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Persuasione – La Recensione della storia d’amore senza fine, scritta da Jane Austen

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Quando abbiamo saputo che sarebbe entrata a far parte del catalogo di Netflix, si è accesa inevitabilmente in noi la curiosità di guardare la trasposizione dell’omonima opera di Jane Austen. Persuasione, film diretto da Carrie Cracknell, si affianca ad altre due precedenti trasposizioni rispettivamente del 1995 e del 2007. Questo adattamento risente moltissimo del periodo in cui è stato concepito e non tenta affatto di nasconderlo: molti sono infatti gli elementi che riprendono altri prodotti di simile genere e soluzioni di regia che hanno incontrato in altre occasioni il favore del pubblico. Ma andiamo per gradi e analizziamo un aspetto alla volta.

Jane Austen, oggi più che mai, è un’autrice contemporanea. Seppur lontana negli anni, la forza del suo spirito di donna ci giunge sempre con estrema forza e intensità. Una scrittrice, dunque un’artista, fermamente convinta del valore dei sentimenti delle donne che costantemente si intreccia all’importanza che anche le loro ragioni possono rivendicare. Senza ombra di dubbio, tra le storie romantiche più belle di sempre ci sono le sue, e a dimostrarlo è il loro successo intramontabile.

Persuasione è la storia di un Amore mai finito, la cui forza e autenticità supera le distanze fisiche e del tempo per riaffermarsi più forte di prima. Anne Elliot, all’età di soli 19 anni, è stata persuasa dalla migliore amica di sua madre defunta a rompere il fidanzamento e dunque a rinunciare al matrimonio con un giovane e promettente luogotenente della Marina, Frederick Wentworth.
Sono trascorsi ormai otto anni quando conosciamo una Anne ancora sola, circondata da una famiglia che non riesce ad andare oltre le frivolezze tipiche della cerchia sociale di cui fa parte, zitella nel fiore dei suoi anni. Ancora perdutamente innamorata, pensa di avere davanti a se una vita fatta di misere illusioni e disattese speranze. Il disegno del destino però sembra prendere un’altra direzione quando Frederick torna in Inghilterra e i due tornano, dopo anni, a guardarsi negli occhi.

Persuasione

La scelta di affidare il ruolo di Anne a Dakota Johnson si rivela particolarmente azzeccata, ed è proprio la sua interpretazione a confermarcelo. L’attrice statunitense è credibile nell’accento inglese, e riesce a essere anche coinvolgente nei momenti in cui “rompe la quarta parete” e dialoga con lo spettatore, raccontando i suoi tormenti e le sue gioie. Lo spettatore diventa il suo “confessore” personale, è a lui che racconta quello che gli altri possono solo immaginare.

L’escamotage che abbiamo visto in Enola Holmes e prima ancora in Fleabag – nonostante i suoi numerosi punti di forza – in questa circostanza mina quell’atmosfera tipica delle storie ambientate in epoche passate. Ci aspetteremmo un’espressività sentimentale e fisica meno dichiarata, più sottintesa, un po’ come in quei film che raccontano di struggenti sentimenti delle donne delle epoche scorse. Tutto è così poco accennato, lasciato ai particolari, a dettagli impercettibili eppure carichi di tanto pathos e sincerità.

Persuasione

Apprezzabile il tentativo di rendere “attuale” l’ultimo dei capolavori della Austen, ma il risultato finale di Persuasione dà l’impressione di aver snaturato il cuore della storia, dei tempi storici e sociali di cui racconta. Il rischio di banalizzare lo svolgimento della storia – che comunque mantiene alcuni dei cliché tipici delle storie romantiche – è altamente presente. Forse, preservando una certa distanza dal mondo nostro e quello di Anne, le classiche “tappe” che conducono al lieto fine sarebbero risultate meno scontate e prevedibili.

Il bello delle storie fuori dai nostri tempi è poterne ammirare la diversità, l’unicità di alcune pratiche e comportamenti sociali e relazionali che forse non torneranno mai indietro ma che, proprio perché fanno parte di un lontano passato, ci affascinano, anche se non ne condividiamo i valori alla loro base. Persuasione, in questo specifico caso, annulla un po’ questa “magia”, impedendole di fatto di accadere davanti ai nostri occhi. Certo, d’altro canto Anne ci ricorda una donna forte ed emancipata, sicura delle rivendicazioni delle donne contemporanee, ma finisce per essere un personaggio eccessivo, un po’ troppo fuori dagli schemi del suo tempo, quasi forzata.

Il tono scelto per tutta la storia – anche nelle sue parti più struggenti – è leggero e non contribuisce a rendere credibile le pene d’amore e i tormenti specialmente della protagonista, la quale, anche quando piange temendo di aver perso per sempre il suo uomo, non riesce mai a essere “triste fino in fondo”, ma viene sostenuta da una sceneggiatura che la svuota di ogni autentico pathos e, di conseguenza, della sua capacità di portarci con sé nel suo dolore.

Anche il modo in cui l’aspetto passionale viene rappresentato e trattato è distante dai romanzi dell’autrice, nota per accendere nel suo lettore la sensazione propria di quei sentimenti d’amore ardenti e irrefrenabili. In Persuasione, invece, notiamo come anche quei rari momenti in cui assistiamo a delle manifestazioni di amore fisico tutto sia estremamente contenuto, sempre quasi solo accennato e velato di una dolcezza spesso stucchevole. Chi lo ha visto e in questo momento conosce il finale, sarà d’accordo.

Un’altra delle influenze innegabili nella costruzione tecnica e registica di questo lungometraggio è sicuramente Bridgerton. A partire dalla palette di colori delle scenografie realizzate per le ambientazioni interne, fino ad arrivare al coinvolgimento di un cast multietnico che ci ricorda la scelta intrapresa dalla serie della ShondaLand firmata Netflix. L’effetto sortito però è completamente differente, complice proprio la diversità della storia al centro della produzione.

Tirando le somme di questa visione, Persuasione è un prodotto interessante, un esperimento per attualizzare e svecchiare alcune delle storie romantiche di una Austen autrice delle storie d’amore più romantiche, passionali e coinvolgenti di tutti i tempi. Avevamo bisogno di “modernizzare” anche ciò che possiede una suggestione legata al secolo in cui è nata? Forse no, o forse altri penseranno che un’operazione del genere era ora che venisse svolta. L’impressione al termine è quella di non aver esplorato a fondo le emozioni dei personaggi e di essere rimasti invece in superficie, senza scandagliare l’animo dei nostri personaggi che – ahimè ad eccezione di Anne grazie all’ottima resa della Johnson – risultano appiattiti.

La visione di questo film è senza ombra di dubbio piacevole, ma siamo dell’idea che magari con un pizzico di “rispetto” in più per l’opera madre e tutto ciò che essa comporta, avrebbe appassionato molto di più i suoi spettatori.

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