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Promises – Avete tutti ragione: non è un buon film. Ma è comunque meraviglioso

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In questi giorni non si parla di altro, se non di Pierfrancesco Favino. Tutti i suoi più fedeli sostenitori sono in apprensione per lui, chi non lo amava – invece – sta cavalcando l’onda del momento per confermare la sua tesi. “Ma che ha combinato Pierfrancesco Favino?” se lo chiedono tutti. C’è chi dice che stia cominciando a sentire il peso dei trent’anni di carriera e che, quindi, stia entrando in crisi. Altri dicono che sia un solo errore, d’altronde tutti gli attori prima o poi dovranno farne almeno uno. Quel che è certo è che attorno all’attore, in questo momento, aleggi un alone di preoccupazione, la paura di non riuscire più a rivederlo al massimo dei suoi livelli professionali, il terrore che lui possa aver già dato tutto. Il motivo di questo panico generale per la carriera di Favino ha una motivazione ben precisa, ed è Promises, uno dei suoi ultimi film, disponibile dall’undici marzo su NOW. Come avrete capito e visto, la pellicola in questione ha sollevato non poche critiche. Ma ve lo diciamo chiaramente: noi non siamo qui per questo. Perché sì, Promises non è un film perfetto, ma non è neanche il mostro che stanno dipingendo.

Promises

E’ innegabile: Promises non si approccia al pubblico con l’intenzione di spiegarsi, perché pretende che ci sia – dall’altro lato – un’immediata comprensione. In parole povere, quando noi guardiamo il cielo sappiamo che è blu e lo stesso vorrebbe da noi il nuovo film con Favino: essere guardato, e compreso all’istante. Pretenzioso, certo, ma non così folle. D’altronde, la storia che ci propone è la più vecchia del mondo perché parla di rimpianti, rimorsi, dei se e dei nonostante. Ogni persona che sceglie di dare una possibilità a questo film è libera di dare qualsiasi giudizio su di esso, ma certamente non potrà dire di non averlo compreso, o di essersene distaccata.

Anche da un punto di vista narrativo Promises non si discosta dalla sua pretesa di esser compreso. Proprio durante l’inizio del film, infatti, assistiamo a un dialogo riguardante la funzione del tempo nell’esistenza di tutti gli esseri umani. In quel momento, Promises, ridefinisce l’idea di tempo premettendo che in realtà non esiste davvero un ordine cronologico degli eventi, ma che è la nostra mente a ordinarli in qualche modo. Noi, spiega il film, possiamo essere tutto ciò che vogliamo, possiamo essere bambini e – un attimo dopo – anziani. Su questa base, quindi, assistiamo a diversi archi temporali che sembrano non essere mai davvero collegati tra loro ma che, in realtà, si scoprono essere coerenti. Il filo comune esiste eccome, ed è tutto nelle mani del protagonista. Un protagonista rotto, svuotato, diviso in mille pezzi da tutti i se collezionati durante la propria vita.

Ed è con queste premesse che entriamo nel vivo di una storia d’amore mancata, mai davvero vissuta. Una storia che disconosce la fortuna del tempismo, del posto giusto al momento giusto, del coraggio e della possibilità di poter morire con la consapevolezza di aver dato tutto.

Promises

Ricominciare da capo è l’unica possibilità per il protagonista di questa storia ma, nonostante l’incoerenza del tempo, questo non è un gesto possibile. Bisogna vivere con il peso di ciò che è stato fatto o di ciò, come in questo caso, che non è stato fatto. Bisogna convivere con la consapevolezza di aver sporcato la propria vita, di aver perso tutto solo per essere arrivati al momento sbagliato nel posto giusto, di essersi fatti scivolare gli anni addosso senza impedire il disastro, il disorientamento.

Per questi motivi, probabilmente, Promises non ha convinto la maggior parte della critica: non arriva a un punto, non conclude la storia con un finale chiaro, uno di quelli capaci di darti una risposta, un senso. Il finale, infatti, si presenta a noi in modo quasi inconcludente, ma perché ritenere questo un difetto? D’altronde, non è forse questo – a volte – l’epilogo della vita di ognuno di noi? Non siamo sempre bravi, non siamo sempre coraggiosi. A volte fatichiamo, a volte non riusciamo a fare quello che vorremmo fare più di tutto, e a volte lasciamo andare chi, invece, vorremmo prendesse la residenza nella nostra esistenza. Non concludiamo, a volte lasciamo solo che le cose facciano il loro corso riducendoci, a un certo punto, con nulla tra le dita.

E’ chiaro: Promises è un film inconcludente, ma perché è reale, sincero, vero. Non si presenta a noi con la pretesa di farci gridare al miracolo del cinema, ma con quella di essere interiorizzato, capito, non dimenticato. Ed è questo, effettivamente, che accadrà a chiunque riuscirà a comprenderlo, a chiunque sarà in grado di rivedersi in lui. Chi non lo farà probabilmente non ha avuto una storia simile a quella raccontata oppure sarà troppo distratto per rendersi conto di essere, anch’egli, all’interno. La magia del cinema non risiede solo nell’eccelsa qualità di un film perfetto. La magia del cinema risiede anche in questi film totalmente sbagliati, perché in grado di farci apprezzare qualcosa che – all’apparenza – è fatta male. Ma succede: il cinema è in grado di riuscire a salvare anche le cose imperfette, malfunzionanti. Forse salva più loro che i grandi capolavori, capaci di camminare con il solo ausilio delle proprie gambe. Promises no. Promises dimostra che, quando si tratta di cinema, il brutto può diventare meraviglioso grazie alla sua capacità di toccare le corde di chi lo guarda, grazie alla sua capacità di ricordare quanto meraviglioso sia il cinema, anche quando è sporco.

Quindi sì, avete tutti ragione: Promises non è un buon film. Ma è comunque meraviglioso.

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