Londra, aprile 2005. L’ultimo atto – il quinto non a caso – di Patrick Melrose si apre con un grande punto interrogativo: quello che Patrick traccia con la penna sul foglio destinato al discorso che terrà al funerale di sua madre Eleanor. Cosa dire, infatti, di una madre che si è dedicata ad aiutare tutti tranne suo figlio? Cosa dire di una donna che non è riuscita a proteggere il proprio bambino dalla tirannia di suo padre? I dubbi di Patrick sono decisamente legittimi; il punto interrogativo su quel foglio, che si trasformerà in un pianto di rabbia e frustrazione, è l’unico simbolo opportuno per la storia familiare del protagonista.
La struttura di At Last si presenta come leggermente più complessa delle puntate precedenti: resta fermo, infatti, il doppio binario fra presente e passato, ma quest’ultimo non ha una identificazione temporale fissa. Questo vuol dire che si passa dai ricordi di Patrick bambino, alle fasi successive all’estate del 2003 del quarto episodio, ancora a un periodo di poco precedente agli eventi del presente. Principalmente, comunque, possiamo individuare due diverse situazioni: quella del presente, in cui va celebrato il funerale di Eleanor e Patrick vive da solo, sobrio e gli unici fantasmi che lo perseguitano sono quelli del suo lugubre passato; e quella dell’anno precedente, in cui invece il protagonista è completamente assuefatto all’alcol e appassionato dall’idea di morire.
“I’m an orphan, at last!”
Questa frase, detta a Julia nei momenti che precedono il funerale, esprime perfettamente il sentimento di odio da cui Patrick è pervaso. Molto indicativo, in primis, è il momento in cui Eleanor, ormai decisa all’eutanasia in Svizzera, al momento della partenza sembra cambiare idea, mandando il figlio in confusione e su tutte le furie: l’odio che prova gli impedisce di comprendere una cosa umanamente scontata, cioè la paura di morire.
Il secondo momento decisivo in questo senso è invece quello del discorso durante il funerale, discorso che, di fatto, non riesce a pronunciare: Patrick è pietrificato dalle parole delle persone che lo hanno preceduto, che hanno parlato di innocenza, ingenuità e tenerezza di Eleanor. Le lacrime per la rabbia lo bloccano e fugge dalla chiesa, spiegando successivamente alla ormai ex moglie Mary: “Lei non poteva non sapere! E non ha fatto niente. Se tu ami qualcuno fai di tutto per proteggerlo”.
Se c’è qualcosa su cui, dunque, Patrick Melrose non può cambiare idea è proprio sui suoi genitori: il danno subito dal padre direttamente e dalla madre indirettamente è troppo profondo per riuscire a dimenticare, senza parlare della impossibilità di perdonare tali gesti. Eppure, At Last ruota attorno al concetto di cambiamento.
L’alcolizzato e depresso Patrick, dopo essersi lasciato con Mary, vaga tra il suo squallido appartamento, fisicamente impossibilitato a rendersi presentabile davanti ai suoi figli, e la clinica in cui altri alcolizzati raccontano quotidianamente i loro problemi.
Emerge, dunque, almeno in parte un piccolo tentativo di migliorarsi: questo diventa ancora più evidente quando decide di rifiutare l’opportunità datagli dalla più pazza del gruppo di condivisione della clinica di poter passare una giornata all’insegna della sregolatezza.
La genialità e l’intensità di questa scena, tuttavia, è data dal montaggio con il presente post funerale; Patrick è tornato nel suo appartamento dopo aver rifiutato un invito a cena da parte di Mary e osserva il numero di cellulare ottenuto alla veglia dalla cameriera con cui era intenzionato a uscire. Prende il telefono e chiama: siamo tutti convinti che stia chiamando la cameriera, e invece telefona la moglie per dirle che accetta l’invito.
“Le idee sono fatte per essere cambiate”.
Questo barlume di speranza, con cui si chiude la puntata, non permette comunque di poter parlare di lieto fine: la tragedia che si cela dietro il protagonista e che in generale dipinge la drammaticità della storia è troppo forte per poter essere oscurata da un piccolo raggio di luce. L’episodio in sè, tra l’altro, è particolarmente intenso e triste.
Qui, tuttavia, si cela la genialità della scrittura di David Nicholls: quello che si presenta come uno degli episodi più tragici di Patrick Melrose è paradossalmente il più divertente. Non si tratta solo di qualche battuta qua e là, come avvenuto nelle altre puntate; c’è un preciso schema di comedy situations in cui vengono a crearsi dei veri e propri sketch: si pensi, soprattutto, alla pazza conosciuta da Patrick in clinica che va in giro tra i presenti della veglia per Eleanor a chiedere se avessero problemi mentali; quando arriva a Nicholas Pratt, l’ultimo della cerchia dei genitori di Patrick, la reazione del vecchio è esilarante: odio, insulti e sproloqui sulla società che lo portano all’infarto.
Patrick Melrose, dunque, ci saluta lasciandoci la giusta angoscia per le tematiche trattate e per ciò a cui assistiamo, ma anche la consapevolezza che si tratta di un prodotto capace di bilanciare il dramma con grandi picchi di ironia e sarcasmo, tipicamente british. Benedict Cumberbatch, infine, vale da solo il “prezzo” del tempo impiegato: come già anticipato dopo aver visto il pilot, non lascerebbe sorpresi una sua candidatura a Golden Globe o Emmy Award. Dimostrazione, Patrick Melrose, che il futuro delle miniserie è molto più florido di quelle standard e lunghe, ormai sempre meno frequenti nel mercato delle Serie Tv.