin. Due anni dopo, nel 1992, arriverà Home Alone 2: Lost in New York e con esso tutta la sequela di remake discutibili, come l’ultimo del 2021 intitolato Home Sweet Home Alone. Ma di Kevin McCallister può essercene solo uno e nessun surrogato reggerà mai il confronto. Negli USA, la pellicola ha detenuto per vent’anni il primato come commedia con il maggior incasso di tutti i tempi, fino al 2011, quando è arrivata Una notte da leoni 2.
Mamma, ho perso l’aereo è un film scritto da un adulto che non ha dimenticato cosa significa essere piccolo. Anzi, sembra essere stato scritto con gli occhi di un bambino per i bambini di ieri, di oggi e di domani. Perché in nessun momento l’infanzia viene banalizzata (come spesso si tende a fare nei film per bambini), ma viene sempre raccontata con un’onestà cinica e realistica. Non importa quante volte lo riguarderemo e quante versioni scialacquate sono state prodotte. Home Alone è unico, inimitabile e sarà sempre fantastico.
Non ci resta che salutarvi con un sonoro e indelebile:
Aaaaaaaaaah!