ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS del film Mickey 17.
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Non è la prima volta che il cinema di Bong Joon-ho lascia il suo pubblico a grattarsi la testa. Forse, di tutta la sua filmografia, Parasite rimane il film paradossalmente più lineare, chiaro e comprensibile. In una parola, il più hollywoodiano. Mickey 17, invece, che vanta un cast decisamente all star, poi di fatto di hollywoodiano non ha nulla. A partire dall’incipit, fino ad arrivare a quel finale poco risolutivo.
Chi si aspettava un thriller sci-fi dai toni distopici rimarrà, probabilmente, deluso. Mickey 17 è un film quanto più lontano si possa immaginare dalla pellicola Premio Oscar. La storia della famiglia Kim che si intreccia a quella dei Park è un dramma violento e feroce. Parasite (disponibile sul catalogo Far East su Prime Video) inizia con toni comici, ma li mette quasi immediatamente da parte scivolando nella tragedia. Allo stesso tempo, però, lo stile adottato lascia molti sottintesi permettendo allo spettatore di lasciarsi coinvolgere dagli avvenimenti in maniera graduale, ma totalizzante.
Mickey 17 è invece chiassoso, satirico, esagerato e, a tratti, persino esasperante.
Facciamo la conoscenza del povero Mickey Barnes quando già le cose si sono messe molto male per lui. Arrivato alla versione 17 di se stesso, Mickey dovrebbe ormai essersi abituato a morire, come ci tengono a ripeterglielo le persone attorno a lui, e invece non è per niente così. Si imbarca per un viaggio interstellare solo per salvarsi la pelle da un gangster che ha intenzione di farlo letteralmente a pezzi. Ironico allora che l’unico modo per fuggire dalla Terra sia quello di candidarsi come “sacrificabile” in una missione di colonizzazione. Ruolo che, come lo stesso nome indica, lo rende praticamente carne da macello per gli esperimenti degli scienziati a bordo della nave.
L’anno è il 2054, la Terra è un pianeta obsoleto e inospitale e il politico Kenneth Marshall è a capo di una missione su Niflheim per garantire la sopravvivenza della specie umana altrove. Un viaggio di quattro anni e mezzo, durante il quale Mickey inizia una relazione con Nasha. Sicura e salda, la compagna gli rimane accanto anche mentre lo avvelenano, bruciano, congelano e uccidono in ogni modo possibile. Mickey diventa la cavia da utilizzare ancora e ancora per sintetizzare il vaccino necessario per respirare sul nuovo pianeta. Ma quando dovrebbe morire, mangiato vivo dagli alieni nativi, Mickey 17 inaspettatamente si salva dando vita a un multiplo.

Da questo momento in poi la narrazione prende una piega totalmente opposta a quanto visto nella prima ora.
La presenza contestuale di Mickey 18 mette in pericolo Mickey 17, ma presto il problema passa in secondo piano. Dopo una lunga digressione sui multipli, sulla loro esistenza amorale e il pericolo che costituiscono, il film si dimentica del suo stesso spiegone. La presenza aliena degli “striscianti” mette a soqquadro la nave, spingendo Kenneth Marshal, il cattivone di questa storia, a prendere misure drastiche.
Ca va sans dire, gli alieni nativi hanno tutto il diritto di vivere dove gli pare e piace, sono assolutamente innocui e sanno persino bluffare. L’essere umano è il solito mostro e Mickey 18 l’eroe che si sacrifica per salvare tutti. Mickey 17 è l’unica versione di se stesso da ora in avanti. E vissero tutti felici e contenti.
Apologia del fallimento
La prima parte del nuovo film di Bong Joon-ho è una critica spietata all’omologazione contemporanea e un’apologia del fallimento. Mickey 17, inetto da manuale, subisce tutto ciò che gli accade. L’amico Timo (lo Steven Yeun della bellissima Beef) lo mette nei guai aprendo una compagnia di macarons a suo nome e facendolo inevitabilmente indebitare con le persone sbagliate. Nasha si interessa a lui tenendolo emotivamente al guinzaglio. Persino con gli striscianti, Mickey si comporta da spettatore passivo che osserva tutto con sguardo ebete.
Ancora sulla Terra, non legge nemmeno per intero l’opuscolo che spiega per filo e per segno cosa voglia dire candidarsi a “sacrificabile”. Zeno Cosini in confronto è l’eroe della propria storia. Eppure, la morale che Bong Joon-ho cerca di spiegare è che il fallimento non va demonizzato, ma celebrato. Morte dopo morte, Mickey avrebbe la possibilità di fare meglio, di evolversi e crescere, ma non coglie mai questa opportunità. Tocca a Mickey 18 portare a galla il carisma, la forza d’anima e persino la rabbia che cova dentro di lui da anni.
Tocca a Mickey 18 ricordagli che non è stata colpa loro se la madre è morta quando erano piccoli. Come detto poco fa, però, Bong Joon-ho cerca e non riesce. Il repentino cambio di direzione nella seconda metà del film, proprio poco dopo l’introduzione dei multipli, non gli permette di approfondire l’argomento né tantomeno di esprimere chiaramente il suo punto di vista sulla questione.

Eco scienza
Nei film di Bong Joon-ho, il capitalismo è un mostro dalle mille facce. A volte si nasconde dietro il sorriso smagliante di un’azienda “green”, altre volte dietro le mura perfette di una villa di lusso. All’omologazione inneggiata da Kenneth Marshall, un po’ Benito Mussolini e un po’ Zap Brannigan, si contrappone la solidarietà degli “striscianti” che accorrono quando uno dei loro piccoli viene rapito e torturato.
L’aveva già fatto diversi anni fa, con un altro film. C’era una volta, tra le montagne della Corea del Sud, una ragazza di nome Mija. Il suo migliore amico? Un gigantesco super-maiale di nome Okja, cresciuto libero tra i boschi e le acque cristalline. Ma il mondo reale non è una fiaba. Okja non è un animale qualunque, è una creazione genetica della Mirando Corporation, una multinazionale che vuole sfamare il pianeta… o almeno, così dicono. In realtà, Okja è un esperimento che l’azienda decide di riprendere per trasformarla in carne da vendere.
Dopo la favola nera di Okja e la parentesi psicologica di Parasite, Bong Joon-ho decide quindi di tornare a trattare della fantascienza per descrivere il mondo di oggi.
Se con la prima opera citata possiamo rintracciare dei rimandi, non c’è invece alcun legame con il film Premio Oscar nel 2020. La natura non è nostra alleata, né nostra nemica. È solo il riflesso delle nostre azioni. Il pianeta di Niflheim diventa inospitale nella misura in cui siamo noi a rendercelo tale. Di pari passo, anche la tecnologia più evoluta non vale a nulla se a evolverci non siamo noi stessi. Mickey 17 parla, quindi, di ecologia, di disuguaglianza e di consumismo (come aveva già fatto anche Parasite), scegliendo questa volta la strada della satira nerissima. Funziona? A metà. Non basta una salsa ottenuta con il sangue di alieni innocenti per scuoterci davvero dal nostro torpore emotivo. Non più almeno.