*Attenzione, la recensione contiene spoiler sulla serie tv Post Mortem: nessuno muore a Skarnes *
Un cadavere viene rinvenuto in un campo da una coppia di poliziotti, a prima vista, poco avvezza a questo tipo di situazione; del resto, nessuno muore a Skarnes. Il corpo della ragazza è sporco, coperto di mosche e giace abbandonato da giorni davanti a un fienile. Pallida e gonfia, la ragazza sembra decisamente morta eppure avvertiamo sin da subito che qualcosa non quadra. Il rinvenimento di un copro è una scena piuttosto comune in una serie tv e questa non sembra tanto diversa dalle altre. Poi una dei due poliziotti chiama il servizio di onoranze funebri, e non l’ambulanza perché – spiega – quando c’è un morto è questa la prassi: le ambulanze arrivano quando è una questione di vita o di morte. Questa è solo una questione di morte. La poliziotta ha fatto il suo dovere e ha chiamato una buona ditta di pompe funebri, gli Hallangen, peccato che questi siano i familiari della vittima. In questo momento tanto tragico quanto sconvolgente, al solo pensiero di un padre e un fratello a cui è stato chiesto di recuperare il copro di un proprio caro morto in circostante misteriose, ci scappa da ridere: perché sì, abbiamo riso! Ed è proprio in questo momento che ci rendiamo conto che questa storia è strana e non possiamo perdercela. Le premesse della prima puntata sono fin troppo appetitose, c’è tanta ironia e black humor, un goloso senso del grottesco e tanti elementi horror. Eppure al thriller umoristico Post Mortem: nessuno muore a Skarnes (disponibile su Netflix) manca il quid capace di elevarla a piccolo gioiello seriale, proprio come le sue premesse suggeriscono.
Una storia strana a metà tra Six Feet Under e Monty Python
Post Mortem: ingen dør i Skarnes è una serie tv originale Netflix di 6 episodi da 45 minuti ciascuno (non è stata ancora confermata una seconda stagione), uscita nel 2021 e realizzata in lingua norvegese, ma è disponibile doppiata anche in italiano. Diretta da Harald Zwart e Petter Holmsen, Post Mortem merita di essere vista già solo per il fascino nordeuropeo che sprigiona grazie al paesaggio e alla colonna sonora ricca di vecchie e famose canzoni norvegesi degli anni ’50/’70. Gli arredamenti, pesanti e vintage, il paesaggio, boschivo e sconfinato, le ambientazioni, grigie e cupe, poi, aumentano il senso di schiacciamento, di morte e di solitudine, rendendo tutto vivido e tangibile. Skarnes ci viene presentata come una cittadina sperduta dove la vita scorre lenta, non succede nulla di entusiasmante e, ciò che conta, non muore mai nessuno. Insomma non è il luogo ideale per una ditta di pompe funebri, come quella che gestiscono i protagonisti, appunto la famiglia Hallangen. Odd Hallangen (Elias Holmen Sørensen) e suo padre, Arvid (Terje Strømdahl), cercano a fatica di mandare avanti l’attività di famiglia mentre la secondogenita Live Hallangen (Kathrine Thorborg Johansen) e la moglie di Odd, Rose (Sara Khorami), lavorano in una casa di cura per anziani. La situazione al distretto di polizia, ubicato proprio davanti alle onoranze funebri, non è da meno. Quando la poliziotta Judith (Kim Fairchild) e il suo collega Reinert (André Sørum) ritrovano il corpo di Live, la prima impressione che abbiamo è quella di trovarci al cospetto di due inetti e insensibili burocrati ma, più andiamo avanti con la storia, più ci accorgiamo che i loro comportamenti sono viziati sia dalla noia che serpeggia a Skarnes che da qualcosa che è accaduto in passato. Judith è un’ottima poliziotta, ma conosce fin troppo bene le dinamiche cittadine e i costi che il dipartimento deve sostenere per una qualsiasi indagine. Inoltre, c’è qualcosa che la blocca e che mantiene sempre alta la tensione. Judith non può permettersi strane ambizioni, come il suo collega più giovane, e deve fare economia. Così, quando Reinert propone di sottoporre Live all’autopsia, lei esita perché sa che non vale la pena sprecare le risorse del dipartimento per una morte che – per lei – non ha nulla di misterioso.
E invece l’autopsia di Live è il secondo motivo per vedere Post Mortem
Le premesse di Post Mortem sono entusiasmanti. La prima puntata presenta una combinazione di temi cari al genere horror e alla commedia che ripropone in una miscela fresca, realistica e frizzantina. Quando Live si risveglia sul tavolo delle autopsie, tra il nostro stupore e lo sgomento dei medici, noi, di nuovo, ridiamo. E continueremo a ridere per ogni situazione, soprattutto per le più macabre, ma in particolar modo per le difficoltà che la famiglia Hallangen si troverà ad affrontare. Non sappiamo che tipo di persona fosse Live prima di tornare dall’Aldilà , cioè prima che il seghetto le squarciasse il torace. Però sappiamo che da quando è tornata in vita, dopo diversi giorni di assenza, qualcosa in lei è cambiato. Ha fame di cioccolato, ma ha anche tanto bisogno di sangue. Mentre cerca di capire cosa le sta accadendo – ad esempio perché i suoi occhi diventano improvvisamente verdi, perché ora è fortissima oppure per quale motivo suo padre ha cercato di bruciarla viva in una scena tanto agghiacciante quanto esilarante – Odd è sempre più affamato di affari. Purtroppo però la maggioranza dei cadaveri che è chiamato a seppellire sono suoi parenti. Infatti suo padre verrà fatto fuori da Live nella primissima puntata e le altre morti saranno tutte causate da sua sorella che, a insaputa di tutti, si è trasformata in un vampiro. A insaputa di tutti, tranne del Dr. Sverre (Øystein Røger), il quale è a conoscenza di qualcosa che noi capiremo solo più avanti.
