Il ritorno di Sofia Coppola dietro la macchina da presa con Priscilla prometteva grandi cose. Lei, grande regista di pellicole come Lost in Translation e Il Giardino delle Vergini Suicide, ha sempre saputo come conquistare l’attenzione del pubblico. Delicatezza, ecco che cosa sono i film della figlia di Francis Ford Coppola. Una donna che, diciamocelo, ha sempre dovuto dimostrare più di altri. Su di lei ha sempre gravato il peso della genialità del padre. Come spesso succede in questi casi, i figli d’arte che decidono di intraprendere lo stesso lavoro dei genitori hanno due sfide da portare avanti: dimostrare che non sono solo un nome, e riuscire a fare un ottimo lavoro. Sofia in questo è sempre stata brava, salvo qualche scivolone più che perdonabile.
Vorremmo dire che anche in questo caso sia andato tutto bene, ma purtroppo non possiamo. Perché Priscilla, nonostante le sue ottime carte in tavola e la delicatezza tipica della Coppola, resta sempre un passo indietro rispetto alle altre pellicole della regista, consacrandosi già adesso come uno dei film più deludenti degli ultimi tempi.
Priscilla è il rumore del silenzio, un silenzio che non vuol dire nulla e che fa del viaggio emotivo una meta senza destinazione
E’ strano guardare un biopic e, alla fine della pellicola, scoprire di non aver appreso praticamente nulla rispetto al personaggio principale. Come altre biografie simili insegnano, il protagonista deve sempre essere per noi qualcuno di sconosciuto che, attraverso la pellicola, impariamo a conoscere. Seppur con qualche mistero, questo è chiaro. Il problema principale di Priscilla risiede però proprio in questo. Per tutta la durata del film la moglie di Elvis subisce un’evoluzione silente di cui noi non ci rendiamo mai conto. Ciò che cambia è solo l’apparenza. Cose come il modo di vestire, di acconciarsi i capelli. Ma nella sostanza, Priscilla resta sempre una sconosciuta per noi.
L’abbiamo vista adolescente, ingenua, innamorata di Elvis. Poi l’abbiamo vista in una versione più adulta allontanarsi dal marito. Le due figure, però, ci vengono presentate nello stesso modo. Priscilla resta sempre la stessa, silenziosa sia nelle disgrazie che nelle gioie della sua vita. La cosa più grave è che neanche per un istante, durante la pellicola, eravamo a conoscenza delle emozioni della protagonista. Non abbiamo mai realmente saputo che cosa pensasse, che cosa intendesse fare con quella determinata scelta. E questo aspetto stona particolarmente con l’intento della pellicola che vorrebbe essere, per prima cosa, il viaggio emotivo della moglie di Elvis.
Sulla mancata caratterizzazione di Elvis possiamo anche passarci sopra. D’altronde, era solo un subordinato, un mezzo per narrare Priscilla. Ma su questa mancanza, no. Non possiamo far finta di niente. Nonostante ci dispiaccia terribilmente parlare della pellicola in modo così critico.
In modo disturbante, la pellicola sembra fare lo stesso gioco che Elvis fa durante il film. In tutte le scene, la pop star assorbe la moglie in un circolo passivo, privandola della sua identità. Nello stesso modo, anche la pellicola priva la protagonista della sua identità, presentandocela come un personaggio di cui non sappiamo niente, nonostante pronto a dirci tutto. E’ come se Priscilla venisse taciuta un attimo prima di confessarci ciò che prova. Ignoriamo qualsiasi sua emozione, guardandola piangere o ridere come se fosse una macchina. Una sensazione molto simile ce l’aveva data Blonde, la pellicola Netflix con Ana de Armas. Come detto nella nostra recensione, il film su Marilyn Monroe fa quello che Hollywood aveva fatto con l’attrice, trattandola come un mito senza anima. Ana De Armas viene chiamata a piangere e a ridere a comando, dando vita a un’interpretazione interessante ma comunque vuota di significato.
Nello stesso modo, Cailee Spaeny viene qui trattata come una macchina da accendere e spegnere. Le ragioni non vengono mai analizzate. Il viaggio della pellicola, infatti, appare sempre superficiale. Un’accozzaglia di elementi messi insieme, uno dopo l’altro, privi però di qualsiasi tipo di approfondimento. Una cosa davvero singolare, se consideriamo che la pellicola ha potuto anche beneficiare del supporto della vera Priscilla. Verso la fine della narrazione, la protagonista cerca la sua identità. Disillusa, si tira fuori dalla gabbia del matrimonio. Questa parte, che arriva soltanto alla fine, viene sviluppata in un tempo brevissimo fatto solo di frasi fredde e silenzi che non dicono niente. Il modo per dire qualcosa di più c’era, ma il film non ha saputo beneficiare dei suoi mezzi, finendo per diventare un complesso di eventi disordinati e apatici.
Con Priscilla non ci si emoziona mai. Si resta sempre un po’ apatici, distaccati. Neanche ci si arrabbia con Elvis. Non si impara nulla sulla protagonista e non la si conosce mai. Di lei si sa soltanto che era tanto ingenua e che poi, un giorno, la magia è finita. Per il resto, tutto avviene in modo meccanico. Conosciamo bene i silenzi di Sofia Coppola, sappiamo quanto sappiano essere pieni di parole. E quanto ci fa male, adesso, vederli così scarni e vuoti, dissacrati da quel nulla che da lei non ci aspetteremmo mai.
Quando era stato presentato le aspettative erano tante, lo erano talmente tanto che qualcuno lamentò la sua assenza dagli Oscar (qui troverete, a proposito, tutti i vincitori). Ma ora che è finalmente diventato nostro, la sua mancanza appare ovvia. Priscilla non è il nuovo Blonde perché, fortunatamente, ha avuto il buon gusto di non imbrattare il film facendone una parodia. Ma resta comunque un tentativo fallito di scrivere un biopic. Di dare, a chi ha taciuto per tanto tempo, la possibilità di dire la propria, dicendo ci sono anch’io.