“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”
Non sappiamo se Sam Esmail, autore, regista e geniale mente dietro Mr. Robot conosca quel capolavoro letterario che è il Gattopardo. Quando il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa andava alle stampe, postumo, Esmail non era neppure nato. In quel lontano 1958 vedeva i suoi natali invece la definizione di ‘gattopardismo’, quella visione cinica e opportunistica di chi diventa promotore del cambiamento per tutelare il proprio potere. Cambiare tutto perché tutto rimanga tale e quale.
Com’è noto Tomasi di Lampedusa di quella tanto vituperata classe aristocratica faceva parte a pieno titolo: Duca, Principe e Barone sono solo alcune delle cariche che rivestì. Eppure non c’era in lui ipocrisia nel tratteggiare quel mondo di trasformisti. C’era solo l’incredibile sensibilità di chi, di quel mondo, faceva parte e accettava ma che pure percepiva nella sua assurdità.
Più o meno apertamente ‘Don’ Giuseppe Tomasi lanciava un grido disperato, senza però essere minimamente convinto che qualcosa potesse realmente prodursi. Che davvero un cambiamento si generasse.
In lui, come in vasta parte della lenta, sorniona e consunta mentalità nichilista del venerando popolo siciliano c’era la colpa del ‘fare’ (“Il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono”) e la consapevolezza di tale colpa. Come pure la convinzione che ogni altra scelta è inutile, che la rivoluzione è funzionale solo al mantenimento dello status quo.
Guardando Irving nella 3×07 di Mr. Robot non possiamo non pensare a Tancredi, l’ironico personaggio del romanzo di Tomasi. Non possiamo non pensare allo stesso autore de Il Gattopardo e al suo grido disilluso. In Irving c’è la consapevolezza di chi in quel mondo di potere vive e prospera. Tutto è strumentalizzato, a ogni rivoluzione “è stato concesso di accadere perché è stata comprata e pagata da gente come loro. Accettalo, non importa quanto impegno ci metti, il risultato finale è sempre questo”.
Tomasi di Lampedusa e Tancredi, Sam Esmail e Irving. Autori e personaggi condividono qualcosa: la consapevolezza del fallimento esistenziale e sociale del nostro mondo.
Sembra passato un secolo da quando Elliot nella prima stagione di Mr. Robot, citando suo padre affermava: “Tutti i giorni cambiamo il mondo, ma perché il cambiamento sia significativo ci vuole più tempo di quanto ne abbiamo. Non accade mai niente in una sola volta”. Ora di quella idea di cambiamento “lento, estenuante e metodico” è rimasta solo la frustrazione del fallimento. Mr. Robot apre gli occhi di fronte al mondo, di fronte alla realtà di un idealismo che crolla sotto i colpi di chi sfrutta il bisogno di rinnovamento per proprio tornaconto.
La Dark Army è solo il volto oscuro di una classe dominante che si riafferma continuamente canalizzando le tensioni sociali in un potere che si rigenera. Già nella 3×01 Elliot, di fronte alla svolta capitalista della sua ‘rivoluzione’ si era lasciato andare a un monologo carico di disillusione: “Hanno fatto diventare questa lotta un prodotto. Hanno trasformato il nostro dissenso in proprietà intellettuale. Hanno televizzato la rivoluzione con pause pubblicitarie”.
Ma il volto consumistico era solo una faccia della medaglia: sull’altro lato c’è il potere che si manifesta attraverso una strategia della tensione. Attraverso attentati apparentemente rivolti a quella stessa classe dirigente che muove le fila. L’immagine dei potenti che fanno festa in un attico il giorno stesso della più grande tragedia statunitense è espressione di un mondo sempre uguale a se stesso. Ogni rivoluzione, ogni cambiamento non fanno altro che allentare la tensione sociale, dare l’illusione di aver ottenuto il miglioramento sperato. E “il risultato finale è sempre questo”.
Gira il mondo e sembra riavvolgersi su se stesso di volta in volta.
