Ieri è sbarcata su Netflix la prima stagione di Maniac. Nuova miniserie diretta da Cary Fukunaga e creata da Patrick Somerville che prende in prestito dal mondo del cinema Emma Stone e Jonah Hill, rendendoli co-protagonisti in una dark comedy dalle tinte distopiche. Il pilot della serie, su cui proveremo a soffermarci, cerca di imprimere fin da subito il suo stile, non disdegnando tuttavia la creazione di un contesto criptico e, conseguentemente, stimolatore di numerosi quesiti.
Vediamo, dunque, cosa hanno provato a dirci questi primi 40 minuti di Maniac (attenzione, SPOILER).
La regia di Cary Fukunaga si è sempre contraddistinta per una minuzia tecnica e stilistica che gli hanno spesso permesso di essere considerato tra i migliori in circolazione. Senza dubbio il suo lavoro più apprezzato finora è stato la prima stagione di True Detective, di cui tutti ricordano il clamoroso piano sequenza di sei minuti e le incredibili riprese. La scrittura di Patrick Somerville, invece, è nuova per la televisione e prova sin da subito a distinguersi per uno sviluppo incrociato tra le vite dei due protagonisti.
Viene introdotta Annie (Emma Stone) di cui non sappiamo assolutamente nulla se non che si rende disponibile alla sperimentazione farmaceutica della Neberdine Pharmaceutical and Biotech a New York. Subito dopo conosciamo Owen (Jonah Hill), su cui la puntata si sofferma in tutta la sua parte centrale fino al primo loro contatto nel finale. Egli è un uomo che ha sofferto e soffre di una forma di schizofrenia che gli provoca diverse allucinazioni.
Gli viene chiesto di testimoniare a favore del fratello (la sua famiglia è proprietaria di un’importante azienda e tutti i figli, tranne lui, sono diventati uomini di successo) in un’udienza penale che vede quest’ultimo accusato di azioni non ancora specificate. Prima di farlo, però, partecipa a questo programma della Neberdine, azienda che promette la risoluzione di tutti i problemi di ogni soggetto attraverso la somministrazione di pillole.
L’introduzione in forma documentaristica, con la voce narrante probabilmente appartenente al Presidente della Neberdine, oltre a essere visivamente intrigante, ci illumina su uno dei temi portanti di Maniac: la connessione. Queste le parole più indicative:
Siamo inconsapevolmente alla ricerca di qualcuno, siamo persi senza connessione.
L’audience è portata a pensare che la connessione che si andrà a creare è ovviamente quella tra Annie e Owen. Tuttavia, le allucinazioni e i deliri dell’uomo ci spingono a fare una legittima domanda: questa connessione è reale? Il comportamento di Annie, palesemente infastidita da Owen, il quale è persuaso dai suoi fantasmi (tra cui un fratello morto o l’alter ego di quello che dovrà difendere in tribunale?) che lei sia la sua complice per “Salvare il mondo“, tradisce un’accondiscendenza che mette in crisi la veridicità di questa connessione.
Lo schema è lo schema, le cose devono andare in quel modo perché è così che il destino ha deciso. Ma siccome quasi tutta la puntata è mostrata dal punto di vista di Owen, tutto entra in discussione. C’è davvero qualcosa da raggiungere, un equilibrio astrale che sarà soddisfatto soltanto se Owen e Annie invadono l’uno la vita dell’altra? È questa la soluzione ai loro problemi? Ce lo diranno le prossime puntate.
Ma una cosa è certa: il titolo, Maniac, in inglese non significa (come potrebbe ingannare la somiglianza) “Maniaco“, ma è un modo per indicare prevalentemente i pazzi in senso ampio. Se tanto mi dà tanto…
Ma non è tutto. Come detto, Fukunaga non è l’ultimo arrivato e usa delle tecniche di ripresa che indicano chiaramente uno scopo e uno stile narrativo ben preciso. Innanzitutto, la telecamera viene utilizzata in alcuni casi come un mezzo rivelatore di una realtà diversa dall’apparenza: quando viene introdotto Owen nella stanza della Milgrim, vediamo inizialmente il suo busto e sembra un normale uomo sottoposto a un interrogatorio. Subito dopo, l’obiettivo scende sotto il tavolo e notiamo il disagio del protagonista che stringe tra le mani un cubo di Rubik, muovendolo continuamente e tradendo una chiara situazione di disagio.
Ancora più interessante è l’uso della telecamera nell’introdurre, nello stesso spazio scenico, Annie e Owen.
Siamo nella parte finale della puntata, nella sala d’attesa della Neberdine e sulla destra, in primo piano, c’è Owen a fuoco. Sentiamo tuttavia in sottofondo la voce di Emma Stone e vediamo una figura sfocata emergere dal corridoio. La messa a fuoco cambia e, adesso con Owen in primo piano ma non vivido, al centro della scena c’è Annie, irritata con una segretaria al banco informazioni.
Questa è la fase in cui l’ultima tematica, quella dello sguardo, irrompe nel pilot di Maniac. Dal momento in cui Owen capisce che è Annie la risposta alle sue domande, inizia un continuo campo e controcampo di sguardi, ammaliati e in estasi da parte di lui, infastiditi e sorpresi da parte di lei.
Maniac chiude il primo episodio, dunque, con parecchi interrogativi. Questa serie, tratta dall’omonima produzione norvegese di Espen PA Lervaag, ha certamente attirato la nostra attenzione. Vedremo alla fine delle 10 puntate cosa saremo in grado di dire.