Onoranze funebri, marketing e vampiri
La particolarità di Post Mortem, e forse il suo punto forte, è quella di riuscire a fondere gli elementi fantastici, come i vampiri, con le problematiche quotidiane, restituendo una narrazione fortemente realistica, umana e credibile. La fame di sangue di Live non viene mai percepita come qualcosa di spaventoso, ma come un bisogno fisiologico, un naturale e fastidioso intralcio. Ci sentiamo partecipi del suo bisogno incontrollato, seppur soprannaturale, e viviamo il trauma dell’essere diversi, fuori contesto e di non sentirci più padroni della nostra vita. Live non vuole fare del male a nessuno, eppure l’istinto e la paura l’hanno portata a uccidere suo padre, una vecchietta e Reinert, il quale aveva una mostruosa cotta per lei. Dopo una notte trascorsa insieme al ragazzo, Live si risveglia accanto al suo cadavere in una pozza di sangue: senza volerlo, ha ceduto ai suoi istinti vampireschi e l’ha dissanguato. Il problema più grande, per noi, non è tanto il fatto che uno dei personaggi principali sia morto brutalmente, ma come farà Live a sbarazzarsi del corpo. Un’incombenza che ci viene presentata con dovizia di particolari, proprio come se la protagonista dovesse aggiustare una lavatrice difettosa. Allo stesso modo, ci ritroveremo a ridere del povero poliziotto che corre nudo con solo una busta nera in testa dopo essersi risvegliato, anche lui, vampiro. L’ironia è che Reinert appare quasi contento di essersi trasformato perché ora ha qualcosa in comune con Live, la quale l’ha sempre rifiutato. E così reperire il sangue per sfamarsi e trovare un’adeguata strategia di marketing per salvare un’attività di famiglia morente sono dei problemi equiparabili, altrettanto gravi e urgenti. Post Mortem ci trascina in una narrazione oscura che ci mostra che le cose peggiori della vita non sono né la morte né i vampiri, ma non riuscire a pagare il mutuo e a sanare i debiti con la banca.
Il dark humor però, per quanto succulento, poteva essere decisamente più spinto
Le situazioni grottesche e il dark humor che contaminano la narrazione thriller– come quando Live dissangua una sua paziente mentre giocano a “chi vuoi uccidere, chi vuoi sposare e con chi vorresti andare a letto”, un indovinello che tira in ballo combinazioni assurde da Hitler a Margaret Thatcher – viste le premesse, avrebbero potuto essere ancora più selvaggi di così. Il problema più grande di Post Mortem: ingen dør i Skarnes consiste nelle dosi di umorismo cupo che raggiungono il picco già nella prima puntata per poi riproporci nel corso della prima stagione delle situazioni divertenti e sanguinarie, ma non all’altezza delle premesse iniziali. Un altro ostacolo consiste anche nella barriera linguistico-culturale. Infatti sono presenti diversi riferimenti all’attualità e battute politiche che vengono perse nella traduzione. Tolte le piccole imperfezioni e superato il rimpianto per quello che avrebbe potuto essere, Post Mortem è comunque un prodotto inaspettatamente gradevole e conferma che il genere horror, e il tema dei vampiri, è ancora molto fertile e può ancora reinventarsi presentandosi con nuove vesti. La critica e il pubblico, infatti, hanno risposto positivamente: la serie norvegese ha ottenuto su IMDb uno score di 7/10 e il 100% su Rotten Tomatoes. In effetti, come ha dichiarato il produttore Kristian Strand Sinkerud, questa nuova serie Netflix presenta degli spunti davvero innovativi sulla morte e sul decesso:
Post Mortem è il tipo di show sui vampiri che non hai mai visto prima, che osa rompere alcuni dei tabù più estremi che le persone hanno sulla morte.
Eppure, assetati proprio come Live, avremmo voluto che le premesse iniziali fossero portare alle estreme conseguenze fino all’ultimo episodio, in una narrazione ancora più ironica e grottesca, ancora più ridicola e spaventosa. Ad ogni modo, Post Mortem merita davvero di essere vista e assaporata perché cattura tutta la nostra attenzione grazie al suo carattere irriverente, ai contrasti, all’ironia macabra e al racconto noir, vivido e realistico. Ma anche grazie alla qualità della recitazione del cast e allo sviluppo di ogni personaggio, tutti ben caratterizzati e stratificati.
Il pregio più grande della serie è sicuramente il taglio surreale, ma veritiero, del racconto che sottolinea come l’unica soluzione per risolvere i problemi, a volte, sia quella meno dignitosa o addirittura quella impossibile. A volte, quindi, non resta che sperare che nostra sorella diventi un vampiro e cominci a seminare vittime procacciando così clienti per tornare a fa girare gli affari.