Angela inizia il rewind, rimette in piedi quei palazzi distrutti dalle fondamenta, rimette in vita quelle persone. Tutto torna a essere com’era solo per verificarsi ancora, ancora e ancora in un loop infinito e senza scampo. Lo stato mentale della ragazza ormai del tutto distorto (il ‘not tuned’ di cui abbiamo parlato nella scorsa recensione) fa da accompagnamento a una disturbante, angosciosa e claustrofobica realtà che si incarta su se stessa.
Così ogni persona si fa oggetto, strumento la cui sopravvivenza è determinata dalla sua funzionalità alle sfere di potere. Se Elliot è ancora in vita perché Whiterose ha visto in lui il mezzo per completare il suo piano (“Il tempo ci ha portato il signor Alderson”), Mobley e Trenton non servono più a nulla (“Non abbiamo alcun bisogno delle vostre capacità”, afferma il braccio destro del leader della Dark Army). O meglio: non servono più a nulla da vivi. I due hacker diventano così strumento per l’insabbiamento e il depistaggio.
È un mondo cinico e immobile quello delineato da Sam Esmail.
Un mondo diviso in potenti, soldati (strumenti di potere) e idealisti. Dei primi fanno parte White Rose e i festosi personaggi sull’attico. Degli ultimi Mr. Robot, Elliot e i riottosi. Dei soldati invece i membri della Dark Army. In questo episodio più che mai scaviamo a fondo nella mentalità che sta alla base delle azioni di questi ultimi. Tutti sono mossi da una devozione assoluta alla causa, un fanatismo che va sotto il nome di ‘abnegazione’.
“Tutti noi crediamo in qualcos’altro: l’abnegazione. Se servi un potere superiore nessuna azione è più onorevole del suicidio. Non c’è regalo più grande da offrire alla causa che tutto quanto”. Così diventa più chiaro comprendere il suicidio dei ‘soldati’ della Dark Army nel decimo episodio della seconda stagione, come pure nella 2×05 di fronte allo sguardo esterrefatto dell’agente DiPierro.
Nuovo senso assume anche la ‘conversione’ di Angela al piano di White Rose.
Come afferma l’uomo rivolgendosi al CEO della E-Corp, Philip Prince: “Avevi un solo compito: manipolarla, controllarla. Non ci sei riuscito, quindi ho dovuto farlo io”. Insomma, allontanata almeno per ora l’ipotesi di una deriva sci-fi (viaggi nel tempo et similia) che si faceva forte dei comportamenti e delle parole di Angela (nella 3×01 rivolgendosi a Elliot la ragazza allude alla possibilità di tornare indietro, prima che tutto accadesse) e dei membri della Dark Army così propensi al suicidio.
Soldati, idealisti e uomini di potere: i ruoli si accavallano continuamente. Così Elliot si scopre idealista ma anche soldato, strumento della Dark Army. Lo stesso avviene con Angela e con i membri al soldo di White Rose, mossi da una devozione idealistica sincera. Anche gli uomini di potere rischiano di diventare soldati, come nel caso di Philip Price, umiliato in tutto il suo essere.
A conti fatti uno solo sembra allora essere il vincitore: White Rose, il potente primo ministro cinese che manda avanti il suo misterioso progetto senza tentennamenti e ostacoli.
Di fronte a Elliot e Mr. Robot c’è ora una visione ancora più cinica e disillusa. C’è il gattopardesco mondo che cambia solo per rimanere costantemente uguale a se stesso. Solo per vedere riaffermati gli stessi uomini e le stesse classi seppur sotto nomi diversi e nuovi. Quel grido sotteso di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quella disincantata e accorata critica sociale mantengono un’attualità disarmante. Irving come Tancredi e Esmail come Tomasi ci hanno messo di fronte alla triste realtà dei nostri tempi (o meglio di ogni tempo).
Intimamente in ognuno di loro c’è forse la speranza irreale di un cambiamento (reale) che passi attraverso la denuncia dello stato di fatto delle cose. Dietro il cinismo carico di realismo c’è l’amarezza di chi in questo mondo vive e che sente di non poter cambiare. Chissà se Elliot lotterà ancora contro questa visione delle cose o, piuttosto, si unirà a loro guardando alla sua rivoluzione con lo sguardo stanco di chi sa che tutto cambia per rimanere esattamente com’è.