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Mosaic è un’amarissima utopia

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Nel corso delle settimane precedenti abbiamo più volte fatto riferimento a come la ricerca dell’omicida di Olivia Lake non fosse altro che un pretesto per indagare a fondo la natura dei personaggi di Mosaic. Alla luce delle ultime due puntate si può giungere alla conclusione che le due cose sono collegate: sono state le debolezze dell’uomo, l’egoismo, l’avidità, l’invidia e l’ipocrisia a uccidere la donna.

Per certo non è stato Joel Hurley. Ma procediamo con ordine.

mosaic 1x05 nate henry

Il quinto e penultimo episodio risulta essere senza dubbio il migliore per come è capace di costruire la tensione. Lo si può considerare sostanzialmente diviso in due parti. La prima è incentrata sì sulla svolta definitiva nelle indagini, ma soprattutto sulla figura dello sceriffo Nate. In questa occasione, più di ogni altra, emerge la sua insofferenza nei confronti dell’ex sceriffo, Alan Pape. Nel corso della puntata, la sua ossessione nei confronti di Alan si traduce in un vero e proprio attacco di panico dopo aver discusso con lui, dando quasi l’impressione che la ricerca del vero assassino sia funzionale a dimostrare la sua superiorità nei confronti dell’altro. È probabile, infatti, che l’idea di opporsi a Pape e a tutto ciò che quest’ultimo rappresenta (i “potenti” come Tom Davis e O’Connor, ma anche lo stesso procuratore distrettuale che l’ha umiliato), dimostrando di essere un detective all’altezza e un uomo dotato di spina dorsale, alletta Nate almeno quanto l’importanza di concludere correttamente le indagini.

La seconda parte è invece incentrata sul dilemma etico di Joel.

mosaic joel

In Mosaic Ray Breslin è il nickname che uno dei potenziali sospettati dell’omicidio di Olivia Lake ha utilizzato per il suo indirizzo e-mail. Ma Ray Breslin è, prima di tutto, il personaggio interpretato da Sylvester Stallone in Escape Plane – Fuga dall’Inferno. E il film vien bene come metafora della prigionia (mentale) nella quale è stato confinato il povero Joel Hurley, senza che egli possa venirne a capo. L’uomo, proprio come Stallone nella pellicola, è vittima di un complotto ai suoi danni, in tal caso orchestrato più o meno intenzionalmente, da tutti gli altri personaggi. Joel è prigioniero di ciò che non ricorda e che gli viene imposto di ricordare, in un processo psicologico di alterazione della realtà, che viene compiuto in maniera del tutto inconsapevole.

Tutti credono sia colpevole, ergo anch’egli comincia a crederci. E il suo ricordo dei fatti, annebbiato dall’alcool, viene, dunque, fortemente contaminato. Emblematico in tal senso lo stupendo montaggio sul finale del quinto episodio, in cui Soderbergh mescola realtà e finzione, dando l’idea che sia stato Joel a colpire Olivia, ma al contempo scagionandolo, poiché le sequenze dei colpi dell’uomo sono alternate a quelle in cui la donna viene colpita, non vi è un’unica inquadratura. Diviene molto probabile immaginare che Joel, ubriaco e in preda all’ira dopo il litigio con la scrittrice, abbia distrutto il fienile in cui alloggiava: lì ha preso a pugni qualcosa (ecco spiegato il polso indolenzito), lì ha lasciato le sue impronte sul rastrello, oltre che la maglietta ritrovata col cadavere di Olivia.

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A fare da ponte tra queste due parti vi è un approfondimento dedicato a Laura, la “perfetta” moglie di Joel, che ha una relazione con un altro uomo. Ed è proprio nella speranza di avere campo libero con l’amante che spinge il marito a confessare l’omicidio, insistendo sul concetto di “fare la cosa giusta”.

Bastano 10 minuti del season finale per avere la definitiva certezza che Joel sia innocente. Data la tormentata vita sentimentale di Olivia Lake, non poteva che essere un uomo ad aver posto fine alla sua vita. Un uomo, appunto. Non “un ragazzo”, un toy boy, come sarebbe dovuto essere Joel nell’idea della donna. Per questa ragione non aspettiamo altro che Petra, nel resto della puntata riesca a fare chiarezza sulla vicenda, scagionando l’ex alcoolizzato una volta per tutte.

Ed effettivamente, l’identità dell’assassino non era inimmaginabile: tutto porta a Michael O’ Connor, intenzionato a rilevare la proprietà di Olivia, invano. Ma è qui che Mosaic piazza un twist che spiazza, per quanto, col senno di poi, è da considerarsi inevitabile. Perchè, va ripetuto all’infinito tanto si tratta di un concetto chiave, ciò che abbiamo appreso in questo viaggio lungo sei episodi è che la corruzione dell’animo umano non ha limiti. Al momento propizio anche Petra si rivela per quella che è, un’avida opportunista disposta a tradire Joel, il fratello o qualsiasi altro innocente pur di soddisfare la sua ambizione latente: la Red Room.

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Può essere perchè sono più forti, può essere perchè sono più ricchi, o semplicemente perchè sono più fortunati, ma quelli come loro non perdono mai

Le parole di Alan Pape rappresentano, pertanto, la morale di Mosaic. La spunta sempre il più forte, a scapito del più debole e giusto. Eppure, per quanto tale concezione darwiniana lasci un senso di amarezza e di irrisolto (ed è quello che voleva trasmettere la Serie), si tratta pur sempre di una sensazione sminuita dalla poca caratterizzazione dei “cattivi”, apparsi saltuariamente e contrassegnati da un’immagine fortemente stereotipata. Così come restano in sospeso le sorti di alcuni personaggi per i quali pure erano stati introdotti tematiche di un certo rilievo (su tutti Nate e il suo rapporto con la moglie disabile).

E allora cosa ci rimane di questa esperienza? Resta l’impressionante potenza visiva delle immagini, vedasi quella di Petra nella Red Room, o come alcuni espedienti di montaggio superlativi (il suono che scandisce i tempi del dilemma di Joel sul finale della quinta) alimentino la tensione. Non ci sono altre parole per definire, invece, la regia di Soderbergh, in questi due episodi più che mai ferma sui primi piani dei personaggi, ribadendo per l’ennesima volta la vision della Serie.

E in ultima analisi, cos’è Mosaic? Mosaic è un’utopia, la ricerca disperata, pezzo dopo pezzo, di un qualcosa che non si può raggiungere. E difatti, ogni personaggio, alla fine, resta incompleto, impossibilitato a soddisfare la sua ambizione perchè privato di un tassello, quello decisivo: la fortuna.

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