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Peaky Blinders 6×03, la recensione: l’oro, per i gipsy, non è mai abbastanza

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Siamo arrivati al giro di boa di questa sesta ed ultima stagione di Peaky Blinders. L’asticella del dramma si alza sempre di più, mentre nuovi (e vecchi) personaggi assumono un ruolo sempre più centrale. La nostra recensione (attenzione agli spoiler!).

Peaky Blinders: il nuovo che avanza ed il “vecchio” che si riconferma

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Da un punto di vista narrativo questa terza puntata è stata davvero un turning point con i fiocchi. Su tutti, il personaggio di Ada si è imposto come tanto autentico quanto efficace sostituto della compianta zia Polly. Per via dell’assenza di Tommy, occupato nella ricerca di un rimedio al male che ha colpito sua figlia, Ada prende le redini della compagnia, innanzitutto gestendo in modo tutt’altro che scontato le pressioni politiche dell’affare dell’oppio, incontrando Mosley e Diana e presentando loro il malefico Nelson, che continua a rimanere fin troppo calmo e prudente nei confronti della posizione dei Peaky Blinders. Ada è protagonista di un eccelso scambio di frecciatine con Diana, nuovo personaggio introdotto nella scorsa puntata (qui trovate la nostra recensione), che si dimostra sempre più interessante ai fini della narrazione. Ada non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, e a differenza della zia dimostra di riuscire a mantenere la calma nonostante i continui punzecchiamenti ricevuti. Al centro della conversazione c’è proprio l’assenza di suo fratello, ma lei dimostra di essere in grado di sostituirlo meglio di chiunque altro abbia mai fatto. Ada è una donna molto astuta, oltre che raffinata ed elegante, anche se questa non è una novità, quanto più una conferma di ciò che poteva essere (e non è mai stato) così tanto evidente. Una donna di polso che sa assolutamente quale sia il best for business e lo mette prima di tutto. 

Arthur è ormai l’ombra di se stesso

Ada continua la terapia d’urto, iniziata da Thomas nella scorsa puntata, per recuperare fisicamente e soprattutto mentalmente suo fratello maggiore. Arthur viene infatti incaricato di guidare una spedizione punitiva in quel di Liverpool, dove tale Haydn Stagg, interpretato da Stephen Graham (altra grande firma che entra nel cast di Peaky Blinders), ha rubato parecchio oppio dai magazzini degli Shelby. Arthur, accompagnato da Isaiah e altri baldi giovani, appare parecchio provato fisicamente dalla sua astinenza. Apprendiamo che viene sistematicamente (e letteralmente) rinchiuso all’interno degli uffici della compagnia quando è in preda alle sue crisi d’astinenza, come un lupo mannaro si nasconde nelle notti di luna piena per evitare di trasformarsi. Arthur però non è più nemmeno quella bestia feroce di un tempo che non sapeva dosare la forza nei momenti di perdita di autocontrollo, e lo scontro verbale con Mr. Stagg sottolinea questa sua condizione. Stagg è un ex tossicodipendente che ha combattuto e vinto la sua battaglia, e prima che Arthur cominci il pestaggio ordito da Ada nei suoi confronti, questi gli sputa in faccia la sacrosanta verità: Arthur può anche nascondersi, farsi rinchiudere e placare, ma gli si legge in faccia che è sull’orlo del baratro, che anche se stesse 90, 100 giorni senza drogarsi, sarebbe sempre ad un passo dalla ricaduta, in quanto assolutamente non in grado di controllare i propri istinti. Ed è qui che forse si accende in noi un barlume di speranza. Arthur, piuttosto che gonfiare di botte Stagg, lo lascia andare, fa marcia indietro e se ne va, dimostrando di essere stato colpito (e affondato) nel profondo. Avrà imparato la lezione? Potrebbe ora cominciare una redenzione per Arthur, che si trova in un punto quanto mai critico.

Peaky Blinders: Tommy Shelby non trova pace

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Le condizioni della piccola Ruby sono sempre più critiche. Scopriamo che la piccola ha la tubercolosi, e la sua vita è sempre più appesa ad un filo. Thomas perde ogni concezione con la realtà, e lasciando Lizzie al suo capezzale si fionda tra le radure in cerca di Esme e della tribù gipsy dei Lee. Thomas è evidentemente provato a tal punto da non saper bilanciare le sue priorità. Si autoconvince che la soluzione è nascosta dietro a qualche maledizione e che il malessere di Ruby sia colpa sua. In questi anni, in queste stagioni, il problema di Thomas Shelby è sempre stato quello di somatizzare su di sé i problemi di tutti i membri della sua famiglia. Tutto il dramma finora vissuto dai membri dei Peaky Blinders è sempre passato per le sue mani, a detta di Thomas. Il capofamiglia si definisce un “cavallo che scalcia, ma che lo fa sulla gabbia nella quale è rinchiuso”. In un certo senso le sue azioni ci portano a pensare che la gabbia di cui parla Tommy sia una costruzione mentale che egli stesso si è autoimposto. Dall’incontro con Esme emerge fuori una verità, un capro espiatorio, quella soluzione fittizia che Thomas ha voluto, più che cercato. Nei pressi di un cimitero gipsy apprendiamo la verità sulla possibile maledizione che ha colpito la piccola Ruby, ed effettivamente si tratta di un cerchio che si chiude, un cerchio apertosi con quel dannato zaffiro che già tanto dolore aveva seminato nella famiglia Shelby, ma per Thomas è decisamente arrivato il momento di staccarsi dal passato e di smettere di somatizzare il dolore solo su di sé, perché altrimenti rimarrà, inevitabilmente, solo.

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